25 ottobre 2005

Maremma rossonera di Leonardo Conti

di Luciano Luciani

Maremma rossonera, ovvero dodici racconti più un romanzo breve: dodici più uno uguale a tredici, numero da sempre infausto, per vari motivi… D’altronde, il rossonero del titolo rimanda al Diavolo, quello milanista, e quindi tutto torna… Insomma, dodici racconti più un romanzo breve che trattano di sport, o meglio di tifo: non quello violento, cupo e cattivo degli ultras, piuttosto quello degli innamorati dello sport come metafora della vita, il calcio, ma non solo; quel sentimento che porta ad intrecciare la presenza costante sulle gradinate o nelle curve degli stadi con l’impegno, che è sociale e culturale insieme, nei campionati minori o addirittura minimi degli allievi, degli esordienti, dei pulcini, degli amatori…; piccole squadre di periferia, vivaio delle formazioni più grandi e più importanti, laboratori non solo di agonismo, ma di faticosa educazione alle complicatezze della vita civile. Leonardo Conti è tra i pochi, anzi pochissimi, in grado oggi di raccontarci questi mondi che sono tanta parte della nostra esistenza quotidiana. E lo fa intanto con la ragione e con un cuore nutrito di memoria sportiva: dalle sue pagine riaffiorano figure mai dimenticate dell’immaginario sportivo collettivo, dirigenti, giocatori e allenatori, grandi campioni e onesti lavoratori del pallone. Oriali e Bordon, Bulgarelli e Fraizzoli; Angelo, Marco, Bedi Moratti e Peppino Prisco; Lippi e Collovati; il sampdoriano Chiappa; Domenghini e Facchetti, Helenio Herrera e Mazzola, Giuliano Sarti e un maledetto pallone lubrìco, Antonio Valentin Angelillo e Fabrizio Casazza, portiere blucerchiato non proprio celeberrimo, senza obliare l’indimenticabile Ernesto Cucchiaroni e Paolo Rossi. Nomi che ci dicono come l’occhio di Leonardo sia ancora pieno delle geometrie calcistiche dei formidabili anni Sessanta e Settanta, come il suo sentire calcistico si alimenti soprattutto di campioni e imprese del passato: non è senza significato che il suo primo racconto Intervista a un tifoso inizi con un “Ormai allo stadio vengo poche volte”: sfiducia nel calcio di oggi? Forse: certo è palpabile nelle sue storie un velo, ma lieve, di struggimento e di nostalgia. Ma chi l’ ha detto che una punta di rimpianto sia un male?
Tra i pregi di Maremma rossonera, titolo che nasce da uno dei racconti più intensi della raccolta, quello di non aver appiattito tutta l’ispirazione sportiva alla sola nobile arte della pedata: c’è posto, infatti, anche per il ciclismo (due racconti, On pense a toi e La prospettiva di Franco, dedicata a Franco Bitossi) e un bellissimo omaggio (Una specie di Dalai Lama) a uno degli sport più duri e trascurati, il rugby. Poi, onore al merito, Leonardo Conti non esita a contraddire la consolidata, banale e diffusa equazione del tifoso come tipo umano volgare e ignorante: i suoi racconti sono ricchissimi di riferimenti a tutta la cultura letteraria della seconda metà del Novecento. Pasolini e Volponi, Oreste Del Buono e Beppe Viola, poeti raffinati come Berto Bellintani e Vittorio Sereni, Mario Soldati e Luciano Bianciardi. Il cui spirito, agro e anarchico, maremmano e milanista, aleggia su tutte le pagine di Maremma rossonera e, Leonardo Conti non me ne voglia, ne ispira le migliori. Per esempio, quelle di Fiorenza bianca e nera, racconto lungo col respiro del romanzo, ricostruzione, con la mentalità di un tifoso della Fiorentina dei giorni nostri, della storica battaglia di Campaldino (1289) tra guelfi fiorentini e la coalizione ghibellina guidata dagli aretini. “Il vero evolversi di uno dei più importanti eventi del nostro Medioevo”, narrato, mediante uno straordinario corto circuito passato/presente, col linguaggio becero di Foresto Fedi, amico per la pelle di Dante Alighieri, Guido Cavalcanti e Lapo Gianni e fondatore di uno dei primi nuclei organizzati della tifoseria viola d’allora… Un’operazione del genere, finora, l’aveva tentata, e con successo, solo Luciano Bianciardi nel suo indimenticabile Aprire il fuoco: Leonardo ci riprova e realizza le pagine più godibili del suo libro.
Luciano Luciani

