29 ottobre 2017

"La mia storia" di Lang Lang con David Ritz



di Maddalena Ferrari

E’ una storia appassionata e appassionante quella di Lang Lang, che snoda il racconto della sua formazione umana e artistica, dai primi anni di ristrettezze e sacrifici al successo e alla ricchezza raggiunti da giovanissimo, all’impegno umanitario nell’UNICEF,  rivivendo e facendoci vivere, con l’urgenza palpitante della verità presente, i momenti della sua vita, in un contesto complesso di  relazioni umane-affettive e di situazioni storiche e sociali.


Avvince la narrazione dei rapporti con gli altri, in particolare con coloro che gli sono più vicini, i familiari: il legame viscerale, intenso con la madre è vissuto a lungo come mancanza, lontananza; quello con il padre è forte, ma duro e conflittuale ( ed è singolare la sua analogia con il rapporto tra Mozart ed il padre Leopold: un genio precoce ed il suo rigido educatore ).


Ugualmente vivo è l’intrecciarsi dell’esistenza di chi racconta con la storia, la società, i  luoghi in cui essa si sviluppa. Ecco la Cina postrivoluzione culturale, dove i turbolenti fatti politici lasciano il segno nella vita delle persone , recidendo radici ataviche, spezzando rapporti profondi; la Cina, la madrepatria sempre nel cuore, dove l’artista ha modo di formarsi, ma che lo vincola con le sue regole ed il suo habitat sociale, culturale e geografico: dalla cittadina di Shenyang, piccolo centro di provincia, alla grande metropoli, Pechino, caotica, quasi invivibile, che accentua l’iniziale condizione di indigenza fino a limiti insostenibili; la Cina, dove Lang Lang trova i primi maestri: l’amata professoressa Zhu, la scostante professoressa “Rabbia”, il professor Zhao, preparato, dolce, dall’approccio psicologico; la Cina, che lui non ha mai smasso di amare, ma da cui fatica a essere riconosciuto come “figlio”, dopo che se ne è allontanato.


E poi la Germania: il paesaggio variegato e accogliente; il ricordo dei grandi musicisti del passato...

E infine l’America, la terra delle opportunità, delle grandi orchestre e delle sale famose; New York, ma soprattutto Philadelphia; un nuovo approccio con la musica; i riconoscimenti e anche le critiche...; infine il luogo e il tempo in cui Lang Lang riesce a liberarsi dalla troppo stretta tutela del padre, a diventare autonomo come giovane e come musicista.


Ma soprattutto la sua storia, afferma il pianista, è la musica: la musica connaturata nella sua testa, fin dall’immaginario fantasioso e giocoso infantile, nel suo corpo, nel suo sentire; la musica di ogni tipo; i grandi compositori scoperti  nella sua crescita; i mitici modelli  Rubinstein e Horowitz; i direttori che incontra e di cui diviene amico.

Lang Lang, David Ritz. La mia storia. Traduz: L. Noulian. 259 p. Feltrinelli


      

23 ottobre 2017

"Patria" di Fernando Aramburu



di Giulietta Isola
“Chiedere perdono richiede piu’ coraggio 
che sparare, che azionare una bomba.”

Patria narra la storia di due famiglie basche in un paese senza nome nell’entroterra di San Sebastián, un piccolo microcosmo omertoso, pieno di rancori, sospetti e minacce.
I due nuclei famigliari formati da Bittori e Txato ,Miren e Joxian ed i loro figli Nerea ,Xabier, Joxe Mari, Gorka ed Arantxa, sono legati da lunga e profonda amicizia, le vicende della loro vita si susseguono nell’armoniosa concatenazione dei capitoli e ci raccontano storie di rapporti coniugali, innamoramenti, matrimoni, divorzi, viaggi,  malattie rivelazione e morte.Sullo sfondo una regione frammentata e dilaniata dalla guerra.
 

