20 febbraio 2013

"Alle origini del successo del romanzo poliziesco" di Luciano Luciani




Un fenomeno recente che accomuna tutte le letterature occidentali e non solo? La progressiva e sempre più larga affermazione tra il pubblico dei lettori del romanzo poliziesco, in tutte le sue accezioni. E ai trionfi in libreria e nelle classifiche dei best seller, ribaditi dall’apparizione di nuove collane e nuovi autori, si accompagna - e questo è il dato di maggiore novità - il definitivo venir meno di quelle diffidenze, resistenze e veti della critica che hanno sempre accompagnato, fin dalla sua nascita, questa forma di letteratura popolare.

Certo, oggi l’atteggiamento di critici e recensori è completamente mutato, da quando nel 1924, Richard Austin Freeman, popolare autore anglosassone di romanzi/enigma, era costretto sconsolatamente a constatare: “I critici e i letterati di professione tendono a bandire con disprezzo il romanzo poliziesco […] come qualcosa che si colloca al di fuori del dominio della letteratura e a considerarlo un prodotto di scrittori rozzi e assolutamente incompetenti, destinato a fattorini, commesse e, insomma, ad un pubblico privo di cultura e di gusto letterario”.

Eppure, durante tutta la prima metà del XX secolo, non erano mancate voci autorevoli che avevano spezzato più di una lancia in favore di questo genere di letteratura e che avevano contribuito ad emanciparla da ogni considerazione negativa e subalterna.

Sono ovviamente proprio gli scrittori che dovevano la loro fama al romanzo poliziesco quelli più attivi nella riflessione sul significato del genere. Per esempio, G.K. Chesterton, celebre inventore del personaggio di padre Brown, sacerdote cattolico e investigatore: “Il valore fondamentale del poliziesco consiste nel fatto che è la prima e unica forma di letteratura popolare nella quale è espresso il senso della poesia della vita moderna […] Non può sfuggire ad alcuno che in queste storie l’eroe, ossia l’investigatore, attraversa Londra con qualcosa della solitudine e della libertà di un principe in una fiaba del paese degli elfi. Nel corso di un viaggio imprevedibile, l’occasionale autobus assume i colori originali di una nave fatata. Le luci della città brillano come innumerevoli occhi di folletti; sono i guardiani di qualche segreto, comunque brutale, che lo scrittore conosce e il lettore no. Ogni angolo di strada è un dito puntato su di lui, ogni fantastica linea di camini contro il cielo sembra, selvaggia ed ironica, indicare il significato del mistero”.

E se John Carter, studioso e difensore del poliziesco, rivendica quarti di nobiltà intellettuale al genere - “il romanzo poliziesco è la lettura preferita di uomini di stato, di professori delle nostre più antiche università: in conclusione, di tutta quella parte del pubblico intellettualmente più viva” -, con la spregiudicatezza propria del grandi T.S. Eliot non esita a spingersi ancora più in là e ad offrire legittimità addirittura alla thriller story, che correva parallela alla detective story, ne era percepita come una degradazione e la si giudicava vicina piuttosto ad un genere deprecabile come il feuilleton: “Coloro che sono vissuti prima che termini quali ‘narrativa intellettuale’, ‘thrillers’ e ‘narrativa popolare’ fossero inventati, si accorgono che il melodramma è perenne e la passione per questo deve essere soddisfatta. Se non possiamo ottenere questa soddisfazione da ciò che gli editori presentano come ‘letteratura’, allora leggeremo con sempre minor pretesa di nasconderlo, ciò che chiamiamo thrillers. Ma nell’epoca d’oro della narrativa melodrammatica non c’era tale distinzione. I migliori romanzi erano thrilling”.

Se termini come trivialliteratur, paralitérature, livre de chevet … evidenziano la percezione critica negativa o, al massimo, un’accettazione condiscendente nei confronti del poliziesco, non mnacano giudizi, se non positivi, almeno problematici sull’argomento da parte di alcuni significativi personaggi della grande cultura tedesca degli anni Venti/Trenta del Novecento. Intanto il saggio di Siegfried Kracauer, Il romanzo poliziesco Un trattato filosofico, scritto tra il 1922 e il 1925 e pubblicato postumo nel 1971. L’ironica analisi dei luoghi e delle figure ricorrenti in questa particolare convenzione narrativa - la hall d’albergo, il detective, il poliziotto, il criminale, lo scioglimento dell’intreccio - condotta da Kracauer mira ad interpretare il detektiv-roman come lo specchio deformante di una società completamente civilizzata e razionalizzata, in cui si evidenzia meglio che altrove, il carattere “intellettualistico” della società moderna e la vittoria e il dominio della ragione su di essa: “La fine del romanzo poliziesco rappresenta la vittoria incontrastata della ratio […] Non esiste alcun romanzo poliziesco in cui il detective alla fine non abbia fatto luce sull’oscurità e dedotto i fatti banali senza lasciare lacune”.

Per Bertolt Brecht il romanzo poliziesco nasce dal feuilleton, ma se ne differenzia, perché, pur essendo popolare si rivolge ad un pubblico colto, desideroso di praticare un continuo ragionamento logico, insomma è il corrispettivo di una partita a scacchi. Per il poeta e drammaturgo tedesco, il romanzo poliziesco: “per quanto primitivo (e non soltanto da un punto di vista estetico), appaga le esigenze degli uomini che vivono in un’epoca scientifica senz’altro più di quanto non facciano le opere dell’avanguardia”.

La natura schiettamente borghese di questo genere di letteratura non poteva, poi, sfuggire alla riflessione di un osservatore asistematico e curioso come Walter Benjamin. Il filosofo e saggista berlinese la percepisce come la manifestazione di una classe sociale che, dopo aver conseguito i propri scopi economici e politici, soddisfatta e consapevole della propria egemonia, aspira, nella vita privata a costruirsi uno spazio appartato, staccato dal sistema dei rapporti affaristici, una  turris eburnea dove proteggere e curare la propria rigida moralità. Benjamin notava che il romanzo poliziesco non aveva cercato i suoi personaggi negli ambienti della malavita e negli slums della città (come spesso accadeva nel feuilleton), ma aveva preferito gli scenari borghesi della media e alta borghesia dove i misfatti cruenti si consumavano senza brutalità e i corpi si abbattevano sui morbidi tappeti della biblioteca privata, dello studiolo, del salottino: “I criminali dei primi racconti polizieschi non sono gentlemenapache, ma privati borghesi”.


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