14 agosto 2021

La bambina dell'hotel Metropole" di Ljudmila Petrusevskaja

 

di Giulietta Isola

Ogni uomo è allo stesso tempo padre, figlio e individuo unico al mondo. E ogni donna è figlia di sua madre e madre di sua figlia o di suo figlio, e al contempo è creatura a sé, che a nessuno somiglia. E ciascuno è uno e trino: figlio, genitore, persona.

L’autrice russa Petrusevskaja ci regala un memoir crudo, scritto senza pietismo ma semmai con ironia e sarcasmo ed uno stile vivace e diretto ,una scrittura densa e malinconica che ci racconta la storia sofferta della sua infanzia trascorsa nel dolore di una emarginazione totale, una costante lotta per la sopravvivenza aggrappata alla certezza di avere diritto a un briciolo di felicità. 

            La sua famiglia appartiene all’intelligencija moscovita, ne è molto orgogliosa. Ricorda l’adorato bisnonno Tato, medico in fabbrica che curava tutti i poveracci che si rivolgevano a lui e per questo fu licenziato e costretto a esercitare solo dove dilagavano epidemie e peste, un bolscevico dedito agli oppressi ; e che dire di suo figlio, Vladimir Il’ič, “l’uomo del Volga”, che accettò nel partito l’allora quindicenne Majakovskij? Passando per sorelle e relativi mariti deportati o fucilati… E poi a seguire il nonno Jakovlev un famoso linguista che fondò il circolo linguistico di Mosca e che fu tra i fondatori della fonologia strutturale; parlava ben undici lingue e cominciò a traslitterare le lingue caucasiche in caratteri latini, creando circa settanta nuovi alfabeti, ma… osò contraddire Stalin e finì in un ospedale psichiatrico. 

            A questo punto l’autrice si presenta, rievocando l’episodio della sua venuta al mondo e dei suoi primi ricordi confusi, della sua vita da derelitta con la nonna e la zia a Samara , senza scuola, affamata, vagabonda chiedendo l’elemosina fin quando, un “bel giorno”, la mamma non la riporta con sé a Mosca. 

            Arrivata nella capitale, avrà la possibilità di ricevere un’istruzione, vivrà errando (dalle kommunalka a sotto a un tavolo) fino alla laurea in giornalismo e alle successive esperienze lavorative. Nelle pagine che scorrono, nessun episodio di violenza e crudeltà viene dimenticato, il lettore non è risparmiato né protetto, ma reso testimone del lato oscuro del socialismo sovietico.  

          Stupefacente è l’ardente ed esplicito desiderio dell’autrice di restituire lustro e dignità alla memoria dei suoi parenti scomparsi e spesso trucidati a causa della loro dissidenza, si intuisce lo sforzo per trattenere tutti i ricordi della sua vita, i volti delle persone che l’hanno popolata con le loro esistenze; il potere ha tolto loro tutto ciò che avevano di materiale ed in alcuni casi anche la vita. 

         La memoria di loro è rimasta viva tra queste pagine dalle quali esce prepotente un grido di angoscia che il lettore percepisce assieme al tormento di una donna , la cui famiglia di “nemici del popolo” è costretta alla fuga e all’emarginazione, una rivalsa anticonformista che rifiuta e rompe le regole imposte nella Russia staliniana. 

         L’opera è contestualizzata principalmente tra Mosca e Samara e si muove in un arco di tempo discretamente ampio (dai primi decenni del ‘900 fino alla fine degli anni Settanta),alla fine del volume ci sono dei racconti che si rifanno ad alcuni episodi , scampoli di memoria significativi della vita di questa autrice audace e libera. 

                                Mi è piaciuto molto e lo consiglio.

LA BAMBINA DELL’HOTEL METROPOLE di LJUDMILA PETRUSEVSKAJA FRANCESCO BRIOSCHI EDITORE

 

07 agosto 2021

"Tra contagio e memoria. Liber familiaris" di Marina Luciani

 

Il riferimento forte dei padri

            Giuseppe e Fernando Luciani, romani di origine ciociara, nati entrambe intorno alla metà degli anni Venti del secolo scorso, sono accomunati nelle pagine di Tra contagio e memoria. Liber familiaris dal filo rosso che in vita li ha sempre uniti. Ovvero l'appartenenza politico-ideologica: il loro essere stati militanti consapevoli di quell'intellettuale collettivo rappresentato dal Partito comunista italiano e, ognuno al suo posto di lavoro, sindacalisti impegnati nella difesa e promozione dei diritti dei lavoratori. 

