24 luglio 2009

"L’apparire dell'armonia" recensioni di Emilio Michelotti




Può una lettura coerente tenere assieme testi diversissimi per ispirazione e disciplina di riferimento? Forse sì, se chi legge va cercando la risposta a un quesito che sotterraneamente e in modo trasversale li percorre: l’esistente è il regno del caos o dell’armonia?

Si può, con una certa convinzione, sostenere che siamo all’inizio di uno dei grandi mutamenti nella percezione del mondo: non più la visione di un cosmo concepito come una macchina composta di mattoni elementari, ma un’idea di Universo come rete di rapporti impossibili da separare, come sistema vivente che si autoregola, dotato in ogni sua parte di capacità cognitiva. La mente, l’attività mentale, potrebbe essere immanente nella materia a tutti i livelli della vita.
Vista da questa nuova – ma antichissima – prospettiva “la cognizione non richiede necessariamente un cervello e un sistema nervoso” (1).

Mi pare, per grandi linee, l’ulteriore riproposizione, dopo quella rinascimentale e quella junghiana, della concezione pitagorica dell’anima mundi (comprensiva, unificante, nella quale tutte le componenti si incatenano). La matematizzazione e la geometrizzazione dell’Universo si connettono, come nel VI sec.ac, alla simbologia magica dei numeri e delle figure spaziali: triangolo, sfera, espressioni, equazioni, sono belli perché etici; l’omogeneo (come dichiara Platone nel Timeo) è da reputarsi infinitamente più bello del diseguale. “La storia del pensiero non offre maggior esempio di perseveranza altrettanto testarda della maledizione del cerchio, della quale si nutrì la mitologia sia della Scolastica che della scientia nova – Galileo compreso - il dogma del movimento dei pianeti circolare e stabile”.

La perfezione dei numeri fu però già nell’antichità incrinata dalla “scoperta dell’incommensurabilità”: l’ipotenusa di un triangolo rettangolo, avente i cateti uguali, non può essere rappresentata da nessun numero reale. La soluzione del teorema sarà un numero irrazionale, pari e dispari contemporaneamente, con una infinita serie di cifre dopo la virgola (2).

Già Aristotele cacciò irridendo “l’armonia celeste” dal palazzo della scienza, relegando Parmenide e la sua eternità increata nelle soffitte, e stabilendo il principio, rivelatosi disastroso, per cui ogni cosa ha il suo posto naturale nella gerarchia universale, perfezione immutabile nell’alto, dominio dell’effimero quaggiù.

Eppure, dopo un’immmensa deviazione, alla fine del XVI sec., un certo Keplero s’invaghì del sogno di Pitagora in modo per certi versi antitetico a quello fino allora dominante (il vero e il bello sono custoditi dal linguaggio dei numeri) e, “su quel fondamento di fantasia costruì il solido edificio della modernità”.

Si tratta forse “di uno dei più strani episodi della storia del pensiero, ed è un rimedio per coloro che nutrono la pia convinzione che la scienza sia governata più dalla logica che da follia, ossessioni irrazionali, fecondissimi errori”. Al punto che “è innegabile una fonte unica per il modo d’esperienza mistico e per quello scientifico”(3).

Keplero: “La geometria esisteva prima della Creazione, è co-eterna allo spirito di Dio” (Harmonices Mundi); “Le idee di quantità sono Dio stesso” (Mysterium Cosmographicum).

Gravitazione universale, Campi elettromagnetici, Big bang, Meccanica quantistica, teorie delle Stringhe del Tutto del Caos, Multiversi, materia ed energia oscure. Nella rassicurazione e nell’ipnosi di queste parole si nasconderanno per caso antichi concetti metafisici?

1)- Fritjof Capra – La scienza universale- Rizzoli BUR 2009
2)- Kitty Ferguson – La musica di Pitagora- Longanesi 2009
3)- Arthur Koestler – Sonnambuli- Jaca Book 1982