di Gianni Quilici
Premessa autobiografica: quando
un’artista, qualsiasi linguaggio egli adoperi, crea al punto di intrigarmi
profondamente, scatta nel sottoscritto il desiderio di conoscere la sua vita
nei dettagli del quotidiano, forse per confrontarmi, forse per un desiderio di
imitarlo, come se la mia identità fosse ancora incerta (e, per certi versi, lo
è) nella sua configurazione o comportamenti.
Così quando ho visto su un banchetto
(di quelli veri, che “cercano” i libri, non solo li vendono), “La fuga di
Tolstoj” di Alberto Cavallari, pubblicato nel 1986, con al centro del
romanzo foto con Tolstoi a cavallo, al
tavolo di studio, con la moglie Sof’ia e con la numerosa famiglia composta da
ben sette figli e 25 nipoti, non ho
avuto dubbi, l’ho comprato e letto in due notti di seguito.
Ma chi è Alberto Cavallari? Alberto
Cavallari (1927-1998) è stato un importante giornalista, direttore del Corriere
della Sera dal 1981 al 1984, collaboratore della Repubblica dal 1984 fino alla
sua morte, 1998, e, in questo romanzo, si rivela anche uno scrittore sottile e
poetico.
Il libro, come scriveva Enrico
Franceschini, è “ un po’ romanzo, un po’ inchiesta, sempre poetico, dolcemente
malinconico come una ballata russa” e più precisamente riesce a condensare
questi elementi realistici e immaginativi (la narrazione è inframmezzata da
frasi prese dai diari di Tolstoj), ripercorrendo i giorni che vanno dalla
scelta di fuggire dalla propria casa, all'età di 82 anni, fino al momento della morte.
Alberto Cavallari dà la misura della
grandezza di Tolstoj, come motiverò, nel groviglio dei suoi contrasti e pone
come contraltare Sof’ia, di cui Cavallari dà una rappresentazione netta, rappresentandola
dall’esterno attraverso i fatti (uno su tutti per esemplificare: la donna scopre che il marito è fuggito e
immediatamente cerca di suicidarsi, gettandosi nell’acqua alta dello stagno
della tenuta di Jasnaia Poljana, dove vivevano), ma anche come Tolstoj la
percepisce nei tormentosi suoi pensieri.
La grandezza dello scrittore russo è
data, infatti, dal contrasto lacerante e mai risolto tra fuggire-restare, tra radice-libertà,
tra responsabilità-irresponsabilità e soprattutto dal desiderio di una vita
perfetta, quasi da santo, presente in diversi racconti (Padre Sergio, tra tutti),
che però si scontra con la realtà esterna e coi suoi stessi desideri.
Scrive Cavallari:
“..voleva essere un apostolo, faceva
l’amore con Sof’ia ma poi ne aveva disgusto, amava i figli ma li considerava
peccati e si condannava per averli avuti, odiava il sesso ma gli era sempre
piaciuto fermarsi nelle isbe e possedere le contadine, voleva la povertà ma
viveva con servi e cavalli, voleva fuggire di casa ma non poteva vivere senza
la moglie che gli organizzava il lavoro, l’attività editoriale, la gloria, la
corte degli amici e dei clienti”.
Ma anche è data (questa grandezza) dal bisogno continuo di rappresentare e di rappresentarsi, dalla necessità, cioè, di non perdere niente dello scorrere dell’esistenza.
Infatti anche in questa circostanza Tolstoj non cessa di scrivere sul diario come aveva fatto tutta la vita ed è curioso sapere che in questa sua grande famiglia patriarcale “tutti scrivevano in segreto appunti, note, taccuini, quaderni, che poi altri venivano a sapere. Tutti spesso li leggevano agli altri, perché la moda del tempo voleva che si vivesse così, “dicendosi la verità”. Tutto creava un’aggrovigliata matassa di “verità”, che facevano solo male, intrecciando fili taglienti di sospetti, gelosie, pensieri sinceri o pensieri artificiosi, magari scritti per manovrare i pensieri altrui”
Ed infine questa grandezza si
manifesta da quella radiografia psichica di Cavallari, che mescola sapientemente angosce e
qualche rara felicità di quei pochi giorni con il paesaggio russo: i villaggi
nella notte e i mugiki che escono dalle isbe alle prime luci, il treno affollato e freddo con le strade orrende piene di fango e di buche, la piccola, sperduta
stazione ferroviaria, Astapovo, dove morirà rincorso da cronisti e emissari,
familiari e curiosi. Come osservava Guido Ceronetti La fuga di Tolstoj è anche “
un perfetto soggetto cinematografico” Aggiungo: visivo e introspettivo.
Alberto Cavallari. La fuga di Tolstoj. SKIRA.
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