Esistenze, le loro, dense oltre che di un senso forte della famiglia, anche di valori ideali alti e di speranze in un riscatto sociale e culturale non solo individuale, ma collettivo, non solo materiale, ma morale. 

          Un'eredità impegnativa che i figli e i nipoti hanno cercato, e cercano a tutt’oggi, ognuno a suo modo, di onorare, raccogliere e declinare nel loro tempo e nel loro segmento di Storia. Con maggiore o minore successo: sempre, comunque, avendo negli occhi e nel cuore il riferimento forte dei padri. 

        Figlia e nipote, Marina racconta il padre e lo zio, i fratelli e i cugini, nei faticosi percorsi personali che hanno attraversato l’intero Novecento.

 Marina Luciani, Tra contagio e memoria. Liber familiaris, La Grafica Pisana, Bientina (Pi), 2021, pp. 104, euro 12,00

05 agosto 2021

"Country Girl" di Edna O'Brien

 

di Marigabri

           Edna O’Brien, la grande scrittrice irlandese che fu messa al bando quando nel 1960 uscì il suo primo libro, “Ragazze di campagna”, decide di avventurarsi nell’autobiografia.

           Nel prologo Edna racconta di essere appena stata definita “un pianoforte rotto” dalla ragazza che l’aveva sottoposta al test dell’udito e prescritto un apparecchio acustico che lei non riuscì a mettere mai.

           “ ‘Un pianoforte rotto’ mi ronzava di continuo nelle orecchie, nelle sue varie accezioni, e malgrado ciò mi fece pensare ai tanti doni della vita: aver conosciuto gli opposti di gioia e dolore, amori incrociati e amori non corrisposti, successo e fallimento, fama e biasimo […] eppure, ciononostante, continuare a scrivere e a leggere, essere tanto fortunata da riuscire a immergermi in quelle due intensità che fanno da contrafforte a tutta la mia vita”.

          Fu così, che una volta a casa, mentre l’aroma del pane caldo, “portatore di ricordi”, si diffondeva intorno, “nel mio settantottesimo anno di vita, mi sedetti e incominciai a scrivere l’autobiografia che avevo giurato di non scrivere mai.”

          Edna ritorna al tempo dell’infanzia a Drewsboro, villaggio agricolo immerso nella contea di Clare, “luogo sacro” per eccellenza, la cui intima essenza coinciderà per sempre con il nome incancellabile di “Casa”. La cornice naturale e la vocazione alla scrittura si intrecciano. “Mi piaceva scrivere all’aperto, nei prati. Le parole correvano insieme a me. Scrivevo storie immaginarie, ambientate nella nostra torbiera o nell’orto, ma non mi bastava, perché volevo entrare dentro le storie nello stesso modo in cui tentavo di ritornare nel ventre di mia madre”.

          Poi la fanciullezza nel convento di suore dove riceverà la sua istruzione, l’educazione religiosa rigidamente cattolica, e conoscerà soprattutto i turbamenti del suo primo amore adolescente. L’ambiente asfittico e bigotto trattiene la giovinetta tra le sue grinfie e misura la sua forza di opposizione e resistenza.

           Ma “il mondo con tutti i suoi peccati e le sue malizie e le lusinghe, mi stava chiamando”. E sarà Dublino ad aprirle gli occhi sul mondo e su se stessa. “Ero affamata come un lupo. Di cibo. Di vita. Di storie che avrei messo per iscritto, ma ogni cosa era effervescente e in divenire per il mio cervello sovraeccitabile.”

          Edna ha vent’anni e la collaborazione a una rivista le fa conoscere il suo futuro marito Ernest Gebler, molto più vecchio di lei, acido e platealmente invidioso del suo talento, dal quale avrà due amatissimi figli e una grande parte di infelicità.

          Negli anni Cinquanta è a Londra dove ferve la vita, la musica e la cultura e nel 1960 scriverà il suo primo romanzo. “Piansi parecchio scrivendo ‘Ragazze di campagna’, ma quasi non mi accorgevo delle lacrime, e comunque erano lacrime buone. Cadevano su sentimenti che non sospettavo nemmeno di avere.” Il libro sembrava scriversi da solo aprendo lo scrigno dei ricordi dal quale usciva un mondo di memorie amare e ardenti.

          Quel libro (non meno che il suo trasgressivo matrimonio) le valse la rottura definitiva con la sua famiglia e con il suo ambiente di origine.

