22 marzo 2019

"Viaggio a Genova" di Gianni Quilici



                                                                                foto Gianni Quilici

                                 Sul treno due donne, una di fronte all’altra, tra i 40 e i 50 anni trascorrono il tempo passando da una telefonata ad un’altra. Tra le due,  la più giovane è infaticabile . L’altra ha problemi: l’interlocutore non capisce, è costretta a ripetersi. “Hai capito, ora?” dice sommessamente e alla fine, stanca o vuota, stacca, chiude gli occhi e si appisola.
Il mio problema è che odo quasi tutto. Così tiro fuori il taccuino, dove ho scritto soltanto”Viareggio ore 10, 15 verso Genova” e per automatismo psicologico mi metto a trascrivere stralci di ciò che sento. “…finisco di lavorare alle sette, sette e mezzo, poi si va a mangiare da qualche parte, ora non saprei dove, si decide lì per lì… io stasera avrei voglia di pizza… dove si potrebbe andare? io intanto sento la Sandra se viene, però in quel ristorante dell’altra volta non ci vengo,  troppo lenti, troppo formalisti, pirìpì parapà pirì parapà, piuttosto ascolta, ascoltami! ….” L’altra  l’ho accanto,  sussurra : “…domattina  mi prendo la Barbara e la porto al parco giochi, quello di Sestri Levante, sì quello… c’è uno scivolo incredibile lungo cinque metri … ora siamo a Chiavari…. A Chiavari! hai capito a Chiavari! ”.  La più giovane, intanto, continua a sciorinare imperturbabile tutti gli appuntamenti che ha l’indomani come se ci avesse ragionato a lungo…  la voce è leggera, fluente, senza affanni, potrebbe continuare così fino in Svizzera, penso.   Mi sono portato due libri… volevo leggere e scrivere ancora non ci sono riuscito, non ci riuscirò.


                                          12. 10  Scendo a Genova Brignole. Lungo i portici nelle bancarelle vicino la stazione compro il mio primo libro: “Viaggi viaggetti” di Sandro Veronesi nuovo e a soli 3 euro, con una grafica adolescenziale che mi attira. Vedo viaggi in Perù e Santiago de Compostela, Serifos e Sardegna, New York e Amsterdam e così via, che possono diventare suggestioni per viaggi da fare. L’hotel è lo stesso da qualche anno. Gestori due fratelli 50enni, quasi calvi,  premurosi e chiacchieroni, di quelli che un discorso diventa una catena che porta lontano. L’hotel è situato in una piazza circolare, piazza Cristoforo Colombo, con portici e bancarelle di libri a metà prezzo così bene incellofanati, che è faticoso poi scartarli. Ne comprerò una decina lì e in altre bancarelle presenti nel centro storico: da Henrich Heine fino ad una lunga intervista  a Jung.


                                        15. 30 All’inizio di via Garibaldi, di cui Cesare Brandi scrisse “una strada che davvero non ha uguali al mondo” ecco il palazzo della Meridiana con le scale che salgono verso la parte collinare di Genova. Qui è aperta la mostra:”Caravaggio e i genovesi”. Di Caravaggio soltanto un quadro “Ecce Homo”  già visto nel Palazzo Bianco di via Garibaldi. Un quadro, di cui l’attribuzione è (quasi) certa, dopo che era rimasto ignorato in uno scantinato. Ed in effetti è un grande quadro, che nella mostra risalta magnificamente rispetto agli altri pittori (genovesi), che di Caravaggio  hanno subito, per ragioni diverse, l’influenza.
.I quadri sono sufficientemente pochi, le sale sono soltanto tre, si può sedere di fronte ad essi, condizione ideale per non rimanere soffocati dalla stanchezza, nonché  dal sovraffollamento visivo ed umano. Faccio un giro meditativo. Mi colpiscono i quadri di Luca Cambiaso, Gioacchino Assereto, Anton Maria Vasallo, Giovanni Battista Merano.
Ritorno su “Ecce Homo” e mi siedo. Lo osservo nei dettagli e, come succede spesso, anche l’insieme si allarga diventa più chiaro, più scolpito, più compreso.
Mi colpisce, come in qualsiasi pittura di Caravaggio, la grande professionalità nel disegno e nel colore. Squadro, per esempio, le mani di Ponzio Pilato, splendidamente lavorate così difficili a delineare nel loro movimento e intreccio,  oppure considero la fascia bianca intorno alla testa della guardia con tutte le pieghe che sfumano tra luce ed ombra. E però è una verosimiglianza  che ha un’anima profondamente sottile.
L’anima sono i tre personaggi, che sono anche tre tipologie psicologiche, ideologiche e politiche. Gesù Cristo , l’imputato e vittima, ma così immerso in se stesso da sembrare “altrove” con occhi abbassati che non guardano; la guardia, puro strumento del potere, che sembra che gli stia parlando, mentre lo sta coprendo con il manto purpureo, premuroso come se intuisse la sua grandezza; Pilato, il potere, che mostra con le mani Cristo catturato, mentre gli occhi sono rivolti con una contorsione del corpo verso il popolo (fuori quadro). Un volto eccezionalmente ben delineato con gli occhi incavati in tralice, le rughe incise dalla concentrazione.
Infine la scelta dei colori è vigorosamente simbolica nella contrapposizione fra il luminoso corpo indifeso di Cristo e la veste cupa di Pilato in un chiaroscuro che domina l’intero quadro.  