Leonardo Conti, Maremma rossonera, edizioni Il Grandevetro/Jaca Book, collana I Vagabondi, 2004, Euro 9,00, pp.128

Jacopo Corso Cresti, Le latitudini dello stupore

Quando l’horror si fa splatter  


di Luciano Luciani



In libreria da poche settimane, Le latitudini dello stupore, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca 2005, opera prima di Jacopo Corso Cresti, appare in grado di offrire più di un motivo di curiosità ai lettori: le undici storie che costituiscono la raccolta appaiono sospese tra la magia del viaggio (verso altre latitudini, ma anche nel passato remoto o nella memoria familiare recente) e gli stupori, le sorprese non sempre piacevoli che ogni esplorazione del nuovo porta con sé. Può sembrare paradossale, ma oggi, nell’era della rivoluzione delle comunicazioni e dei trasporti, non c’è più un posto sicuro dove andare o dove stare: dalla capillare diffusione della microcriminalità al terrorismo, dai nuovi virus in circolazione alle crescenti tensioni sociali e internazionali, tutto concorre a rendere insicuri non solo i nostri movimenti, ma anche la nostra dimora. L’Autore, fiorentino, neppure quarantenne, rielabora allora questa incertezza diffusa e la trasforma in spunto letterario, in ispirazione per pagine che trattano dell’orrore senza nome che, consapevoli o meno, ci cammina accanto dovunque: nel Sud-Est asiatico, come nel Mato Grosso; in un ristorante di Pechino come nel deserto del Maghreb o tra i “pueblo” della Baja California. Ma non è necessario spingersi così lontano per incontrare i “buchi neri” che si aprono d’improvviso nel nostro quotidiano: può accadere in una villa misteriosa di Forte dei Marmi o in una grotta, di quelle frequentate la domenica dagli spelelogi dilettanti; oppure, per averne nozione forse basta scorrere la liste delle più famose pop star scomparse negli ultimi trent’anni…
Tra cronaca e fantasia, Jacopo Corso Cresti si muove con la sicurezza del narratore di razza: attualizza antiche paure, le aggiorna agli inizi del millennio e, quindi, le “globalizza”. Così, un dono, un idolo esotico acquistato nella lontana isola di Bali e portato alle nostre latitudini per fare colpo su un donna tanto bella quanto disattento si trasforma in un orribile e feroce strumento di morte… E non è particolarmente raccomandabile neppure la ricerca dei ristorantini tipici e dei cibi caratteristici nella Pechino dei nostri giorni in bilico tra comunismo, capitalismo e un tempo senza tempo che crea creature da incubo… Insomma, anche se l’orrore dimora agli antipodi c’è poco da stare tranquilli e fin dal primo racconto il lettore si rende conto che la paura e l’inquietudine possono raggiungerti sempre e dappertutto. Temi propri del folklore e leggende metropolitane si mescolano nelle storie di questo affabulatore di talento, insieme all’idea, antica e modernissima, di una Natura organismo vivente che, se indagata, sondata, esplorata senza simpatia e senza amore, si ribella a quanti vorrebbero usarla e strumentalizzarla volgarmente: allora reagisce e rifiuta con ferocia ogni modernità, ogni omologazione grossolana e volgare
I materiali con cui Jacopo Corso Cresti costruisce le sue storie splatter (parola inglese onomatopeica che fa riferimento al calpestio, allo spiaccichio che, se produce una sensazione di schifo pure, al tempo stesso, ci attrae) provengono da appassionate e reiterate letture di fumetti, di romanzi di Urania, di telefilm americani e giapponesi, di film del genere B movies, di cartoni animati unitamente a preoccupazioni ecologiste corredate da un’informazione scientifica non disprezzabile: un back ground ancora poco conosciuto e meditato, ma che ha contribuito potentemente a plasmare gli immaginari collettivi di intere generazioni di giovani occidentali che in queste storie e nelle immagini relative hanno trovato il modo di esprimere i turbamenti, le paure e le inquietudini dei loro tempi complicati e difficili.

