12 aprile 2017

"Chesil Beach” di Ian McEwan



nota di Gianni Quilici

Leggo “Chesil Beach” e rimango stupito. Stupito per la maestria con la quale McEwan riesce a delineare il flusso dei dettagli visivi e psichici di un rapporto amoroso. Il romanzo si svolge, nel luglio del 1962,  in un hotel inglese, che si affaccia sulla lunga e romantica distesa di ciottoli di Chesil Beach. Una giovane coppia di sposi, Florence e Edward, sta consumando la propria cena nuziale e la prima notte che seguirà. Sono vergini e profondamente condizionati l’uno dall’altra. Lui con una voglia straziante che cresce ai limiti del tollerabile, però insicuro di  essere sessualmente all’altezza, condizionato dalla rigida compostezza di lei e da una differenza di classe sociale che appena percepisce; lei, al contrario vive il sesso con terrore e con un disgusto viscerale.

McEwan è straordinariamente analitico e acuto nel delineare questo groviglio condizionante, ricco di sottigliezze dialettiche, perché in ambedue c’è la percezione dell’altro e la necessità di tenerne conto. Edward capisce che deve essere delicato, che deve superare l’irruenza del desiderio animalesco; Florence è consapevole di aver accettato un contratto, il matrimonio, che prevede inevitabilmente come dovere quel tipo di rapporto. Non basterà la loro reciproca disponibilità: troppo profonda è la distanza tra queste due “identità represse”.

Una repressione sessuale che richiama, oltre la loro specifica biografia, la storia inglese, appena prima della rivoluzione di costume e dei sensi, degli anni ’60, dei Beatles e dei Rolling Stones. McEwan, infatti, ci rappresenta quel presente, e storicizzandolo, con un montaggio alternato di capitoli, ci fa conoscere l’infanzia e l’adolescenza di Florence e di Edward, attraverso le famiglie, le amicizie, la scuola, consentendoci di addentrarci meglio nelle radici della loro personalità.

E tuttavia ho letto il romanzo con fatica e perplessità. La fatica nel seguire una scomposizione fenomenologica di un tempo, in cui si sente forse troppo la presenza dello scrittore che sa già tutto, onniscente.
La perplessità, perché questa presenza non si sorprende, ne’ ci sorprende, perché registra un destino già segnato, come se fosse un compito che lo scrittore si fosse dato e che avesse assolto sagaciamente, brillantemente e doverosamente.

Ian McEwan. Chesil Beach. Traduzione di Susanna Basso. Einaudi

09 aprile 2017

" Gli anni forti" di Paola Martini



di  Maria Sardella*

Comincia tutto da una casa, anzi da una villa. Un’antica dimora sulle colline attorno a Firenze, che non sfigura accanto ad altri edifici storici di clero e nobiltà, che formavano il paese. Le trasformazioni e i passaggi di proprietà ne avevano accresciuto la bellezza e il prestigio. Finché, a conclusione della guerra, nel '43 gli ultimi proprietari la cedono, costretti dalle circostanze, a Ottavio Fogli, nonno materno della protagonista. La villa si chiamerà da quel momento Villa Gina, come la moglie del signor Ottavio.
 
Ecco, è questa la tonalità narrativa che costituisce la peculiarità del romanzo di Paola Martini: uno sguardo leggero e incantato su ciò che accade a lei stessa bambina, alle sue piccole preoccupazioni, alla vita di famiglia e verso tutto ciò che si muoveva intorno.
 
La vita della protagonista si svolge tra due poli ambientali e affettivi: la casa e la scuola. La casa, bella grande e fredda d’inverno, tenuta viva più che da una madre piuttosto appartata e distante (“Mia madre era e resterà per tutti la ‘signora Lia”/ “La mamma non era esclusa dalla mia vita. La mia intimità le era però ignota”) dalla Tata tuttofare. A lei si rivolge la bambina per cercare sostegno e conforto, è la Tata (la maiuscola credo sia una precisa scelta stilistica dell’autrice) ad insegnare alla piccola le preghiere, a insegnare a Paola e a Chiara, piccole faccende (“Ma li hai insaponati bene i calzini, tesoro? Tieni, struscia forte col bruschino…)”; Tata le svela la durezza della vita di quelli che vivono oltre le mura di cinta della bella villa, è la Tata a trasmettere il rifiuto dello spreco così legato al mondo, l’attenzione ai sentimenti, e anche all’educazione. A Paola, già pensosa e incline alla riflessione sono dirette le parole della Tata, maestra e guida: “Ma a cosa pensi, Paola? Smetti di pensare: la vita viene da sé".
 
Alla saggezza contadina si oppone la scuola con i suoi banchi di legno, i quadernetti con la copertina nera e l’assillo di evitare macchie d’inchiostro e orecchie. La scuola, con la netta divisione che i bambini percepivano chiaramente tra i benestanti, disciplinati e capaci, e i poveri, a cui si aggiungevano sempre più numerosi i figli degli emigranti, sciatti e asini. Una divisione che presto Don Milani mostrerà nel suo inganno, smascherando il concetto meritocratico che attribuiva ai bravi figli di papà qualità innate ed evidenti.
 
Ai suoi professori di Liceo Scipione Guarracino e Marcello Rossi, Paola deve la sua consapevolezza sociale, la presa di coscienza sui racconti della tata e sulle verità E quello che era solamente dolore per la persona cara diventa pensiero meditato sulla condizione sociale dei più. "I CARE". La guerra di Piero e Bocca di rosa, due eroiche dimensioni che l’etica famigliare non avrebbe potuto concepire né approvare. Una parte consistente della colonna sonora che condurrà la protagonista per mano fino alle prime occupazioni dell’Università degli anni Settanta, alla scoperta della sessualità fino al matrimonio con Carlo, che segna la conclusione del romanzo.
 
Si dev’essere grati alla scrittrice di aver messo il punto fermo alle vicende raccontate proprio a questo punto della narrazione. Si intuisce che dal quel momento la vita cambierà completamente e così la percezione e la consapevolezza della protagonista. Ma a noi lettori Paola ha voluto consegnare lo sguardo incerto e spesso ambiguo della crescita, dei dubbi, della formazione. L’incanto di un tempo avido di affermazioni e di esperienze eppure, a volte, sorprendentemente disincantato, proprio della giovinezza, dell’apprendistato necessario e complicato. Dopo, nulla sarebbe rimasto lo stesso.

Paola Martini. Gli anni forti. Manni 2017.


* Maria Sardella nata a Canosa di Puglia docente di Lettere  e autrice di numerosi  romanzi tra cui La musica del mais