30 luglio 2017

“Viaggio in Puglia: Altamura” di Gianni Quilici




 Melfi meriterebbe un giro più profondo e articolato la mattina: entrare nel castello, contemplare il sarcofago, passeggiare nei vicoli del Borgo, fare un giro intorno le mura là dove ciò è possibile… ma quando i viaggi sono brevi e altre cittadine attendono…

 
Cattedrale di Rapolla
Il primo paese, raggiunto alle spalle, attraverso una strada secondaria: Rapolla. E l’inizio è preoccupante: una via asfaltata e rattoppata, case grigie, deserto umano fino a quando si trova una discesa ripida e stretta. “Dove siamo arrivati?” penso, ma ecco la strada con negozi, corpi umani, parcheggio. Vicino la piazza, dove in un angolo al fresco stazionano pensionati seduti su panche o muretti, aspettando l’ora del pranzo, “Il centro storico?” “Di là”. Perplessi si sale a piedi su strada asfaltata nel sole già alto  ed ecco in fondo una chiesa, la cattedrale di Santa Maria Assunta, con una facciata, banalmente penso, juventina, tra il bianco e il nero.
                                                                 foto Gianni Quilici
 

Appiattito come un tappeto sul sagrato un cane. Mi avvicino, alza il muso, mi guarda un istante, ritorna ad appiattirsi. Siedo anch’io nell’ombra con un venticello che mitiga il calore incombente e guardo la strada che qui si allarga confondendosi con la piazza.  Alcune donne sono sedute in un angolo, là dove sembra iniziare il centro storico, quando ecco arrivare una macchina piena di vestiti nel portellone rimasto aperto, sui sedili anteriori e sopra il portabagagli sul tettuccio. La macchina fa un giro circolare e si ferma. Ne esce un tipo, tira fuori una sigaretta senza accenderla e va a parlare con le donne. Ricordo scene uguali nella mia corte nell’infanzia e nella adolescenza. Arrivavano macchine o camioncini con vestiti o frutta e verdure, le donne uscivano dalle case, guardavano, chiacchieravano, contrattavano, mentre qui niente. Dopo avere  appena parlottato il tipo con la sigaretta spenta in mano risale in macchina e lo vedo sparire con la sua mercanzia.

 
                        foto Gianni Quilici

Il centro storico sale e discende più grande di quello che presumevo, tra vicoli stretti e case abbandonate, tra pietre, sassi e cemento, nell’abbacinante deserto umano e animale del mezzogiorno. Una donna soltanto con occhi sgranati ed una fontana. “Come si ritorna in piazza?” “Bisogna risalire e poi sempre sulla sinistra….” Andiamo. Un giovane sbuca davanti tra luci e ombre. Scatto.

 
                                                       foto Gianni Quilici

Eccomi posato su una panchina all’ombra davanti al castello di Venosa con la torre cilindrica da abbracciare nella sua possente nudità e un uomo in calzoncini corti e canottiera rossa che pedala stancamente nella luce che brucia. Il museo archeologico sta chiudendo e aprirà soltanto alle 15, come pure il Parco archeologico, che ricordo magnifico con l’abbazia della Trinità, la chiesa incompiuta e resti di anfiteatro. Possiamo soltanto fare un giro sul camminamento del castello, ma niente si vede se non case e cortili che certamente non abbagliano gli occhi. Il corso Vittorio Emanuele II attraversa il centro storico ed è anche, purtroppo, l’unica via d’accesso per le auto. Ecco la cattedrale più volte rifatta, il palazzo vescovile, e, così scrivono, la casa di Orazio, povera casa in mattoni con una sua poesia tradotta su una lapide, che fa immaginare Orazio bambino e adolescente in spazi che i suoi stessi versi rendono mitici e che si possono appena appena immaginare guardando la collina aperta davanti a noi.

 
                                                 foto Gianni Quilici

Non sempre i cartelli stradali verso Altamura sono chiari o presenti e così mi accade, ad un incrocio di strade, di dovere uscire dall’auto con aria condizionata per meglio capire.  E vengo avviluppato da una vampata imprevedibile di calore. Quando ritorno in macchina vedo 41° e mi ricordo soltanto un momento simile.  Era il primo pomeriggio, in un paese tra Siviglia e Cordoba. Finita l’acqua e una sete terribile. In strada nessuno. Entrai in un bar. Mi accolse inaspettato un buio quasi totale, qualche avventore al banco e ai tavoli in silenzio.



