24 novembre 2017

"Luigi Vezzosi. Un antifascista toscano respinto dalla democrazia" di Andrea Ventura


                Storia di Luigi, 

                che non votò mai

di Luciano Luciani
  
Già dal titolo, Luigi Vezzosi. Un antifascista toscano respinto dalla democrazia - questo libro- - una biografia di un antifascista minore, se non addirittura minimo - ci propone il tema del conflitto politico/sociale che ha percorso tutto il Novecento sino all'Italia nuova: repubblicana, democratica, antifascista. Che pure non trovò il tempo, la forza, la volontà di restituire a Luigi Vezzosi i suoi diritti civili, in primis quello di voto. 

Ne era stato privato, Luigi, da una giustizia e da giudici palesemente e pesantemente condizionati dalla marea montante del fascismo ormai vincitore dopo aver superato la crisi del delitto Matteotti e alle soglie del discorso “dell’aula sorda e grigia”. La colpa di Luigi? Aver partecipato ai “fatti di Empoli” del marzo 1921. Ovvero all’insurrezione della comunità empolese, una vera e propria “cittadella rossa” che reagì con durezza e punte di furore popolare all’interminabile stillicidio della violenza fascista e alle ambiguità, connivenze e complicità dello Stato rispetto a quella “brutalizzazione della politica” imposta dagli squadristi alla vita del Paese. Violenze e brutalità particolarmente sistematiche e pesanti là dove – come in Toscana, come nell’Empolese –  si concentrava il contropotere popolare e proletario e là dove erano più forti e presenti le organizzazioni dei lavoratori.
 

Così il 1 marzo 1921 una colonna di marinai in borghese, inviati a sostituire i ferrovieri fiorentini in sciopero per protestare contro l’assassinio del sindacalista Spartaco Lavagnini, è scambiata per una spedizione squadrista; accolta a colpi d’arma da fuoco viene incalzata e assalita da una popolazione insofferente ed esacerbata. Alla fine si contano 9 morti: un sergente d’artiglieria, cinque marinai e tre carabinieri. Un’insurrezione popolare più spontanea che organizzata che si ricollega ad altri episodi del genere avvenuti nella primavera-estate di quell’anno tra Toscana e Liguria: Castiglione dei Sabbioni e San Giovanni Valdarno (Ar) il 23 marzo; Foiano della Chiana (Ar) il 17 aprile; Sarzana (La Spezia) il 17 luglio. Vicende non collegate tra loro, prive di un disegno strategico e quindi destinate alla sconfitte e a una dura repressione che coinvolse anche il nostro Luigi Vezzosi.
Nato nel 1905 - trecciaiola la madre, calzolaio il padre, mezzadro il fratello Paolo - Luigi appartiene a una famiglia proletaria del “contromondo” socialista empolese che trovava nelle Case del Popolo e nelle Camere del Lavoro i luoghi della socialità e della formazione identitaria: socialisti, anarchici e, a partire dal 1921, comunisti. Il mondo di Luigi che, sebbene minorenne, viene individuato, sulla base di testimonianze incerte e contraddittorie, come  uno dei principali agitatori e assalitori e  condannato a ben 28 anni di carcere.
 

