14 febbraio 2018

“La vedova allegra” operetta di Victor Léon e Leo Stein



di Silvia Chessa

Il paradigma di Hanna Glawari e di Danilo Danilowitsch  - che dissimulava il suo innamoramento come lei il suo - è talmente affascinante che ci potrebbe fare cadere nel favoloso tranello, illudere che tutto sia possibile e risolvibile, in fondo, mentre cadiamo nelle lusinghe acustiche di voci, strumenti, di danza canto, costumi e scene incantevoli e dinamiche. E mentre ci inerpichiamo nelle complicazioni della trama, fra intrighi internazionali, tradimenti, riscatti sociali e una serie di schermaglie amorose che andranno, però, a buon fine.

L’operetta, nella sua irresistibile varietà e vivacità espressiva è così: inganna e insegna al contempo. In verità non è così la storia, penso, gli equilibri sociali sono instabili e l’amore è come la tosse, che non la puoi reprimere, non a lungo, se non soffocandoti.
E il lieto fine, il coronamento del sogno, quando tutto sembrava compromesso, poi, non a tutti è dato: i treni persi, si sa, restano persi.

Infatti, fra i treni persi ascrivo, e mi duole, il non avere una profonda e specifica conoscenza di storia della musica, e non avere abbastanza tempo davanti per recuperare le gravi lacune del mio sapere zoppo, che non riesce a discernere, a colpo sicuro, note, passaggi e stilemi in un ascolto a teatro. Ma la Fenice compensa accattivandosi lo sguardo prima degli altri sensi, e così basta semplicemente lasciarsi andare e sentirsi parte di un meccanismo avviato perfettamente verso la bellezza.


Per pregustare alcune piccole perle ermeneutiche della Vedova allegra che si tiene stasera alla Fenice di Venezia, mi è valso ascoltare le risposte del Direttore artistico Stefano Montanari, intervistato in precedenza dello spettacolo, in radio, pensiero chiaro e sostanzioso: mi ha stregata il suo modo di gestire onestamente questo classico e di ravvivarlo senza snaturarlo.
Ha voce composta, da persona spiritosa e vivace, il suo registro è di un serio tendente al sorriso.
Ho apprezzato molto che dicesse, dell'operetta, che è complessa da affrontare in quanto è lieve solo in apparenza, e che le parti che lo hanno attratto e commosso di più, e verso le quali lo stile della sua direzione ha inteso orientare la sensibilità del pubblico, non sono quelle leggere - simil effimere- ma quelle più malinconiche. Per esempio dove il canto si può dispiegare in modo più libero ed esteso.

Mi ci ritrovo, in questo orientare l'opera  artistica verso il “fuori contesto”, in questo caso il momento pacato e lento, rispetto al genere apparentemente lieve e spensierato.

C’è dinamismo anche nel rallentare. Nel collocarsi, originalmente, sul registro della malinconia, della quale la lettura, per me, più calzante e fascinosa ascoltata di recente (in televisione, dalla voce di Carla Bruni) è la seguente:
La malinconia si distingue dalla tristezza, (perentoria, da subirsi e basta) e la si potrebbe definire come quel sottile piacere di stare tristi. Quasi una scelta. Quasi una vedovanza. Ma molto rock.


Venezia, Teatro La Fenice
DIE LUSTIGE WITWE
(LA VEDOVA ALLEGRA)
Operetta in 3 atti di Victor Léon e Leo Stein
Musica di Franz Lehár
Direttore: Stefano Montanari
Regia: Damiano Michieletto
Scene: Paolo Fantin
Costumi: Carla Teti
Light designer: Alessandro Carletti
Coreografia: Chiara Vecchi

Hanna Glawari, Nadja Mchantaf
Conte Danilo Danilowitsch, Christoph Pohl
Valencienne, Adriana Ferfecka
Kromow, Willam Corrò
Baron Mirko Zeta, Franz Hawlata
Visconte Cascada, Simon Schnorr
Camille de Rossillon, Konstantin Lee
Raoul de St Brioche, Marcello Nardis
Bogdanowitsch, Roberto Maietta
Sylviane, Martina Bortolotti
Olga, Zdislava Boková
Pritschitsch, Nicola Ziccardi
Praskowia, Daniela Baasová
Niegus (ruolo parlato), Karl-Heinz Macek
Lolo, Alessandra Calamassi
Dodo, Mariateresa Notarangelo
Jou-Jou, Rossella Contu
Frou-Frou, Alessandra Gregori
Clo-Clo, Chiara Lucia Graziano
Margot, Krizia Picci


Orchestra e Coro del Teatro La Fenice di Venezia
direttore, Stefano Montanari
regia Damiano Michieletto
maestro del Coro, Claudio Marino Moretti
scene, Paolo Fantin
costumi, Carla Teti

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