 Una lettura che ho apprezzato molto e sulla quale voglio esprimere il mio punto di vista, non necessariamente condivisibile ed assolutamente personale.
Questa vicenda ha fornito ad Aramburu un eccellente pretesto per analizzare lucidamente il terrorismo separatista che ha sconvolto per quaranta anni il Paese Basco,  egli indica nitidamente chi sono state le vere vittime senza essere ne’ pedante ne’ caricaturale, tutti i personaggi di primo e secondo piano sono qui per raccontare la ferita profonda che ha diviso la loro comunità e le loro famiglie, sono qui per mostrare le loro cicatrici e la sottile trama seduttiva tessuta dall’Eta che faceva dire “Senza l’Eta è come camminare nude per strada. Nessuno ci difende.”
  


Ma Aramburu fa anche i conti con il passato,guarda indietro con occhi nuovi per vedere la Storia e cercare il vero significato delle cose, ripercorre decenni di guerra –di questo si e’ trattato con 800 morti assassinati, migliaia di attentati e stato costante di violenza-, indaga i meccanismi prodotti nelle menti da un sistema totalitario che ha scardinato le regole della convivenza umana in nome del nazionalismo, lo fa ad altezza d’uomo, delle vittime, degli assassini e di tutta l’umanita’ varia ed eventuale che sta in mezzo, lo fa con la sensibilità del grande scrittore mostrandoci l’evoluzione dei personaggi nell’arco degli anni.
  

Fra i temi centrali il perdono, un sentimento intimo e privato fra aggressore e vittima,e fra le pagine due straordinarie figure di donne, due madri energiche che difendono nel bene e nel male i figli e l’untuoso ed odioso Don Serapio, unico personaggio totalmente negativo che degnamente rappresenta la connivenza del clero basco ed il suo significativo ruolo nell’indottrinamento politicoo ed ancora tanti animi tormentati ed incapaci di pacificazione, umane debolezze quanto umane speranze.
 

L’Eta nasce nel 1959 sotto il franchismo,vale la pena ricordare che le sinistre di mezzo mondo si innamorarono della causa basca, con spirito romantico la accorparono, equivocando, alle guerre popolari di liberazione ed ai movimenti d’indipendenza postcoloniali, morto il Caudillo si continuò a sparare :il nemico non era Franco, ma la Spagna, il 90 per cento degli ammazzamenti firmati Eta è avvenuto in democrazia.
 

Queste pagine e questo autore guardano gli avvenimenti e chiamano a riflettere sulle storture dell’una e dell’altra parte, sulle torture perpetrate dai Gal, i famigerati gruppi antiterrorismo di liberazione, stipendiati dallo Stato per attaccare presunti membri dell’Eta (commettendo clamorosi errori) e per torturare, ci accompagnano nelle spire dell’organizzazione terroristica e della lotta armata , ci parlano del braccio politico Batasuna, del sogno di Euskal Herria, ci parlano di storia recente,tutti temi molto importanti,ma non meno importante è la rappresentazione di una società profondamente ferita e divisa incapace di riannodare i vincoli di una civile ed umana convivenza, un’operazione chirurgica raffinata che temo non sia ancora terminata a 6 anni dalla cessazione delle “ostilità”.
 

Nelle ultime pagine uno scrittore alter ego dell’autore dice durante una conferenza:
“Ho cercato di evitare i due pericoli che ritengo più gravi in questo tipo di letteratura: i toni patetici, sentimentalistici, da un lato e dall’altro, la tentazione di fermare il racconto per prendere un maniera esplicita una posizione politica. Gli scrittori baschi fino ad allora avevano prestato poca attenzione alle vittime del terrorismo. Interessano di piu’ i carnefici, i loro problemi di coscienza,il loro retrobottega sentimentale e tutto il resto.”
E mentre ”ci sforziamo di dare un senso,una forma,un ordine alla vita,alla fine la vita fa di noi quello che le va”.