Una aberrazione giuridica. Tant’è che la pena venne ridotta prima a 12 anni, poi a 10 con le sanzioni accessorie di 3 anni di disciplina speciale, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, la perdita dei diritti politici. Nel frattempo “Gigi” Vezzosi ha trascorso quasi cinque anni alle Murate e a Porto Longone (Elba) e quando torna a casa ad Avane,  per anni lui e il fratello Paolo sono costretti a subire le pesanti  “attenzioni” ora dei carabinieri ora dei fascisti. Eppure Luigi, nonostante prepotenze e vessazioni, si sforza di continuare a vivere come una persona normale: nel 1934 si sposa e nel 1936 si trasferisce a Pisa dove esercita il suo mestiere, quello di calzolaio. Casa e bottega e un profilo basso  nella Pisa del ras fascista Guido Buffarini Guidi. Poi, la guerra. Il terribile bombardamento di Pisa del 31 agosto ’43 con oltre mille morti,  consiglia a "Gigi" di sfollare con la famiglia’ a Calci, un piccolo comune a 10 chilometri dal capoluogo Pisa: sulle colline che separano la provincia di Lucca da quella di Pisa, per un anno, sino alla liberazione, Vezzosi partecipa alle attività, generose ma sfortunate, della formazione partigiana “Nevilio Casarosa”. Dopo la guerra è per 5 anni segretario della sezione del Pci di Calci. continuando a lavorare come calzaturiere modellista: esemplare, inappuntabile, stimato dal suo datore di lavoro. Continua, però, la sua condizione di minorità giuridica: Vezzosi è escluso dal diritto di voto per una sentenza politica che risale alla metà degli anni Venti. 

Ingenuamente Vezzosi sperò sino al termine della sua vita che l'Italia nata dalla Resistenza procedesse a risanare il vulnus  giuridico che lo riguardava. Non fu così. "Solo nel 1983" racconta Bruno Possenti dell'Anpi di Pisa "ormai vecchio e ammalato, si lasciò convincere a rivolgere domanda di grazia al presidente Sandro Pertini. La pratica s'insabbiò nella burocrazia del Ministero di Grazia e Giustizia. Finalmente, il 30 dicembre 1986, il presidente Cossiga firmò il decreto." Luigi Vezzosi avrebbe dovuto votare per la prima volta nella sua vita all'età di 82 anni nelle elezioni politiche del 14 giugno 1987. Non ce la fece perché il 2 maggio morì.
 

Una storia emblematica delle zone d'ombra che hanno segnato, fin dalle sue origini, la nostra democrazia.
 

L'ha riportata alla luce in un libro tanto appassionato quanto obbiettivo e documentato Andrea Ventura, storico e giovane direttore dell'Istituto storico della Resistenza e dell'Età contemporanea in Provincia di Lucca: affinché resti almeno il racconto dell'uomo a cui il fascismo aveva tolto i diritti che la democrazia non fu capace di restituirgli.

Andrea Ventura, Luigi Vezzosi. Un antifascista toscano respinto dalla democrazia, Tagete Edizioni, Pontedera (Pi) 2017, pp. 160, Euro 10,00

"Misteri" di Knut Hamsun



di Giulietta Isola  


“I personaggi di Hamsun provengono dal mondo primitivo dei fiordi,sono individui mossi dalla nostalgia dei troll”

W.Benjamin

Ed eccomi nuovamente alle prese con un romanzo del premio Nobel 1920 Knut Hamsun.
Sgombriamo subito il campo da inutili e,secondo me,non pertinenti, considerazioni sulle qualità umane del soggetto, la cui fama fu oscurata in vecchiaia dall’infausta adesione al nazismo, parliamo,se ne abbiamo voglia, delle sue qualita’ letterarie che non sono poche ed ampiamente riconosciute da scrittori del calibro di Mann, Kafka, Brecht, Hemingway, Isaac Singer.

Misteri fu pubblicato nel 1893, al centro della narrazione c’e un uomo in cerca di qualcosa che non troverà.
E’ il fil rouge di Hamsun:i suoi personaggi non sono radicati nella terra in cui vivono, anche se da essa sono nutriti e da essa sono nati, sono “viandanti” alla ricerca di un luogo stabile che non trovano, ma sono anche dei vinti, troppo delicati per farsi largo nella società che Hamsun,nella sua lunga vita, vide dipanarsi da quella rurale della Norvegia di metà Ottocento, a quella industriale degli Stati Uniti, al Secondo conflitto mondiale e la decadenza del dopoguerra.

