25 dicembre 2015

“Documenti e studi” e la Grande Guerra




Pochi avvenimenti nella storia del mondo moderno hanno avuto un impatto così profondo e sofferto sulla cultura europea come la Grande Guerra.
Con il primo conflitto mondiale, infatti, la morte di massa irruppe sullo scenario della storia europea. Tra l’estate 1914 e l’autunno 1918 una striscia di terra, ora larga solo poche centinaia di metri, ora estesa per qualche chilometro, divise in due l’Europa. Era la "terra di nessuno”, dove si avanzava o si arretrava di pochissimo e ogni piccola modifica era il risultato di una tragica contabilità di morti, feriti e distruzioni. Il primo spazio di violenza della storia novecentesca: dove milioni di uomini si affrontarono con tutti i tipi di armi messe a loro disposizione dal legame, tecnicamente necessario ed economicamente vantaggioso, stabilitosi tra grande industria e produzione bellica. Già conflitto totale, la Grande Guerra era destinata a trasformare dal profondo “il mondo di ieri”, quello uscito dal lungo Ottocento, modificandone non solo le strutture sociali e politiche, ma anche la mentalità l'immaginario e i comportamenti: a ragione, negli anni successivi storici l'avrebbero definita ora come “l’età della catastrofe”, ora come l’inizio della “guerra civile europea”.

Quella vicenda, le sue cause e le sue ragioni, i suoi protagonisti tornano oggi a essere indagati in occasione degli anni centenari di quegli eventi con una sempre maggiore consapevolezza critica e l'uso di categorie interpretative e di giudizio fattesi, nel corso di un secolo, via via più raffinate e capaci di cogliere relazioni, significati, nessi in grado di illuminare logiche rimaste ancora nascoste  e contesti più ampi.

Questo numero 38 di “Documenti e studi” comincia a dare conto delle iniziative già attuate dal nostro Istituto per favorire una riflessione, la più documentata e aggiornata possibile, su quella vicenda; su come essa fu vissuta nella dimensione locale e su come si configurarono cento anni or sono nel territorio provinciale le ragioni di chi quella guerra volle e di chi a essa si oppose.

Per esempio, il convegno tenutosi, con lodevole tempestività, nella città capoluogo il 12 maggio 2015 intitolato “1915 – 2015: Lucca e l'Italia di fronte alla Prima Guerra Mondiale”, con una prima sessione, la mattina in Palazzo Ducale (presiede Gianluca Fulvetti, direttore Isrec Lu, interventi di Umberto Sereni, Università di Udine, Le ragioni dell'intervento; Marco Manfredi, Università di Pisa, Le ragioni della neutralità; Gian Luca Fruci, Università di Padova, Una guerra di immagini: neutralismo e interventismo illustrati; Pietro Finelli, Isrec Lu, Cent'anni dopo: note sulla Public History della Grande Guerra) e proseguito nel pomeriggio, presso la Biblioteca Civica Agorà, con una seconda sessione seminariale sul tema “Lucca e la Prima Guerra Mondiale (presiede Stefano Bucciarelli Presidente Isrec Lu; comunicazioni di Berto Corbellini, La repubblica di Apua; Nicola Del Chiaro, Le carte dell'Archivio di Stato di Lucca, Roberto Pizzi, Note su Lucca e la guerra; Gianluca Fulvetti, Pregare per la pace; Andrea Ventura, Il fronte interno).

I testi delle comunicazioni presentate nella seconda tornata del convegno - tranne quella di Gianluca Fulvetti - con alcuni modesti adattamenti, costituiscono la maggior parte delle pagine che seguono. A esse si sono aggiunti ancora due contributi: uno di Stefano Bucciarelli, Neutralisti e interventisti a Lucca e in provincia, l'altro di Feliciano Bechelli, Le peripezie di un fante garfagnino in guerra, che inizia un'indagine, che saremmo intenzionati a proseguire nei prossimi numeri della Rivista, su come l'evento della Grande Guerra fu vissuto e rielaborato (in questo caso poeticamente e secondo la tradizione tosco-emiliana dell'ottava in endecasillabi) da esponenti del mondo popolare e illetterato.