Una strada dritta porta ad Altamura, imbuco la circonvallazione o almeno credo. Immaginavo fosse facile scovare il B&B prenotato. Invece sono spaesato. Dove andare? Ci fermiamo in una rientranza della strada. Chiedo concitato. L’uomo mi guarda perplesso. “Venga” Va alla sua macchina, mi chiede nome e indirizzo del B&B, lo inserisce nel navigatore, trova la via, ci pensa un attimo. “Ecco devi salire su a destra, sempre dritto, finché troverai…”  Quando scoviamo la strada principale diventa, invece, un problema individuare la traversa. Solita tiritera: vedo un tipo tarchiato e calvo davanti a un bar, chiedo l’informazione, dopo un po’, da uno all’altro, con una certa concitazione, si arriva a “chi sa”. Di questa disponibilità è ricca la Puglia e a questa si aggiunge la curiosità di sapere chi sei, di interagire.

 
                                                      foto Gianni Quilici

Altamura (bel nome) ha un bel centro storico circolare ben delimitato, con al centro la piazza del Duomo e la Cattedrale romanico-gotica rifatta a più riprese, su cui si impongono il bel rosone e un ricchissimo portale. Ed è una cittadina molto viva . Così almeno l’ho percepita in una serata-mattinata. Ci ho sentito un’anima popolare, poco borghese. Una festa per la Nikon per quella pavimentazione a tratti marmorea,  per quelle piazze, per quei vicoli e vicoletti in cui ti puoi imbattere in bambini intenti a giocare, in grappoli di adolescenti,  in donne sedute fuori al fresco a chiacchierare e nella folla variegata, che scorre fino a tardi lungo  via Federico II, che attraversa da sud a nord l’intero centro storico.



Nel pieno della notte, invece, la fatica di alzarsi dal letto per una sete terribile, con l’acqua fredda del frigo quasi esaurita;  la perplessità di uscire seminudo con la bottiglietta in mano, tra vie deserte; e il piacere di trovare l’acqua fresca nella vicina fontana.  



E ancora una volta il tempo stringe: niente Uomo di Altamura, lo scheletro umano preistorico,né le mura megalitiche, neppure, a qualche Km nelle Murge, il pulo di Altamura, una voragine profonda 75 metri e larga 500 metri, abitato nell’età neolitica.

Mi giustifico:”Sarà per un’altra volta”. Il viaggio continua.          







        


22 luglio 2017

"Viaggio verso la Puglia: Melfi" di Gianni Quilici




 
Melfi: il castello
Due modi di partire: già dentro il viaggio oppure totalmente fuori come succede al sottoscritto troppo legato alle scadenze quotidiane che dovrà lasciare  e all’opposto senza aver maturato motivazioni e desideri su ciò che lo aspetta, con in più la pesantezza di avere davanti un viaggio, quello verso la Puglia, lungo, faticoso e autostradale, in cui niente contano i paesaggi,  dove invece scorre veloce e monotono la linea dell'orizzonte con la distanza che ci separa.
 
Le mura
Partenza dal luogo natio, Lammari, paese a qualche km da Lucca; colazione, lettura veloce dei quotidiani locali e a Capannori si entra in autostrada con una notizia inaspettata e preoccupante. Nel tratto che va a Firenze “code a tratti” e infatti già a Montecatini siamo inchiodati. “Se il buon viaggio si vede dall’inizio…” dico.

Con qualche affanno ecco l’autostrada del sole verso Roma e a questo punto niente più code, né rallentamenti, ma un predisporsi a vivere energicamente lo scorrere della strada con l’avvicinarsi della prima tappa del viaggio. Dopo Benevento tuttavia, l’autostrada verso Bari attraversa i confini tra Puglia e Lucania e le distese collinari di campi di grano segato giallo-arancio con decine di sfumature, con stradine o sentieri, che si perdono nel nulla stuzzicano il mio immaginario, fino a quando ecco l’uscita di Candela. Da lì una provinciale porta alla prima meta del viaggio: Melfi. Non è la prima volta che pernotto a Melfi, ma sono sorpreso: non avevo visto, maledetto me, in alto, la cintura muraria.