Fernando Aramburu. Patria. Guanda Editore.  

03 ottobre 2017

"Cesare Brandi, o della scrittura tra Ingres e Medardo Rosso" di Davide Pugnana


 
Di Cesare Brandi possiamo anche non capire tutto. Ne siamo, anzi, quasi legittimati come dentro all'ermetica penombra trasparente di alcune pagine di Contini. La "Teoria del restauro" e, ancor di più, la "Teoria della critica" sono testi inconsapevolmente aristocratici che creano una dialettica insieme di prossimità e distanza col lettore, nel senso più alto di una sproporzione dovuta all'eliminazione di alcuni passaggi argomentativi, tipica dell'incedere ellittico dei grandi saggisti.
 

Possiamo non capire tutto di Brandi, eppure quell'elegante semioscurità ci ricompensa sempre dalla fatica della lettura. Questa vocazione filadelfica verso il lettore è tutta racchiusa nella sua lingua. Il suo modo di dominare il testo figurativo è l'uso di una lingua ricca e precisa; una lingua che organizza il controllo della forma. Naturalmente la lingua non è tutto, contano anche le idee presenti in un testo critico. Ma quando scrive, Brandi fa in modo che l'intera l'espressione visiva sia presente in ogni singola frase, anche se ogni singola frase è solo un frammento imperfetto di un'interpretazione via via approssimante verso quel mondo non scritto. Ogni sua frase sembra essere il sesamo che ci consente di entrare nel regno delle mille e una notte della realtà figurativa tradotta in scrittura. Da qui l'impressione d'esattezza delle pagine brandiane, che riesce a essere preciso anche quando parla di ciò che è sfuggente e complesso.

Due esempi:,
"Ma intendiamoci, non si vuole diminuire affatto questo genio [Ingres], che si arrampicò su se stesso, riuscì ad assidersi, come su un trono, su i suoi difetti, E che ricompensa: il più bel quadro forse lo dipinse a 82 anni, il famoso indimenticabile Bagno turco del Louvre, l’ultimo “tondo”, nel senso quattrocentesco della parola; dopo quell’altro ultimo tondo che aveva dipinto Michelangelo per i Doni. Solo al Bellini e a Tiziano capitò di arrivare così in forma alla vecchiaia: ma mentre per Giovanni Bellini e per Tiziano il percorso nel tempo valse un profondo rimescolamento, un’apertura nuova, Ingres arrivò al Bagno turco come se l’avesse dipinto un anno dopo La grande odalisca, o la Baigneuse. È che questa pittura di Ingres è stata sempre fuori del tempo, e, anche quando era ammirata, risultava sempre inattuale. Poteva così riproporsi tal quale nel 1862, quando il neoclassicismo era polvere e ossa, il Romanticismo in secca, e s’alzava l’alba trionfante dell’Impressionismo. Ma Ingres poteva avere dipinto il suo Bagno turco anche nel 1904, e Picasso averlo visto allora, con la stessa attualità con cui dentro di sé l’ha sentito, quello o quell’altro quadro di Ingres, per almeno vent’anni."
* * *
"Rosso, se possibile, esigeva nell’oggetto una partecipazione esistenziale ancora più pulsante, un’istantanea ancora più veloce; ma intuitivamente si rese conto che l’oggetto allora doveva venire “fermato” in qualcosa che fosse come il gesso in cui si stampa la forma, o rimanervi impigliato come la mosca nel miele. Egli investì l’oggetto della situazione esistenziale che apparteneva in proprio a lui, soggetto: e in questo investimento la spazialità che il modello sviluppava ritornò indietro, gli si depositò sopra come una nebbia leggera, una più densa atmosfera. Entro quel fluido di quasi medianico concepimento, la struttura fenomenica dell’oggetto, involato, fermato nell’attimo fuggente, si disfaceva in lucori appena desti, come di un lume che si accenda in una stanza buia, in fremiti pigri come di liquido denso increspato dal vento. C’era, in quelle cere, una così recente esistenzialità come d’un’anima appena sciolta dal corpo; quasi ancora imbrattata di residui di materia, in quella sua seconda nascita. Ed era il limite estremo, indubbiamente, di quanto con graduale consapevolezza, aveva costituito l’intenzionalità fissa della scultura dell’Ottocento."

