16 dicembre 2013

"Ida" di Irène Némirowsky




di Gianni Quilici

Irène  Némirovsky, anche in questo romanzo breve o lungo racconto, dimostra di avere  una notevole capacità narrativa nonché di penetrazione psicologica.
La capacità narrativa è nell’attenzione ai dettagli e nel farli diventare flusso narrativo coinvolgente.
La penetrazione psicologica è nel  lungo soliloquio della protagonista, Ida, tra presente e passato , che scava così tanto e bene, che noi lettori abbiamo negli occhi e nel pensiero la radice più profonda del suo Io, nel momento in cui la sua vita sta cambiando, perché l’età che incalza non le consente più di sostenere quel ruolo di  bellissima ragazza, che ha calcato i palchi della music-hall parigini, divenendo famosa, ammirata e indiscutibile “prima donna”, a cui era ossessivamente legata. Dice di sé infatti:
Quello di cui ho bisogno, quello che apprezzo, quello che mi piace è l'amore della folla, l'ombra, il desiderio, quel roco balbettio che aumenta nella sala quando compaio, quella bramosia anonima... Quanto mi piace.. Perderla? No, piuttosto preferirei morire...”.

 I primi segni della “vecchiaia”, la mancanza di forze fisiche adeguate, la presenza di Cinthia, la sua fresca, giovane, bellissima rivale fanno nascere in Ida un flusso di ricordi tra il compiacimento di sé, la nostalgia e l’angoscia. Soprattutto l’angoscia.

Irène Némirovsky coglie molte sfaccettature di questa solitudine: l’amore sfrenato per il successo e il lusso, l’egocentrismo per quella che lei è stata e ancora crede di essere, l’invidia delle colleghe, di cui si sente circondata e assediata, la paura di perdere la sua supremazia, gli accorgimenti adottati per evitare rughe e stanchezze, e i ricordi del passato, i ricordi degli amori che non sono stati per egoismo e soprattutto un trauma, il più radicale: l’essere stata additata nella giovinezza come la figlia di una tenutaria di un bordello, come la figlia di una puttana.

Un racconto perfetto, perché rappresenta un personaggio ed una situazione emblematica del cabaret anni ’20, che in questa perfezione ha forse il suo limite. Perché rimane una registrazione di una condizione veritiera ma senza contrasti, perché Ida non ha voluto, né cercato, né forse voleva cercare n volere una qualche libertà, né niente e nessuno l’ha messa in crisi o comunque in movimento, se non il fluire inesorabile del tempo. In questo senso Ida rimane più che un romanzo un racconto, un perfetto racconto lungo sulla decadenza di una donna nella Parigi degli anni ’20, ma non si allarga, non vuole allargarsi ad una crisi più generale che investirà l’Europa e porterà sconvolgimenti sociali e politici.

IDA. Irène Némirovsky. Traduzione di Monica Capuani. Elliot 2013. 64 pgg. Euro 7,50.

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