La sezione dedicata alle indicazioni di lettura intorno a libri e riviste significativi chiude questo numero 38 di “Documenti e studi” affidata, come sempre, alla  lettura e alla critica, ci auguriamo benevola, dei Soci dell'Istituto e dei Lettori.

redazionale

"Documenti e Studi", rivista dell'Istituto Storico della Resistenza e dell'Età contemporanea in Provincia di Lucca, n. 38, I 2015, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca, pp. 125, Euro 20,00

11 dicembre 2015

"Viaggio a Gualdo (Massarosa) " di Gianni Quilici



Al gabinetto decido dopo tanto titubare. Davanti ho la cartina della Provincia di Lucca, vedo Gualdo e decido di andarci. E’ abbastanza vicino per il poco tempo che ho a disposizione.  Ci sono stato una volta. Molto tempo fa. Mi ricordo chiesa e paesaggio, ma forse mi confondo, non ne sono certo.

Strada verso Camaiore, svolta a sinistra verso Pieve Elici-Massarosa e dopo qualche centinaio di metri, una strada stretta e tortuosa porta rapidamente al paese. Si parcheggia all’ingresso. Seduta su una panchina di pietra una bambina sembra parlare con se stessa. La tentazione di fotografarla è pungente. Fotograferei innocenza e bellezza, genuinità e inconsapevolezza. “Ciao” le dico. “Ciao” risponde. “Come ti chiami?” “Rebecca” “Rebecca?” “Rebecca” ripete lei. Mi dice qualcosa, ma non capisco. “Sei una bambina chiacchierona” le dico. “Sì io so molte cose”  “Per esempio sai quanti anni hai?”. Mi fa segno con le dita… quattro.

Prendo un vicolo dei due presenti. Pavimentazione curiosamente in sampietrini, case ristrutturate, alcune stuccate con pietra in vista, con una presenza massiccia del nuovo, una galleria con travi di legni, due forni a legno segnalati come se fossero  archeologia, un ristorante chiuso. La chiesa: una facciata banale con ai lati qualche lapide di marmo fine ‘800; il campanile di pietra e mattoni con la campana e una terrazzina sulla sommità. Dal muretto della chiesa un bel panorama con i dossi delle colline che si accavallano e in uno sfondo azzurro il mare che sbuca.


Un cartello segnaletico disegna un percorso circolare, che attraverso un sentiero tocca il paese vicino di Montigiano per ritornare a Gualdo. Infatti dopo un centinaio di metri inizia una strada sterrata. Una di quelle strade che ti viene  voglia di percorrere, anche per la luminosità del mattino. Una strada dapprima con l’erbetta centrale come spartiacque, che diventa poi un miscuglio tra terra, ghiaia, sassi e fogliame, che sale con curve che aprono non si sa che scenari.  Si vede camminando la chiesa più in alto e l’insieme del paese che scende nella sua compattezza racchiusa dalla natura e si percepisce appena il fruscio di foglie che lievi scivolano a terra.

Al ritorno mi siedo su una panchina e scrivo

Là dove siede la panchina
che comodamente posa
senza problema alcuno
rivedo in rapidi lampi
ciò che sono stato
come fosse film
che si srotola a ritroso
ciò che appena visto
velocemente si perde:
la villettina grigia troppo squadrata nel contesto
il cane biancastro che la catena mal sopporta
l’olivo appena nato sull’olivo appena morto
la foglia d’un giallo fulgido luminoso 
caduta

Gualdo comune di Massarosa. Martedì 8 dicembre 2015.

10 dicembre 2015

"Giannetto Salotti" di Maria Teresa Landucci


                    Foto di  Maria Teresa Landucci

Nell'atelier della casermetta San Martino, sulle mura urbane di Lucca, l'arte del maestro Giannetto Salotti ... ovvero l'amore per i corpi, le innumerevoli declinazioni dei volti (e relative psicologie), l'astrazione della forma, che ora diviene linea spigolosa, ora superficie sinuosa.