Luciano Luciani

Jacopo Corso Cresti, Le latitudini dello stupore, prefazione di Mario Spezi, Collana Via Lattea, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca 2005, pp.160, Euro 12

11 ottobre 2005

ILARIA ALPI. UNA DONNA. LA SUA STORIA

ILARIA ALPI. UNA DONNA. LA SUA STORIA.
a cura di Mariangela Gritta Grainer
160 pp., 210 x 130 mm, italiano
ISBN 88-88769-10-2 eur 12,00

Ilaria Alpi: tutti la conoscono come vittima di quell'agguato in cui,
insieme a Miran Hrovatin, fu assassinata a Mogadiscio,
oltre undici anni fa, il 20 marzo 1994.
Non si conosce ancora la verità sul duplice delitto. O per lo meno
non tutta la verità. Si sa che si è trattato di una esecuzione.
Di lei Ilaria Alpi, la donna, la giornalista, invece, si sa poco.
Ma conoscere "chi era Ilaria" è, in fondo, la verità.
Il racconto di Luciana e Giorgio Alpi, il ricordo degli amici
del premio televisivo Ilaria Alpi, gli articoli pubblicati da
Ilaria prima di entrare in Rai, la "sua Somalia", quella che
emerge dai reportage delle missioni precedenti a quella che
le sarà fatale, alcuni degli ultimi appunti ritrovati e due
interviste inedite a personaggi chiave della Somalia e forse
anche della storia tragica di Ilaria: da queste pagine emerge
per la prima volta il profilo di una donna appassionata e di talento,
il ritratto di una donna a tutto tondo, una donna giornalista:
difficile distinguere la donna e la giornalista.

Mariangela Gritta Grainer, presidente dell'associazione DonnaSi, è stata
componente della Commissione bicamerale d'inchiesta sulla cooperazione; è
attualmente consulente della Commissione d'inchiesta sulla morte di Ilaria
Alpi e Miran Hrovatin. Ha scritto, insieme
a Luciana e Giorgio Alpi, Maurizio Torrealta: L'Esecuzione, inchiesta sulla
morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (Kaos edizioni, 1999).

I proventi delle vendite saranno destinati a sostenere progetti di
solidarietà per i bambini africani.

Per acquistarlo in contrassegno rivolgersi a:
ali edizioni
loc. monte sante marie
53041 asciano - siena
tel. + fax 0577.700020-43 r.a.
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09 ottobre 2005

Il giovane Holden di J. D. Salinger

di Gianni Quilici

Leggo per la prima volta un classico, anti-classico Il giovane Holden e ne rimango conquistato. Vorrei, però, rileggermi almeno un capitolo con la penna in mano, per cercare di chiarire razionalmente le impressioni suscitate, perché leggendolo ne sono rimasto, quasi sempre, travolto.
Invece decido di fare come Holden: scrivo ciò che penso immediatamente.

Primo: Salinger riesce a diventare Holden in tutto e per tutto, non solo nel pensiero, ma anche nel linguaggio tanto da fargli scrivere non ciò che pensa dopo averlo ben sistemato, ma quello che appena intuisce. I pensieri- racconti di Holden risultano così freschi, perché in una certa misura incerti, insicuri, non totalmente decifrati, stupefatti.

Secondo: Salinger fornisce una straordinaria galleria di personaggi e di situazioni, stampate sulla carta in modo incredibilmente vivo, fotografico.
Esempi: la sorellina Phoebe, Jane, Ackley, il professore che lo accarezza, le due suore, la prostituta, l’amico violento, i due taxisti, il seduttore, le tre ragazze del ballo. Comprese naturalmente le “famose” anatre del laghetto di Central Park

Terzo: il linguaggio evita di annoiarsi innanzitutto con se stesso come personaggio, e si rivolge direttamente al lettore, dialoga con esso, saltando discorsi già scontati o abbreviandoli, usando formule, inseguendo sogni o soggiacendo a tic. Un linguaggio di tipo dialogico, che in questo senso rifiuta ogni compromesso e che per questo si inventa. Un io narrante che non sa tutto, che non capisce, che ha i suoi (non dello scrittore) limiti.