                                        17.30. Al cinema il film più appetibile è “La casa di Jack” di Lars Von Trier. E’ uno di quei film che ti lasciano titubante nel giudizio o semplicemente nell’impressione. Tre ore di un regista che fa cinema giocando tra lo spietatezza senza sangue e l’ironia spiazzante, mescolando il delitto come desiderio di fare arte con inserti di Glen Gould al piano, conversando  con una voce fuori campo, sorta di coscienza pungente, che si paleserà nella figura di Bruno Ganz-Virgilio e con il quale Jack scenderà poi all’inferno. E’ un film violento, che mi diverte, che mi sorprende, di un talento che fugge dai rituali, che però non mi “tocca”, se non cinematograficamente.


                                                                                                   foto Gianni Quilici
                               
                                   21.20 Una trattoria tra i carrugi del Centro  dove cenare è il piacere di soddisfare la fame con piatti casalinghi alla buona, un prezzo modesto, atmosfera calda, senza quel rumore assordante, che uccide la conversazione tranquilla.
Fuori nel labirinto dei carrugi giovani soprattutto nei bar, nelle pizzerie dentro e fuori. Nessuna nevrosi, ne’ tantomeno violenza in giro. Diversi gruppi di africani uomini e donne. La serata è dolce e sono carico del passato presente. 

Genova 1 marzo 2019

03 marzo 2019

"Sogni e altiforni. Piombino-Trani senza ritorno" di Gordiano Lupi e Cristina de Vita



di Stefano Tamburini

                     Sfogliando questo libro sembra quasi di sentirlo il profumo del tempo passato, l’odore della nostalgia, di quella sana, dolce nostalgia che fa bene al cuore. Quella che libera le menti verso i tempi andati e costruisce un gigantesco dribbling fra tanti amori perduti che in fondo non lo sono mai del tutto. Sono l’amore per una donna e quello per il calcio. 

                    Il protagonista è lo stesso di un altro fortunato libro di Gordiano Lupi, Calcio e acciaio, vincitore di diversi premi e segnalato anche al premio Strega, ambientato tra Piombino una cittadina della provincia toscana la cui vocazione è stata sempre legata agli altiforni e al declino dell’industria dell’acciaio e Trani, sul mar Adriatico, in Puglia a vocazione prettamente marittima. 

                     Una grande storia che si chiama vita, di un passato che ritorna senza in realtà mai essersene andato. C’era tanto amore in quel primo romanzo e ce n’è tanto anche in questo che Gordiano Lupi ha scritto a quattro mani con Cristina de Vita, regalandoci anche l’altra faccia di una medaglia ricca di passione e di nostalgia, l’altra faccia dell’amore. 

                     È una storia a tratti anche molto amara, con passaggi fatti di delusioni, di tristezze e di abulie che rendono ancora più vero tutto il vissuto che si respira pagina dopo pagina. Una bella storia, per niente scontata, che ha due punti di vista, che in qualche modo combaciano, rendono giustizia a un amore perduto che perduto non lo è mai stato fino in fondo. Ci sono tutte queste tensioni che si intrecciano una dopo l’altra e spesso anche tutte insieme in pagine che fanno sentire l’odore dei ricordi e anche il sapore della nostalgia, senza mai restarne ingabbiati. 

                   Una lettura intensa ed appassionante perché racconta emozioni senza invaderle e le fa vivere da dentro anche a chi si affaccia a questa storia, pagina dopo pagina. Gli autori restano sempre un passo indietro, con quel pizzico di pudore che finisce con il dare a ogni lettore lo spazio per una personale visione. La bellezza del romanzo che comincerete a leggere va oltre la storia che racconta: è la nostalgia che fa battere forte il cuore senza mai restare prigionieri del passato. Ed è l’atto d’amore più grande di questo romanzo. (tracce della introduzione)


Breve sinossi
                      nel romanzo vengono narrate le vicende di un uomo e di una donna che vivono in due città diverse: Piombino e Trani. Il protagonista maschile, Giovanni, è un ex grande calciatore, partito da una piccola cittadina di provincia per poi sfondare altrove. Alla fine rientrerà a casa per gli ultimi spiccioli di carriera e poi per allenare e soprattutto vivere con il suo carico di noia e di rimpianti. Rimpianti mai del tutto confessati, neanche a se stesso, completamente incapace, come è, di amare come vorrebbe.

Gordiano Lupi & Cristina de Vita
Sogni e altiforni - Piombino Trani senza ritorno
Acar Edizioni, Milano, 2018 – Euro 16,50 – Pag. 330