                        foto di Maria Teresa Landucci
È un lavoro di sintesi quello del maestro Salotti, il cui soggetto viene asciugato nella forma, espresso in volumi sintetici, liberato da quei dettagli superflui che distolgono dall'essenza.

                    foto di Maria Teresa Landucci
 Non forme inanimate, cristallizzate nella materia, ma corpi che prendono vita, in posture sempre naturali, spesso pudiche,  talvolta ostentate. Flessuosi e slanciati come statuette etrusche, formosi e sensuali come Veneri preistoriche. Corpi bambini o corpi maturi, plasmati dalle potenzialità espressive dei diversi materiali da lui sperimentati. Pietra, metallo, legno, terracotta, gesso, comunicano e trasmettono quello slancio vitale insito nelle sue opere.
                                               foto di Maria Teresa Landucci
Ed ora questi corpi attendono una loro collocazione, un degno contesto dove continuare a vivere. Ce lo auguriamo noi, suoi concittadini, oggi,  trascorso un mese dal giorno della chiusura al pubblico del suo atelier, nella casermetta San Martino, luogo che per lungo tempo ha accolto il maestro ed ha rappresentato il contesto ideale per il concepimento di numerose delle sue opere.

08 dicembre 2015

La guerra dei "non morti" contro i vivi: 
nuove cronache dalla resistenza italiana 

di Luciano Luciani

Rivendico, con qualche orgoglio, la mia appartenenza alla generazione diventata adulta con l’immaginario plasmato dalla Notte dei morti viventi (1968): mille volte meglio crescere con dentro le stupende immagini in bianco e nero di George Romero, che quelle colorate e sciocchine della Notte prima degli esami (2006) di Fausto Brizzi.

Sono stato fortunato e il libro Italian Zombie 2, nuove cronache della resistenza, 80144 Edizioni, pubblicato a quasi 50 anni di distanza, me lo conferma: sì, per nessun merito particolare se non quello anagrafico, ho avuto la possibilità di assistere alla nascita di un nuovo genere, un nuovo continente fantastico, con i suoi codici, con le sue convenzioni, che, rielaborato e aggiornato da alcuni giovani scrittori italiani, è riuscito ad arrivare a oggi, al nuovo secolo e al nuovo millennio. Pagine che ripropongono una nuova radicale riflessione sul tema della morte, che ha investito il cinema, la televisone, la scrittura, la cultura popolare: dietro l’idea dei morti viventi, dietro la metafora dei "morti non morti", c’è la dialettica, eterna, universale, genuinamente tragica, dell’uomo che cerca di dimenticare se stesso come essere mortale, come creatura caduca e peritura; dell’individuo che rifiuta di riconoscersi parte di una incessante vicenda di distruzione e dissipazione simile a quella degli animali, delle piante, della materia tutta.

La novità di questa riflessione viene poi modulata attraverso alcuni patti narrativi ricorrenti e condivisi:

per esempio, l’assedio. Una dimensione insieme epica e claustrofobica in cui si esercita il conflitto, la resistenza, si pratica una faticosa sopravvivenza, meglio se di gruppo anche se questo spesso è infido e percorso da fratture e contraddizioni;

il mistero: perché quell’attacco? Perché quel contagio, quel ribaltamento dell’ordine naturale delle cose e delle relazioni? Assolutamente privo di significato, non ha spiegazioni.
la mostruosità: la vicinanza tra uomini e mostri rende gli uni simili agli altri; sfumano le categorie di bene e di male. Sono più mostruosi i mostri, i morti viventi, agitati da una pulsione inconoscibile, o quelli che accanitamente danno loro la caccia?

Le storie, le "cronache di resistenza" collocate sui verosimili scenari contemporanei di alcune nostre  città -  Torino, Lucca, Milano, Genova, Roma - raccontano con delirante lucidità i bassifondi della modernità a noi più vicina; sono, questi racconti, gli specchi ustori della faccia nascosta della ragione dominante, descrivono il lato in ombra dei nostri anni, la sua metà oscura... E sono davvero bravi gli Autori - Euro Carello, storia di Carlo Zulian; Maurizio Antonetti, storia di Luca de Luca; Francesco G. Lugli, storia di Francesco Agliardi; Anna Bruni, storia di Luca Bisio e Manfredi Giffone, lettera di Manfredi Giffone - a declinare lo spettacolo desolato delle nostre città in mano ai morti viventi, al crollo repentino di ogni relazione civile, parentale, amicale e i suoi imprevisti risvolti, le inattese torsioni morali e culturali di un mondo dominato dai dagli "italian zombie".

