20 febbraio 2010

"Diario di un podestà antifascista" di Giovanni Celati


di Luciano Luciani

La sensazione di essere di fronte a pagine originali e diverse si prova fin dal titolo: Diario di un podestà antifascista. Quasi un ossimoro, perché chi conosca appena un po’ la storia di quei tempi sa che podestà e antifascista sono due termini in evidente opposizione tra loro.

Durante il fascismo, podestà era il nome, ripreso dalla tradizione dei comuni medievali, con cui s’indicava il capo dell’amministrazione comunale, in sostituzione del termine sindaco: quindi, non si dava, non poteva darsi un podestà antifascista…

Eppure accadde, a Coreglia Antelminelli in provincia di Lucca, nei mesi terribili tra il giugno e il dicembre 1944 in un tempo di guerra e di stragi: una per tutte, proprio lì a due passi, Sant’Anna di Stazzema.

Questi i fatti: nella notte tra il 10 e l’11 giugno 1944 una decina di partigiani della XI Zona militare della formazione di “Pippo”, blocca la via d’accesso al paese e sequestra il segretario comunale, un appuntato dei Carabinieri, un paio d’impiegati e, soprattutto, il Commissario prefettizio.
Il Comune rimane senza una guida e tocca proprio all’uomo di legge, antifascista che più antifascista non si può, sfollato con la famiglia a Coreglia, farsi carico dei duri doveri dell’amministrazione, in un tempo di ferro e fuoco. Gelati podestà è il difficile punto d’equilibrio di un complicato sistema di rapporti di forza: fascisti che si preparano una via di fuga; antifascisti preoccupati delle sorti di una comunità altrimenti allo sbando e già impegnati a predefinire il “dopo”; tedeschi e partigiani, gli uni e gli altri interessati a un’area sostanzialmente disarmata per potersi dedicare a fronti più ‘caldi’ e impegnativi.

Detto così sembra facile, ma non lo fu per nulla. Non lo fu certo per l’uomo a cui toccò in sorte la mediazione quotidiana, già difficile in tempo di pace, figuriamoci con la Linea gotica che correva a pochi chilometri, i tedeschi e i repubblichini sempre più incattiviti per la direzione ormai presa dagli eventi bellici, i partigiani galvanizzati e gli Alleati a pochi chilometri.

Fu abile Gelati. E lo soccorse, probabilmente, l’uso sapiente della parola, propria dell’uomo di legge che tanti successi forensi e professionali doveva garantirgli negli anni successivi alla guerra.

L’uomo parla bene, ma, soprattutto alle qualità di misura e prudenza unisce un’altra grande dote: quella di riuscire a sollecitare, a evocare sempre nei suoi interlocutori la comune umanità. Dietro le divise, dietro le appartenenze ideologiche o politiche per Gelati c’è sempre un uomo, che, proprio perché tale, non può non condividere i comuni affanni e le comuni preoccupazioni, i problemi e le soluzioni da offrire a quei problemi, se ragionevoli e sensate.
È questa la sua forza, la sua scommessa che si rivelerà vincente lungo sei estenuanti mesi di gestione della cosa pubblica coreglina.

Ma chi era Giovanni Gelati?
Classe 1910, di estrazione borghese (è figlio di un direttore di banca, combattente nella Grande Guerra e dichiaratamente fascista), studia presso i Barnabiti di Firenze nel prestigioso collegio “La Querce”. Repubblicano convinto ma credente, Giovanni, rafforzerà le sue convinzioni contrarie al regime… per amore. Nel 1936, infatti, sposa Lydia Cardon, figlia del dottor Alfredo, fondatore del gabinetto di analisi dell’ospedale di Livorno. Socialista e, in quanto tale, nella città di Costanzo e Galeazzo Ciano oggetto, lui e la sua famiglia, delle particolari attenzioni dei fascisti livornesi. Laureatosi a Pisa, praticante a Firenze, ma privo di tessera fascista e, per di più, ormai parente di un suocero sovversivo, il giovane Gelati è costretto a una soluzione professionale di ripiego.

Gestirà, infatti, la Libreria Belforte, in via Ricasoli a Livorno: i proprietari, infatti, sono ebrei in un tempo in cui a loro non è consentito condurre direttamente i propri affari. Va senza dire che i locali di quella libreria diventeranno un piccolo territorio liberato per antifascisti, afascisti, oppositori e antipatizzanti di un regime, che, tre anni di guerra, fecero rovinosamente implodere dall’interno.

E sarà il popolo italiano a pagare con sangue e rovine i debiti contratti dal fascismo.
Si infittiscono i bombardamenti sulla città. Livorno è colpita alla fine di maggio e di giugno, ma proprio dalla primavera del ’43, il previdente avvocato aveva deciso di trasferire la famiglia, moglie e figlioletta di due anni, Giovanna, a Coreglia, già luogo ameno di vacanze estive negli anni immediatamente precedenti. Sembra una scelta avveduta, ma il fronte sta salendo e i Tedeschi cominciano ad arroccarsi lungo l’Appennino in previsione di tempi peggiori. Nel giugno ’44 anche a Coreglia finisce la pace e l’avvocato Gelati, su mandato degli antifascisti lucchesi, si troverà alle prese con la sua causa più difficile e complicata.

Grande merito del libro è quello di farsi leggere, ancora oggi, con piacere e, nonostante la tragicità dei tempi e degli eventi, direi, con pieno divertimento: sì, perché il nostro podestà antifascista scrive bene, in una bella lingua toscana intrisa d’ironia e autoironia a dimostrazione che gli eroi più veri sono sempre quelli che non si prendono troppo sul serio. A questo proposito meritano davvero alcuni passaggi: penso alle velocissime battute in cui la mamma di Gelati, in occasione del sequestro del Commissario Prefettizio rimane affascinata da quei bei ragazzi, i partigiani, che erano scesi dalle montagne. Un particolare che non sarebbe dispiaciuto a Beppe Fenoglio.

Oppure la polemica, amichevole ma serrata, con le “barbe” antifasciste di Coreglia, Luigi Velani, Natale Mancini e Rodolfo Martinelli, i tre Re Magi della democrazia lucchese a venire, che Gelati intanto arruola “tra quanti, per vocazione, fanno il mestiere di esigere il dovere degli altri”.

Oppure le discussioni, stringenti, ricche di una vivacissima dialettica con i comandanti tedeschi che si alternano nella piazza di Coreglia: il nostro Podestà, senza cedere di un millimetro nelle proprie idee, ottiene sempre di convincere i tedeschi, in armi e bellicosi come può esserlo un esercito di occupazione, a pratiche miti e civili. Oppure i testi dei bellissimi manifesti con cui Gelati dialoga con la popolazione, espone le sue difficoltà, si impegna in prima persona, chiede collaborazione per dare da mangiare a tutti: è la “battaglia del grano” di Coreglia.



Giovanni Gelati, Diario di un podestà antifascista. Coreglia Antelminelli Giugno – Dicembre 1944, prefazione di Alberto Cavaglion, introduzione di Giorgio Bernard, copertina di Antonio Possenti, collana I racconti, Salomone Belforte editore, Livorno 2009, pp.130, Euro 14,00