Accadeva mezzo millennio fa
"Donne d'amore tra Roma e Venezia
Già in età
rinascimentale, e in maniera più sistematica nel successivo periodo che muove
verso i rigori del Concilio di Trento e dell’Inquisizione, a Roma non mancarono
iniziative tese a limitare la prostituzione e a salvaguardare la compagine
morale della Cttà eterna.
Si trattò, certo, di decisioni, che i pontefici non presero a cuor leggero considerato che le casse dello Stato della Chiesa si alimentavano anche con i proventi della tassazione sulle attività delle cortigiane. È noto che Leone X realizzò e lastricò tutta via di Ripetta grazie alle tasse sui lupanari e che Pio IV (1559 – 1565), il papa che convocò il Concilio di Trento, zio di San Carlo Borromeo, non si peritò di edificare Borgo Pio cum impensis ex turpi quaestu acquisitis et acquirendis. Ma la spensierata libertà dei costumi propria dei primi tre decenni del secolo XVI si andava esaurendo e un nuovo rigore morale sembrava segnare le scelte dei pontefici e degli amministratori romani: ora l’Urbe cattolica doveva diventare un luogo esemplare sia per l’ intransigenza verso ogni forma di indecenza e scostumatezza, atteggiamento che si allargava anche a tutte le manifestazioni dell’ ingegno considerate pericolose, sia nell’applicazione e rispetto di norme e leggi. Il lungo carnevale rinascimentale era finito per sempre e lo testimoniava la triste vicenda della cortigiana, oriunda spagnola, Isabella de Luna che per una contravvenzione alla legge venne condannata a essere frustata sulla pubblica piazza. La nuova morale incalzava e le cortigiane ’oneste’ o meno non godevano più dei privilegi di cui avevano usufruito nel periodo precedente.
Si trattò, certo, di decisioni, che i pontefici non presero a cuor leggero considerato che le casse dello Stato della Chiesa si alimentavano anche con i proventi della tassazione sulle attività delle cortigiane. È noto che Leone X realizzò e lastricò tutta via di Ripetta grazie alle tasse sui lupanari e che Pio IV (1559 – 1565), il papa che convocò il Concilio di Trento, zio di San Carlo Borromeo, non si peritò di edificare Borgo Pio cum impensis ex turpi quaestu acquisitis et acquirendis. Ma la spensierata libertà dei costumi propria dei primi tre decenni del secolo XVI si andava esaurendo e un nuovo rigore morale sembrava segnare le scelte dei pontefici e degli amministratori romani: ora l’Urbe cattolica doveva diventare un luogo esemplare sia per l’ intransigenza verso ogni forma di indecenza e scostumatezza, atteggiamento che si allargava anche a tutte le manifestazioni dell’ ingegno considerate pericolose, sia nell’applicazione e rispetto di norme e leggi. Il lungo carnevale rinascimentale era finito per sempre e lo testimoniava la triste vicenda della cortigiana, oriunda spagnola, Isabella de Luna che per una contravvenzione alla legge venne condannata a essere frustata sulla pubblica piazza. La nuova morale incalzava e le cortigiane ’oneste’ o meno non godevano più dei privilegi di cui avevano usufruito nel periodo precedente.
In questa nuova temperie religiosa, culturale
e politica l’alta società romana, la stessa che si era compiaciuta di
trasgressioni e ardite forme di tolleranza, faceva a gara in manifestazioni di
pentimento e purificazione, conversioni e conformismo verso il nuovo corso.
Così, nel 1566, Pio V (1565 – 1572), il papa di Lepanto, prima di intraprendere
la crociata contro i Turchi ne iniziò un’altra, nella quale però sarebbe
risultato duramente sconfitto. Impose alle cortigiane “più scandalose” di
lasciare la città e alle altre di trasferirsi a Trastevere: un’ingiunzione che
scatenò un putiferio di polemiche e non poche resistenze. Non solo l’ostilità,
ovvia, dei trasteverini, ma anche quella dei proprietari di case che videro
calare i livelli degli affitti e scemare una fonte di reddito, dei mercanti che
avevano fatto credito alle cortigiane e rischiavano di perderlo, perfino quella
degli appaltatori delle dogane… Alla fine, Pio V capitolò e alle prostitute fu
assegnato un quartiere, l’Ortaccio, nei pressi di Ripetta con la proibizione di
uscirne: un vero e proprio ghetto, delimitato da muri e rare porte.