Una possibile conclusione? Anche nel Bel Paese gli uomini vivi non sono migliori dei morti viventi; peggiori, se possibile. Meschini, arroganti, incapaci di concepire il nuovo e di adattarsi a esso, per loro sarà davvero difficile  sopravvivere.


AA.VV, Italian zombie 2 - Nuove Cronache dalla resistenza, 80144 Edizioni, 2015

07 dicembre 2015

“Minetti” di Thomas Bernhard, con Eros Pagni, regia di Marco Sciaccaluga





di Gianni Quilici

Per una fortunata combinazione ho avuto la possibilità di assistere ad un evento teatrale di primo ordine Minetti di Thomas Bernhard con Eros Pagni per la regia di Marco Sciaccaluga.
L’evento ha due nomi, forse tre.

Il primo è Thomas Bernhard e la sua opera “Minetti”, personaggio reale, considerato da molti il più grande attore di teatro tedesco del secondo dopoguerra, che, tuttavia, lo scrittore austriaco ha trasfigurato a sua immagine e somiglianza, trasferendo in lui quei caratteri disperatamente ossessivi, di cui è percorsa tutta la sua opera.

Un’ossessione paranoica che assume una forma circolare, tornando di continuo su se stessa. Questa paranoia non è però fine a se stessa, perché da un lato allarga il personaggio e lo approfondisce, ce ne fa comprendere le ragioni individuali, sociali ed estetiche, senza però definirlo una volta per tutte; dall’altro questo martellamento ossessivo, che mescola tragedia e ironia, diventa anche musica, sia pure paranoica.

Il secondo dei nomi è Eros Pagni, che da solo regge la scena per più di un’ora e mezzo, impresa psico-fisica già considerevole, tanto più che a sorrisi complici o cattivi alterna scoppi furibondi di ira e maledizioni senza appelli.  
Di più, Eros Pagni non recita, ma interpreta un personaggio difficilissimo, un attore-artista che rivendica la sua arte contro tutto e tutti, contro il teatro e la letteratura classica consolatoria, contro la società stupida e feroce e contro il pubblico stesso.
E lo interpreta con una modulazione della voce e del volto, intrisi di molteplici sfumature: la nostalgia del ricordo, l’ironia intessuta di disprezzo, l’esaltazione di sé e della sua grandezza fino all’esplosione di urli terribili di rabbia e di dolore.
 Eros Pagni ha il merito di evitare l’istrionismo dell’attore che celebra se stesso, la sua bravura gigionesca, come altri, di lui più famosi, hanno fatto e fanno; si fa invece personaggio, ne comunica la sua dolorosa, intima verità. E’ l’attore che si nega in quanto attore recitante nel momento stesso che nega il teatro in quanto teatro celebrativo.

Ho immaginato vedendolo un film che raccogliesse la pièce con la mobilità del suo linguaggio, che avvicina o allontana, con il montaggio che dà un ritmo ulteriore. Ho pensato ad  uno dei numerosi film da camera di Bergman o a un film tipo Le lacrime amare di Petra Von Kant di Fassbinder, dove il teatro diventa cinema, nell’alternanza tra primi-primissimi piani e campi medi-piani d’insieme.

Il terzo nome va insieme alla regia di Marco Sciaccaluga, che ha colto lo spirito profondo dell’opera, alla scenografia minimalista  di Catherine Rankl, alle musiche di Andrea Nicolini funzionali al dramma con un  interrogativo. La società dello spettacolo con le maschere vuote e schiamazzanti, prive di parole e di senso, che fanno da contrappunto alla tragedia di Minetti è povera cosa rispetto alla grandezza del monologo. Ma qui, credo, entrano in gioco le risorse economiche, insufficienti forse a creare  uno spettacolo degli occhi, sia pure artificialmente vuoto.