Nagel con il suo cappotto giallo arriva in una piccola cittadina della Norvegia,è un personaggio fuori dal tempo, nevrastenico e caotico,un improvvido ciarlatano, «la contraddizione fatta persona» come egli stesso si definisce,da subito destinato ad alterare il solido tran-tran degli abitanti del luogo dal dottor Stenersen, a Martha Gude, a Minuto a Dagny Kyelland della quale si innamorerà, con effetti devastanti e fallimentari.

Nagel sproloquia senza sosta,nasconde la propria fragilità e nostalgia aggredendo con un caotico furore verbale la minacciosa realtà esterna,il suo essere e’un groviglio di follia e debolezza,un instabile aggregato di fasci nervosi ed un inconscio allo stato brado.

Una vita fatta di frammenti ove si alternano e si intrecciano esaltazione,solitudine,disagio,idee coatte,crudeltà immotivate ,desideri struggenti, sentimenti delicati e aggressività indefinita.


E’ un vagabondo che si abbandona al fluire della vita, alle cose così come vengono,al peggior linguaggio,cerca identificazione e comunione con la natura,alimenta il suo legame con il bosco e solo nell’ identità naturale intravede il suo senso di appartenenza.
 

Claudio Magris nella sua interessantissima postfazione dice che Nagel risulterà fino all’ultimo in tutto e per tutto un abulico che, «non è capace di inserirsi nel meccanismo produttivo della società, assumendovi un ruolo determinato e perciò unilaterale; egli vuole soltanto vivere, rifiutandosi di definire concretamente e cioè di limitare la palpitante e imprevedibile potenzialità della vita: aperto e disponibile al desiderio come alla rinuncia, rapace e fuggiasco, un personaggio che si sottrae ai legami, ai ruoli prestabiliti,a qualsiasi impegno morale o politico.”
 

Hamsun è scrittore di spessore internazionale, ma per essere compreso, va proiettato nel “suo Norrland, tra foreste e fiordi, il sentimento della natura ed il profumo sottile che da essa si sprigiona pervade tutta la sua prosa che lascia intendere che ci sarebbe bisogno di rispetto per i boschi, bisognerebbe evitare un’agricoltura fatta di prodotti snaturati, annienta i falsi miti e le illusioni, manifesta il suo amore per la Norvegia, una Patria a volte ingrata, dopo il suo viaggio negli Stati Uniti afferma le sue idee anticapitaliste concependo i suoi personaggi come eroi vicini agli umili, ai contadini, ai marinai cioè a coloro che trovano nel lavoro sostegno e rinnovamento e non ragione di abbrutimento,in Fame,il suo romanzo più famoso, è chiaro il messaggio e l'invito al rinnovamento dell'uomo e con lui della società politica.
 

Lettura  particolarmente interessante per il risalto dato alle contraddittorietà dell’esistenza, per l’analisi psicologica dell’io (Freud ne comincia a parlare nel 1895) e rappresenta tramite Nagel l’alienazione del genere umano ed il suo disagio, sono i nostri tempi.

Knut Hamsun. Misteri. Edizioni Iperborea

07 novembre 2017

“Il torello” di Josef Koudelka



di Gianni Quilici

Il torello con lo zoccolo sollevati dopo una prevedibile corsa e con il culo squadrato come se fosse disegnato, pare guardarsi indifferente a tutto, mentre i ragazzi/uomini in salvo o sul punto di esserlo, disposti in successione geometrica secondo le possibilità del momento, fanno divertimento, soprattutto gli ultimi aggrappati alla terrazza: l’uno con una mano tiratissima soltanto, l’altro con ambedue, i piedi piegati a salvarsi dalle corna.
Dietro il torello uno soltanto, sul marciapiede, corre ancora a debita distanza, mentre una donna su un balcone, nell’angolo alto della foto, è la spettatrice, dettaglio di contrappunto di questo spettacolo in corso.