Non è facile trovare il B&B, posto nell’immediata periferia tra caseggiati recenti in vie anonime, che richiamano città italiane: Foggia, Venezia, perfino Lucca. Il proprietario basso, cicciotto, in calzoncini corti, maglietta bianca, con quell’immediatezza popolare priva di maschere, generoso, senza essere autolesionista ci racconterà poi a colazione un sacco di cose sui  B&B in rapporto agli hotel, su Melfi e sull’importanza della Fiat per la popolazione locale.
 
foto Gianni Quilici
Di fronte la porta Venosina, l’unica ad essere stata risparmiata dal terremoto del 1851. Mi chiedo perché le porte in una città, soprattutto se medievali, mi affascino così tanto. Forse in sé per la loro forma, forse perché tendono a delimitare uno spazio rendendolo identificabile dal resto e lasciandolo, allo stesso tempo, aperto. E la porta Venosina ha quella bellezza che mi attira: la materia povera e autentica di pietre e sassi, l’arco ogivale, le due torri cilindriche, lo stemma con il basilisco a destra e il leone rampante a sinistra.

 
foto Gianni Quilici

La strada sale verso il centro tra vie travagliate da rimaneggiamenti, vicoli e vicoletti, portali e decorazioni in pietra, fino a sbucare improvvisamente nella grande piazza. Davanti ho il palazzo dell’Arcivescovado, che, nella sera, morbidamente illuminato, colpisce nella sua geometrica lunghezza barocca, nella pavimentazione accuratamente ben disegnata.
 
foto Gianni Quilici
La facciata della Cattedrale è invisibile, ricoperta dal restauro in corso, mentre svetta il bellissimo campanile, in cui si intravedono, all’ultimo ordine in alto, due splendidi leoni di pietra basica di fattura araba.
 
foto Gianni Quilici
Il castello di Federico II si raggiunge facilmente a piedi e domina Melfi sulla sommità della collina. Da lì ci regala due inevitabili sguardi.

Davanti il castello possente con le torri, il ponte in muratura, originariamente levatoio, e il profondo e asciutto fossato. Un castello che va,  però, percorso, in tutta la sua circonferenza. E’ nella parte posteriore che si coglie, infatti, la suggestione della cinta delle mura a picco sulla nuda collina.

L’altro inevitabile sguardo: la visione sottostante della cittadina sui cui tetti si impone il campanile della Cattedrale e più in alto, nella serata serena, percorsa da un vento leggero, il bagliore della luna piena.
 
foto Gianni Quilici
Il centro storico di Melfi già alle 10 di sera è vuoto, se si esclude la grande piazza intorno al municipio. Chiuse le bottegucce e i bar, poca la gente per le vie. La porta Venosina con il torrione illuminato sapientemente dai lampioni evoca Tempo e Storia. Scatto alcune foto con luna appresso con il rimpianto che rimarranno soltanto ricordo.     



           

15 luglio 2017

Assistendo alle prove di "Capitolo zero"





di Silvia Chessa

Negli spazi del Nuovo Cinema Palazzo, in Piazza dei Sanniti 9a (Cinema autogestito da 6 anni e reso luogo di fermento culturale e politico) ho potuto assistere alle prove (aperte ed in corso, da oggi al 15 luglio) di Capitolo Zero, direzione di Laure Dupont, interpreti Elsa Taramarcaz e Alberto Franceschini, con la partecipazione speciale di Teresa Ruggeri.

Insignita del Premio Culturale 2008, del Canton Vallese, la Dupont ha fondato, tre anni fa, la Compagnie Bertha, e lavora dividendosi fra la Svizzera, l’Isola della Reunion, il Libano, ..

e Roma.