Nella notte di San Silvestro con maschere e luci, musica e petardi il vecchio grande Minetti indugia nella hall di un albergo di Ostenda, dopo 32 anni, mentre fuori infuria una tempesta di neve. Attende un direttore di teatro che vuole riportarlo sulla scena nel ruolo da lui celebrato fino all’identificazione di Re Lear. Nella lunga, inutile attesa parla di sé e della propria arte, evoca frammenti della sua vita (reale o immaginaria?), inveisce contro l’arte classica, il pubblico e la società tutta,  rivolgendosi al personale dell’hotel, a una signora prima e a una ragazza dopo.

     
MINETTI
di Thomas Bernhard
versione italiana Umberto Gandini
con Eros Pagni, Federica Granata, Marco Avogadro, Nicolò Giacalone, Giovanni Annaloro, Mario Cangiano, Marco De Gaudio, Roxana Doran, Daniela Duchi, Michele Maccaroni, Daniele Madeddu, Sarah Paone, Francesco Russo, Emanuele Vito
scena e costumi Catherine Rankl
musiche Andrea Nicolini
luci Sandro Sussi
regia Marco Sciaccaluga
13 ottobre - 1 novembre 2015
Teatro Duse. Genova.




"ilMorandini 2016" di Laura, Luisa, Morando Morandini

di Mimmo Mastrangelo

Era sottilmente ironico anche con se stesso Morando Morandini. C’era un tempo che si presentava in critico cinematografico “nato a Milano nel 1924 da famiglia lombardo veneta”, ma  quando poi ha fatto irruzione sulla scena politica la Lega di Bossi a quel marchio, ” da famiglia lombardo veneta”, non volle far più riferimento. Non voleva sentirsi  un intruppato anche per solo dicitura  delle camice verdi della Padania.

Il maestro, il decano della critica è morto lo scorso ottobre nella sua Milano, che non aveva voluto mai lasciare per trasferirsi a Roma che è sempre stata la città ideale per  chi si occupa di cinematografia.   Recensore (iniziò  alla Notte di Milano, nel 1965  e per trent’anni  lavorò al Giorno), saggista,   fondatore di cineclub, interprete di se stesso in film (”Remake” di Ansano Giannarelli) e direttore di festival e rassegne (ha guidato “Anteprima Bellaria” dal 1984 al 1997), ma negli ultimi tempi il suo nome era legato al dizionario dei film “ilMorandini” che curava con    passione e professionalità  insieme alle figlie e, fin quando è vissuta, alla moglie Laura.

Sempre con  ironia diceva che faceva un mestiere da parassita in quanto  un critico opera sul lavoro  degli altri, ma con serietà  andava sostenendo  che la virtù prima di un critico  deve  essere  l’umiltà e, poi, sempre con autorevolezza  andava marcando che per scrivere sui film  non basta interessarsi solo di  cinema, si deve necessariamente aprire  l’interesse  ai libri, all’arte, al teatro.

Formatosi  sulle visioni francesi degli anni trenta-quaranta, amava gli “sguardi altri” di Eizestein, Keaton, Sokurov, e non per caso le sue recensioni si concentravano innanzitutto  sul lavoro  del regista.  Del suo dizionario – scelto e consultato da molti cinematografari  anche per non allinearsi all’altra    “corrente” filmica, quella del dizionario Mereghetti -  è appena uscita la diciottesima edizione. Con la copertina di un fotogramma dell’ultimo film di Sorrentino, “Youth-La giovinezza”, ilMorandini” 2016. (Zanichelli Editore, pag. 2062), seppur  non presenti  particolari novità rispetto a quello dello scorso anno, quando furono potenziate fortemente le schede  delle serie tv e dei cortometraggi, fa piacere ritrovare di Laura e Morando Morandini  un netto giudizio sul cinema di casa nostra che “nonostante le solite eccezioni continua a comportarsi bene  e questo ci fa ottimisticamente pensare che sia il segnale di una rinascita culturale generale”…

Per quanto riguarda le cifre “ilMorandini” 2016 presenta una rivisitazione degli spaghetti wester e viene incrementato di  trecentosessanta schede di nuovi film.

Laura,  Luisa e Morando Morandini. ilMorandini 2016. Zanichelli 2015