18 aprile 2019

"Massimo Bordin" a cura di Silvia Chessa



Della persona e della biografia di Massimo Bordin, (giornalista e storico, voce eminente di Radio Radicale, conduttore, fino allo scorso primo aprile, della rassegna “Stampa e regime”, attento osservatore e castigatore di quanto accadeva “dentro e fuori il Regime”, per usare un gergo radicale) in molti hanno già scritto bellissime parole e ricordi commossi, da quando ci ha raggiunti la notizia, tristissima, della sua dipartita. Essa addolora conoscenti e amici, ma anche numerosi altri estimatori, seppur fra le fila di differenti posizioni politiche ed ideologiche.
Per aggiungere qualcosa a quanto già detto sulla caratura umana e professionale di Bordin, non resta che lasciare spazio alle sue stesse parole (a seguito riportate) ed al ritratto che, con dichiarazioni autoironiche e preciso affondo, egli stesso è andato facendo di sé:
 “Sono romano, la scuola l'ho fatta male, direi che l'ho bazzicata più che frequentata. Quando andava bene passavo con il sei, se no ero bocciato. Elementari col fiocco e il grembiule alla Ugo Bartolini, medie alla Settembrini, poi semiconvittore al San Leone Magno, quindi all'Eur al liceo Vivona. Ogni tanto mi espellevano, spesso litigavo con i professori ed ero costretto a cambiare scuola. Nel 1965 avevo 14 anni e vagamente frequentato il Pci di via Tagliamento, leggevo "La sinistra", la rivista di Lucio Colletti, e vivevo con mia madre, Elisa, che si era separata e lavorava presso uno studio medico. Mio fratello Cristiano viveva con mio padre, Antonio che lavorava al ministero. Oggi abita a Verona dove ha una libreria antiquaria. Bordin è un cognome veneto, perché la famiglia di mio padre era del Delta Padano, provincia di Rovigo, contadini, commercianti di granaglie, acqua e pianura: sono luoghi mitici della cultura italiana, gente senza ombra. Divenni trotskista  prima ancora di diventare adulto. Io per la verità mi impegnavo con i libroni, ho letto persino Pietro Secchia, e collaboravo con "Praxis", la rivista di Mario Mineo, roba per palati fini. La letteratura invece non aveva gran seguito e ancora oggi, che pure la amo, preferisco la saggistica". "Nonostante la mia sveglia suoni alle 5, non riesco ad andare a letto presto. Sono alto 1,90, ma Pannella era più alto e fumava più di me, e ora anche io come già accadde a lui, fumo quasi solo sigari perché mi hanno trovato un blocco respiratorio. Garantismo, non violenza, diritto, libertà, anche quella di dire sciocchezze, battaglie perse, ma senza scioperi della fame e tanto meno della sete, in difesa di un bellissimo mondo che è sicuramente radicale e pannelliano, ma senza lo spiritualismo di Pannella, perché io sono razionale e non ho slanci ideali, mi piace la sintassi, la prosa più che la poesia, il liberalsocialismo, Calamandrei, Salvemini e anche Marx che è il mio primo amore."
( Il racconto in F. Merlo, Massimo Bordin, radicale libero,
 da Il Venerdì 1 febbraio 2019)

Ne emerge il quadro di un intellettuale elegante, lucido e razionale (tanto che per lui si è parlato di “socialismo scientifico”), nonché coltissimo (lettore onnivoro, le sue conoscenze enciclopediche  spaziavano dal cinema ai saggi, passando per il calcio).
Al tempo stesso egli appare capace di prendersi in giro ma mai di sottovalutare gli altri (lo si trovava puntualmente dalla parte delle minoranze e degli sfruttati, naufraghi o precari che fossero).

A conferma di tale genuina attenzione agli altri, valgano le parole di Adriano Sofri:
Come tanti altri (dovremmo radunarci tutti oggi simbolicamente, da qualunque parte proveniamo) quando improvvisamente volevo sapere qualcosa, e farmela spiegare, gli telefonavo: nemmeno una volta mi ha detto di chiamarlo in un altro momento, che aveva da fare. Aveva un daffare strepitoso.”

E davvero, rileggendo le analisi acute e i numerosi scritti di Bordin, si evidenzia quanto la sua perdita sia grave e profonda non solo per il mondo del giornalismo, ma per tutti noi in generale.
Da Massimo Bordin, quanti scrivono o ambiscono a farlo traggano una lezione di precisione e disciplina e di una forza ideologica mai disgiunta dall’autoironia.

05 aprile 2019

"Thérèse philosophe" attribuito a Denis Diderot


noterella di Gianni Quilici

Afferro tra le mani (ma senza bruciarmi) “ Thérèse philosophe” un romanzo erotico attribuito al grande romanziere e filosofo illuminista Denis Diderot.
L’inizio mi piace tra filosofia e erotismo, tra l’ingenuità della giovinetta e la perversione del Padre spirituale.
Lei dice:”Ah! Padre mio! Quale piacere mi rapisce! ….” “Cacciate, padre mio, cacciate tutte le cose impure che sono ancora dentro di me. Io vedo…gli…an…geli…spingete ancora…spingete…”
Lei è ingenua e fiduciosa e senza condizionamenti e anche per questo si prende tutto il piacere; lui ingenuo non lo è e forse si prende un piacere doppio: il suo e quello che suscita in lei.
Immagino un romanzo (o  un film) gioiosamente erotico. E’ possibile questo oggi mi chiedo?

Thérèse philosophe, anonimo, attribuito a Denis Diderot; prefazione di Riccardo Reim, Roma, Lucarini, 1991;