01 ottobre 2017

“La ragazza con la Leica” di Helena Janeczeck




di  Giulietta Isola

La nostra Gerda,la coraggiosissima compagna che aveva dato la sua giovane vita per una lotta a cui sapeva appartenere il futuro di tutti.”


             Chi era Gerda? Un' eroina rivoluzionaria o un’ambiziosa seduttrice? Sicuramente una ragazza dotata di una innata sete di liberta’ ed una passione incandescente ,antifascista e appassionata, tanto intelligente da mettersi in ombra. Helena,in queste pagine, la guarda da vicino liberandosi dei luoghi comuni che la vedono come la ragazza di Capa,l’eroina morta sul campo,una testimone della storia che ha perseguito a qualsiasi costo i suoi ideali,una donna unica del Novecento,la guarda con coraggio e con affetto per restituircene un preziosissimo ritratto.

Il romanzo e’ diviso in tre sezioni che non rispettano il senso cronologico,le voci narranti sono quelle di due ex amanti ed una cara amica il cui flusso dei ricordi che si intreccia,si sovrappone per cogliere un’immagine di Gerda da punti di vista soggettivi molto differenti.Ognuno analizza la storia d’amore fra Gerda e Robert chi con scetticismo, chi con disincanto,ma tutti con la netta impressione di un legame diverso ed assoluto.

C’e’ una valigia in questa storia, una valigia che contiene qualcosa di speciale, la cui ricerca affannosa si e’ conclusa solo dieci anni fa,quando sono riapparsi 4500 negativi di foto scattate da Capa, Fred Stein e Gerda Taro, scatti di guerra,ma non solo, c’e’ anche una foto che ritrae due giovani sorridenti in un caffe’ parigino,sono Gerda e Robert,questa immagine e’ la scintilla che da l’avvio alla storia.Come interpretare la serenita’ dei loro sguardi? Cosa ha visto il fotografo? Cosa vediamo noi? Cosa inventa la nostra immaginazione di fronte a questa spensieratezza? In fondo si tratta sono solo due giovani innamorati,lei si e’ spogliata della giacca, lui ha il giubbino aperto,non si accorgono di essere fotografati,sono illuminati dal sole nel dehors di un caffe’,Gerda nata Pohorylle e’ gia’ Gerda Taro ed il magiario Endre Friedmann e’ gia’ stato, da lei, ribattezzato Robert Capa,una leggenda,uno dei piu’ grandi fotografi di guerra del Novecento,due persone generose e talentuose la cui storia scorre di pari passo con la Guerra Civile Spagnola e le Brigate Internazionali,la Germania in preda alla disoccupazione prima dell’avvento di Hitler e la morte tragica di Gerda stritolata dai cingolati di un tank in Spagna a 27 anni.

Helena ripercorre la storia di un’epoca che ci suona famigliare per i collegamenti con la crisi attuale,le famiglie impoverite e drammi personali e sociali sempre piu’ diffusi e poi,pensandoci bene,anche la storia di Gerda e’ storia di erranze,fughe e comunita’ sovra nazionali oltre ad essere storia della grande fotografia e di una donna unica,libera e vitale che ho avuto la fortuna di incontrare nelle pagine di questo libro.

“Una donna smaliziata,un’amante dalla grazia principesca,un talento naturale che non somigliava alle borghesi ne’ alle proletarie. Era la gioia di vivere. Qualcosa che esisteva,si rinnovava,accadeva ovunque.”

Helena Janeczeck. La ragazza con la Leica. Edizioni Guanda