È stato un privilegio nonché fonte di suggestioni profonde poter partecipare a queste speciali prove, perché gli interpreti sono di altissimo livello e Laure, oltre a dirigerli magistralmente, mi si presenta, soprattutto, come una donna accogliente, inclusiva, dinamica, anche mentalmente, e proietta questo spirito di apertura e di perpetuo viaggio, vorrei dire di esplorazione in se stessa e nell’altra/o, all’interno della sua creazione in atto e in divenire.


La grande opportunità che Laure offre è quella di far lavorare insieme danzatori professionisti con attori, scultori, artisti vari e questo crea dinamiche, intrecci, scambi e risultati eccezionali ed imprevedibili.


Ho visto danzare, recitare, ho visto intrecciarsi artigiani del canto, della parola e della danza, ciascuno col proprio stile, ma con una strana fusione finale.

Il filo comune mi sembra rimanere quello di una riflessione sulla coppia, e sulle dinamiche che in essa avvengono: sovrapposizioni, giochi di potere, complicità ma anche duelli dove tra erotismo, lotta e stravaganze, anche fatali, non c'è quasi confine o limite..Una tensione verso l’infinito.


Assistere ai vari pezzi induce ad uno stato quasi ipnotico, ma riesco a percepire nettamente come la presenza di un’attrice, Teresa Ruggeri, porti e detti ritmi diversi, pause.. ed un livello di riflessione più profondo; in un certo senso, è la sosta necessaria al nomadismo creativo dei danzatori, la sua voce cambia di segno a quello che la danza ti ha appena comunicato..


In questa capacità, e volontà, di provocazione e sovvertimento, ritrovo anche le tematiche nonché il registro di Jean Genet il cui testo, Il funambolo, apprendo da Laure che è stato alla base della sua ispirazione, per il progetto di ricerca Inepui-Sable, del quale questo lavoro, Capitolo Zero, potrebbe ritenersi come una prima tappa.

Penso che Laura stia lavorando sulla fiducia e sull'armonia reciproca di questa variegata compagnia, insegnando e trasferendole un'idea di continuità.



“Qui è come se tu volessi inserirti nelle linee del braccio della tua compagna .. :prolungarle idealmente”, le sento suggerire direttive simili, con dolce puntualità.

Ed intuisco abbia in mente qualcosa di grande.

Nel lavoro che sta dirigendo e che, volutamente, lascia ancora aperto, coesistono echi, memorie e simboli..la solitudine e la gloria delle opere di Giacometti e la complessità di accostamenti non facili, che dunque vietano drastiche interruzioni.



“La conoscenza di un volto per essere estetica deve rinunciare a essere storica.

Ogni oggetto crea il proprio spazio infinito…” (Il Funambolo, J.Genet)



Ecco, credo che l’approccio direttivo di Capitolo Zero si ponga su questa linea di ricerca di linee, azioni sceniche e  archetipici come forse Jean Genet cercava parole fuori dagli schemi, sincerità e forza di un segno, che si faccia esemplare.



 “E se non riesco, con la sola forza del mio testo, a mettermi a nudo bisognerà che qualcuno mi aiuti. Contro me stesso, contro noi stessi - mentre queste rappresentazioni ci pongono non so come dalla parte giusta, dove non c'è posto per la poesia.”

“Estinta l'idea, splende, la parola, d'ogni virtualità abbandonata. E’ vuota. E’stata. Oggi –qui- inutilizzabile per l'atto futuro, è circoscritta, sterile. Moglie e figlie di re, Fedra, Antigone, poi morte, poi leggendarie e infine sequenza splendente di lettere – e tu- avete conquistato il prestigio assoluto: la morte.”

“Staccate dal linguaggio col mio freddo scalpello, le parole, nitidi blocchi, sono anche sepolcri.”

(Il Funambolo, J.Genet)



Credo che, in modo molto naturale ed istintivo, il lavoro di Capitolo Zero applichi questa regola aurea, della fusione, dalle parole ai danz-attori, i quali non si staccano mai fra di loro, ma fanno delle loro identità e singolarità un linguaggio o blocco unico, oceanico, esotico ma coeso, ed in perpetuo viaggiare.
 
Se queste sono solo le prove..non oso immaginare la bellezza che ci restituiranno nella presentazione ufficiale, dopo due settimane di lavoro: sabato e domenica, 15 e 16 luglio, ore 21, non bisogna mancare.