          Poi la tormentata separazione, la gloria effimera e la ricaduta nell’indigenza, gli incontri e i viaggi a New York, la ricerca dell’amore e gli inevitabili naufragi. L’attaccamento alla scrittura e il tormento per la sua periodica assenza. E i brevi folgoranti ritratti. R.D.Laing, Jackie Kennedy, Philip Roth, John Houston… E anche il genio irlandese incarnato da Joyce (autore di culto) e da Beckett, statuario nel suo impenetrabile silenzio. L’Irlanda, sempre. Sentiamo Beckett (un altro espatriato) dire: “ ‘Non c’è alcun bisogno di tornare’, ma io sapevo che non avrebbe potuto scrivere dei fossi e delle margherite e della terra coperta di rovine se non l’avesse amata, quella terra, nella sua splendida e triste e immortale solitudine.”

          E infine il ritorno a Drewsboro, la ricerca vana della casa ideale, del luogo ideale, dell’amore vero.

          “Ma io ero tante persone.”

 Delle diverse anime di Edna O’Brien qui si può avere un assaggio. Del suo talento innegabile una ulteriore conferma.

 Edna O'Brien. Country girl. Elliot.

01 agosto 2021

"Le acrobazie" di Alessandro Trasciatti

 

 di Luciano Luciani

               Autore di testi di assoluta concisione, in genere declinati in chiave bizzarra, eccentrica, surreale, lo scrittore lucchese Alessandro Trasciatti trova i suoi maestri soprattutto negli scrittori d’oltralpe sette-ottocenteschi, purché in odore di maledettismo e capaci delle arditezze dell’umorismo nero. 

            Laureatosi in letteratura francese all’Università di Pisa con Francesco Orlando (1934-2010), il critico freudiano, Trasciatti ama scrivere storie intrise di elementi onirici e raccontare di situazioni e personaggi oscillanti tra la realtà e il sogno che non di rado sanno anche trovare la via per trasformarsi in incubo. 

            Così leggiamo in una paginetta introduttiva di questo libro: “È inutile. Questo libro è nato male. Non ci sarà mai niente che lo tiene insieme. Non diventerà mai un libro compiuto. È tutta una minutaglia di schegge scritte nell’arco di vent’anni che nessun editore pubblicherà mai. Passare dall’una all’altra è un’acrobazia.” 

            In tal modo l’Io narrante spiega la sua impresa editoriale e, fedele alle sue intenzioni spiazzanti, ci sorprende a ogni breve capitoletto. Dapprima con i suoi Rifugi illustra luoghi, momenti, situazioni, riti, problematiche certezze alla ricerca di un centro di gravità personale, se non permanente almeno di qualche stabilità in quel diuturno rollio che è la vita. 

             Quindi, nella seconda sezione, Infanzia e prolungamenti d’infanzia, l’Autore padroneggia da par suo memorie di esperienze forse mai vissute o forse sì, di fantabiografie, di festività natalizie ancora di là da venire, di luoghi reali rivisitati alla luce di un ricordo vergognoso e stranito… 

           Ma è nei Casi clinici e onirici che l’affabulatore toscano offre le prove migliori del proprio talento narrativo: una prosa scabra, incisiva, tagliente e puntuta come un bulino per pagine di alto artigianato letterario capaci anche di emanciparsi dalla costrizione della brevità a tutti i costi. 

         Sospese tra realtà e fantasia, in genere rispettata la prima almeno nei suoi tratti essenziali della contemporaneità e ben governata la seconda, Trasciatti inanella storie scontrose e strambe di allucinazioni visionarie, che ora si fanno pseudo-studi di caratteri, ora, di rado, cedono al gusto dell’orrido e del malato proprio di tanta scrittura romantico-gotigheggiante. 

          In genere inizialmente ilari, i suoi racconti si fanno via via desolati, strazianti di un realismo fantastico senza speranza sempre corretti, però, da una vena ironica e autoironica che rende accattivanti al Lettore anche i passaggi più lancinanti. Tentativi di appagamento di un desiderio, i sogni esposti nei Casi clinici e onirici si risolvono di solito in maniera frustrante, deludente, deprimente… 

         E se è vero che un uomo si giudica con maggiore sicurezza da ciò che sogna piuttosto che da ciò che pensa, allora qualcuno potrebbe dire che l’Io narrante di Acrobazie sia alle prese con grossi problemi… Noi, invece, col grande drammaturgo francese Eduard Bourdet, siamo convinti che “quando ci si può guardare soffrire e raccontare quanto si è visto, significa che si è nati per la letteratura”.

 Alessandro Trasciatti, Acrobazie. Storie brevi e brevissime, Il ramo e la foglia edizioni, Roma, 2021, pp. 84, Euro 13.00