Una foto di circa 40anni fa. Qui il merito di Koudelka è innanzitutto nell’esserci e nell’inquadratura essenziale,che scolpisce quell’attimo quotidiano, ma inusuale nel fluire di emozioni.
Una foto narrativa, perché nell’attimo che fissa, accende  l’immaginazione sul prima e sul dopo della foto: l’eccitazione della corsa con la paura del torello dietro, i salti verso i davanzali delle finestre ed ancora più ardui per appendersi al piano della terrazza e, passato il pericolo, i racconti ridanciani dei protagonisti  poi. 

Josef Koudelka. Ribatejo, Portogallo, 1976    

05 novembre 2017

Ed McBain: grande scrittore e sceneggiatore” di Mimmo Mastrangelo



Che bellezza!!! L’Einaudi ha deciso di ridare alle stampe di Ed McBain  le investigazioni   del noto  87°distretto di polizia.  Ambientati in una New York-non New York e con protagonisti il detective Steve  Carella e i suoi  colleghi, gli appassionati “polar” tirati fuori dalla penna dello scrittore italo-statunitense  divennero presto  amatissimi in Italia  grazie alla pubblicazione  nella seguitissima e popolare collana “gialla” della Mondadori.

Romanziere ma anche sceneggiatore, Ed Mc Bain (New York 1925 – Weston 2005) fu un italo-statunitense di seconda generazione per  via del padre, originario di Ruvo del Monte, in provincia di  Potenza. Il suo vero nome, Salvatore Albert Lombino, fu cambiato in  Evan Hunter che a sua volta, nella proficua    produzione letteraria (oltre un centinaio di opere), assunse vari pseudonimi, tra cui Ed McBain, Richard Marsten, Hunt Collins. Curt  Cannon, Ezra Hannon.

Conosciutissimo e stimato nel cinema,  curò la sceneggiatura  del capolavoro “Gli uccelli” di Alfred  Hitchcock (con cui ebbe rapporti di forte conflitto), tra le varie pellicole   ispirate ai  suoi romanzi  non si può dimenticare  “Il seme della violenza”,   primo lavoro nella storia del cinema ad aver utilizzato  una colonna rock. Il film, girato nel 1955 da  Richard Brooks e con Glenn Ford nel ruolo di un professore,  verrà  presentato – insieme ad “Ad anatomia di un rapimento” (1963) di Akira Kurosawa pure questo tratto dalle pagine di McBain – nella seconda edizione della rassegna “Frammenti autoriali” che si svolgerà a Moliterno (Potenza) il prossimo dicembre.

I primi due titoli, già usciti nella collana “Stile Libero” della casa editrice torinese e tradotti da Andreina  Negretti,   sono “Odio gli sbirri” e “Fino alla morte”. Come nel suo stile in entrambi Ed McBain  si adombra in descrizioni impareggiabili con  scene tipiche da film d’azione, dialoghi   dai  respiri lunghissimi, trovate fulminanti dall’ umorismo graffiante, “personaggi con un cuore e personaggi che i cuori li strappano”.

Tra i  lettori italiani che hanno divorato sin da ragazzo  i gialli Mondadori del “maestro del genere”  c’è lo scrittore napoletano Maurizio  De Giovanni il quale  cura le prefazioni dei volumi  e in una fa notare  che nei romanzi del Nostro <>. Ad  McBain va riconosciuto il merito di averci regalato coi suoi popolarissimi romanzi  affreschi di una straordinaria umanità, vivacizzati da coloratissime e imprevedibili situazioni. Per chi conosce o ha amato le storie di McBain le ristampe dell’ Einaudi (si prevedono al momento una decina di titoli)  possono rappresentare “una felice rilettura”, ma per chi vi si accosta per la prima volta le inchieste dell’ 87° distretto di polizia possono declinare in una scottante infatuazione, in una sana dipendenza da cui non ci si libera più.
Ed McBain. Fino alla morte, 2017, Stile libero. Einaudi
Ed McBain . Odio gli sbirri, 2017, Stile libero. Einaudi