23 dicembre 2012

"Gli innamoramenti" diJavier Marìas



di Mirta Vignatti

Chiudo in questo momento il libro dopo una seconda e più ponderata lettura e devo proprio scriverlo a chiare lettere: il romanzo è notevolissimo, oserei dire per certi versi superiore a “Domani nella battaglia pensa a me”. Non è un caso che sia stato premiato con un importante, autorevole riconoscimento in Spagna (e il relativo assegno è stato dignitosamente rifiutato dall'autore).

 Lo stile è quello tipico di Marìas: una scrittura magnetica, densa di significati, che avvolge il lettore con il suo periodare lungo e a volte digressivo; i dialoghi sono quasi sempre ipotizzati, le battute spesso precedute da ciò che il personaggio pensa di poter rispondere a ciò che l'interlocutore potrebbe dire in determinate situazioni. Insomma, la narrazione si muove tra ipotesi e realtà, tra pensieri e parole, poggiandosi su fatti che dietro la loro apparente realtà nascondono forse altre verità o altre possibilità combinatorie.

E' un romanzo di cui indovineremmo subito l'autore, se ce lo facessero leggere celandone il nome: corrisponde infatti in pieno alla poetica di Marìas, alla sua scrittura psicologico-filosofica, incentrata in questo caso sulle opposizioni verità/menzogna, vita/morte, egoismo/rispetto.

La trama, pur nella complessità e profondità delle riflessioni che induce, è di una semplicità ed essenzialità disarmanti: una giovane editor di una casa editrice di Madrid osserva ogni mattina, nel bar dove fa colazione, una coppia -presumibilmente coniugi- che ritrova sempre allo stesso tavolino intenti anch'essi alla loro consumazione; la coppia offre di sé un'immagine che lascia pensare a serenità ed affetti consolidati, e la giovane donna si lega a questa presenza quotidiana, senza tuttavia scambiare nessuna parola né accennare a sorrisi, fantasticando su quella che potrebbe essere la loro vita: una bella casa, gli affetti, i figli, un certo benessere denunciato dal loro aspetto e dal loro abbigliamento. Ma la realtà non è quella che sembra, e la vicenda prenderà una direzione imprevista, assumendo le caratteristiche di un “anti-noir” psicologico. Non mi dilungo oltre perché molto è già stato scritto, e meglio, da Concita De Gregorio in una recensione-intervista a Javier Marìas segnalata da una attenta amica lettrice e davvero imperdibile: ubi maior, minor cessat.

 Aggiungo soltanto che il romanzo è impreziosito da due importanti rimandi metaletterari, da non considerarsi come digressioni ma perfettamente coerenti con la narrazione e funzionali alla sua completa interpretazione. Si tratta della citazione e di continue riprese da una novella di Balzac e da un passo de “I tre moschettieri” di Dumas.

E a proposito del citazionismo e del periodare per flussi di pensiero mi rifaccio (perdonate l'autocitazione) a quanto già scritto nella recensione di “Domani nella battaglia pensa a me”; quanto già detto in quella sede trova qui ampia conferma, oltre che nell'ambito più generale del post-modernismo, anche a livello di prossimità di contesti e contaminazione di generi: le ultime 30 pagine de “Gli innamoramenti” potrebbero essere le scene di un film di Almodòvar, tali e quali.

 Lasciatemi però concludere con un omaggio e una riflessione sulla traduzione. Questo libro è stato tradotto da Glauco Felici, venuto improvvisamente a mancare poco dopo aver terminato la sua ultima, sontuosa opera. L'editore ha avuto appena il tempo di apporre in epigrafe un “in memoriam”, essenziale pur nella sua freddezza. Penso tuttavia che sarebbe stato il caso di prevedere almeno una fascetta in cui ricordare con maggior enfasi il lavoro di Glauco Felici, che proprio con questo romanzo trova compimento per sempre. Da ora in poi sarà un altro Marìas quello che leggeremo in traduzione italiana, essendo venuto a mancare quello “scrittore dietro lo scrittore” che fino ad ora ci aveva fatto conoscere -con le sue competenze, le sue scelte linguistiche, la sua cultura- il grande autore spagnolo. E credo che noi che leggiamo ora, coscienti della tragica morte di Glauco, percepiamo in maniera più complessa il tessuto linguistico non facile di Marìas, reso peraltro splendidamente dalle scelte e dalle parole del traduttore. Credo che non si possano non provare sensazioni particolari nel leggere riflessioni sulla morte, su quali memorie rimangono e si elaborano nel lutto, su come sopravvivono i congiunti del defunto, pensando che queste riflessioni ci sono state veicolate dalle parole pensate e scelte da Glauco Felici e che probabilmente saranno state anche le sue ultime premonitrici riflessioni.

Non conosco quali reazioni abbia avuto Javier Marìas nell'apprendere la notizia della morte del suo traduttore appena dopo aver terminato il lavoro con “Gli innamoramenti”. Marìas e Felici si conoscevano e l'autore aveva scherzosamente nominato il suo traduttore “visconte” di un regno immaginario di menti elette. Sono sicura che Marìas, oltre alla perdita incolmabile, avrà colto nel fatto drammatico una ulteriore conferma degli intrecci di letteratura e vita, una conferma della foresta intricata di coincidenze e casualità che è la vita, nella quale ci muoviamo componendo le nostre esistenze tassello dopo tassello, ma anche ferendoci e sanguinando ad ogni piè sospinto.

Javier Marìas, “Gli innamoramenti”, Einaudi 2012.




   

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