Infine: ciò che emerge è una realtà soffocante, chiusa in se stessa, violenta, priva di libertà, di immaginazione, perfino di vera fraternità. Holden rivendica senza veramente saperlo un altro ordine di cose, un’utopia…

J. D. Salinger. Il giovane Holden. Einaudi 

04 ottobre 2005

Sognando The Dreamers” a cura di Fabien S. Gerard

di Gianni Quilici

Non ho letto la sceneggiatura del film; film diverso da quello poi realizzato, che avrei dovuto, tuttavia, rivedere per ragionare un po’ seriamente sulle differenze…
Ho letto, invece, il resto: i prologhi di Bertolucci e di Gilbert Adair, sceneggiatore ed autore del romanzo, da cui è tratto “The Dreamers”, brani del diario di lavorazione del curatore del libro suddetto, Fabien S. Gerard, ed un dibattito finale sul cinema di questo ultimo trentennio, a cui partecipano curatore, regista e scrittore.

Impressione: un libro ricco di dettagli, di spunti narrativi, di idee, sempre interessanti, raramente originali; realizzato forse velocemente, mescolando materiale eterogeneo, però, a tratti, ancora informe.

Il libro è tuttavia intrigante per ciò che prefigura.
Innanzitutto ( e anche solo per questo varrebbe la pena procurarselo) per le numerose foto bellissime del film e del set, realizzate, queste ultime, da Séverine Brigeot, sparse in ogni dove e in tutte le dimensioni; e poi perché prospetta quello che dovrebbe essere oggi un libro su un film: un percorso, cioè, che vada oltre la sceneggiatura: diari di lavoro, immagini, interviste a più voci. Un libro,
insomma, che andando oltre la pellicola, restituisca davvero la realtà del fare cinema, la sua inimmaginabile fatica, ieri come oggi.
Non sono nuovi questi tipi di libri, ormai: merito, molto, di una casa editrice come ubulibri, sensibile alla questione e, in generale, all’aspetto visuale di qualsiasi opera pubblicata.
C’è, infatti, in questo “The Dremears” una cura e resa fotografica insolita.

Sono i testi che non sempre sono all’altezza di quelle immagini. Penso, come contraltare, e per fare qualche esempio, ad altri tre libri: il diario di lavoro di Lars Von Trier per “Idioti”; quello, poco conosciuto, una sorta di magnifica avventura, di Brizio Montinaro: “Diario Macedone” -Edizioni il Formichiere-, sul set di “Alessandro il Grande” di Theo Anghelopulos; e infine nello splendore del bianco e nero “Lo zio di Brooklin” di Daniele Ciprì e Franco Maresco –Bompiani-
Libri più poveri, ma che hanno una necessità più stringente.

Sognando The Dreamers” a cura di Fabien S. Gerard ubulibri € 29,00

02 ottobre 2005

“E’ filo di seta”. Marisa Cecchetti

di Gianni Quilici

Sono così tanti, sono così poco comprati, sono così poco letti i libri di poesie e le poesie, che quelle che per forza, per incanto sono tali [versi, cioè, che hanno un cuore, una necessità, un ritmo, un’apertura] andrebbero preservate, messe in evidenza, non fatte morire.

Così è, a mio parere, per “E’ filo di seta” di Marisa Cecchetti, insegnante di scuola media fino a due anni fa, narratrice e poetessa lucchese-pisana.

Sono un centinaio di poesie, raccolte in cinque capitoli, sorta di diario privato, che diventa, in qualche modo, pubblico, cioè ci riguarda. Un diario poetico in progress di chi dialoga, si esplora, impara, lascia la sua vita aperta, nonostante traumi incancellabili.

Filo comune: la voce appassionata, radicata, angosciata, imprigionata e liberata, che emerge dalle poesia stessa; e le storie (forse la storia), che si dipanano: il figlio che non c’è più, ma che è scolpito per sempre; la voce della figlia che “scava gli abissi dell’essere”; “la speranza di un battito nuovo, che incrini il manto di gelo”; “le parole di bimbi ancora”, gli alberi che hanno tagliato, “ (l’)inverno di guerra che non conosce parole congrue”, la scelta del sole...

Prendiamo una poesia, per dare appena la motivazione di questo mio dire:

Devo imparare
a tacere.
Le scoperte
sono impercettibili
a occhio nudo
e l’emozione
può rivelarsi
uno sbaglio.
C’è in questi versi un pensiero sottile, che diventa aforisma, che per verità del senso, per essenzialità e secchezza del verso, perentorietà e scansione del ritmo diventa poesia. Del resto provate a impararla a memoria. Vi terrà compagnia. Diventerà vostra.
Gianni Quilici

Marisa Cecchetti “E’ filo di seta”. Edizioni Del Cerro. € 8.