Se l’obbiettivo
era tenere le cortigiane lontane dalle vie del centro, dalle piazze trafficate
e dalle chiese esso non fu raggiunto: vent’anni più tardi, infatti, il
terribile Sisto V (1585 – 1590), dopo aver preso atto che queste donne
continuavano a esercitare in tutta la città e che se ne contavano perfino in
Borgo a due passi da San Pietro, era costretto a lanciare l’ennesima offensiva
contro le prostitute. Tentò, papa Peretti, di restringerle di nuovo
nell’Ortaccio ma senza riuscirci, perché, anche in questo caso, emerse che le
cortigiane muovevano un, chiamiamolo così, ‘indotto’ che toccava gli interessi
di oltre 15.000 persone e numerose, importanti categorie economiche della
città: commercianti, osti, albergatori, affittuari… Anche Sisto V fu costretto
a venire a più miti consigli e ad accontentarsi di ribadire o accentuare
proibizioni già in vigore: l’accesso alle strade principali, le gite in
carrozza e le passeggiata per le strade dopo l’Ave Maria. Ma, forse, proprio in
seguito a questo smacco, la battaglia per la purezza dei costumi, la cupa
ossessione di questo papa, avrebbe assunto l’ aspetto di una vera e propria
persecuzione. “Nel giugno 1586 colpì l’immaginazione dei romani lo spettacolo
di una figlia costretta ad assistere al supplizio della madre, che l’aveva
prostituita: la ragazza venne ornata dei gioielli che le aveva donato l’uomo
cui era stata venduta… Nello stesso mese di giugno il papa condannò al rogo –
secondo l’antica usanza – un prete e un ragazzo, rei confessi di sodomia. Poi
venne la volta, nell’agosto, di una giovane vedova, nobile e ricca, che aveva
trescato con due giovani e che fu con essi condannata alla pena capitale.
Rimase incerto in base a quale legge fosse stata eseguita una sentenza tanto
crudele, ma nessuno osava contrastare gli ordini del papa”
Ma nel 1592 il
cardinal Rusticucci, governatore di Roma, in un suo bando era costretto a
notificare che “Poiché l’esperienza ha mostrato che li luoghi assegnati in Roma
per tollerarvi le meretrici et donne disoneste non sono capaci, si dispone di
aumentarne lo spazio…”
Anche papa
Clemente VIII Aldobrandini (1592 – 1605) si adoperò per restringere le
prostitute nell’‘hortaccio’e anche questa volta l’ennesima prova di forza si
concluse con un nulla di fatto: le venditrici d’amore accettarono di evitare di
rendersi visibili nelle principali strade dell’Urbe in cambio dell’ampliamento
della zona di tolleranza. Non più solo l’ ‘hortaccio, ma l’intero, vasto
quartiere che era cresciuto tutt’attorno a quest’area malfamata.
Le Vergini miserabili
A Roma
risultati migliori rispetto alla deterrenza e alla repressione furono
senz’altro ottenuti da iniziative di tipo sociale e assistenziale, nate, in
genere, sulla spinta dello zelo e dell’entusiasmo del giovane Ordine dei
Gesuiti e dell’altro altrettanto zelante degli Oratoriani: per esempio,
monasteri come la Casa Pia
per le cortigiane pentite; oppure l’ospizio delle Vergini Miserabili a Santa
Caterina dei Funai che accoglieva bambine figlie di prostitute sottratte anche
con la forza alle loro madri, educate per sette anni, poi fornite di dote e
maritate. A sostenere l’opera di redenzione per le cortigiane pentite si
adoperavano la Compagnia
della Grazia oppure la
Confraternita di Santa Marta dedita alle donne ‘perdute’ che
intendevano redimersi senza l’obbligo del chiostro.
Anche a
Venezia il fenomeno della prostituzione minacciava di finire fuori controllo e,
visto che le misure normativo - repressive sembravano non essere sufficienti,
le autorità si mossero per supportarle con interventi di tipo assistenziale.
Così, accanto all’ospedale degli Incurabili, fondato nel 1522 e destinato ai
malati di sifilide, ma che accoglieva anche numerose prostitute, nel 1530 fu
istituita la Casa
delle Convertite, con lo scopo di riportare a un’esistenza onesta e morale le
peccatrici pentite che venivano avviate verso un destino di mogli e suore. Se,
poi, avevi almeno nove anni, eri sana, di bella presenza e rischiavi davvero di
finire a esercitare il mestiere, allora, la Repubblica Serenissima
ti prendeva sotto la sua protezione nella Casa delle Zitelle nata per
proteggere bambine e adolescenti dal rischio di essere adescate e avviate alla
prostituzione. Ultimo esempio di ‘Stato sociale’ veneziano la Casa del Soccorso per le
mogli sfortunate che volevano sfuggire a situazioni famigliari insostenibili
senza finire nel bordello per sopravvivere.
Alla fine del
secolo, comunque, il fenomeno della prostituzione a Venezia e Roma era
tutt’altro che in via di estinzione, anche se le cortigiane romane avevano
ormai perduto il trattamento di favore e il ruolo di rilevanza sociale, goduto
all’inizio del Cinquecento e durato almeno sino al Sacco di Roma (1527). Il
loro numero - si calcola una media di 17 prostitute ogni 1000 donne - restava
più elevato rispetto ad altre città italiane ed europee e si caratterizzava
ancora per una certa aggressività.
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