01 dicembre 2009

" Il soccombente" di Thomas Bernhard

di Emilio Michelotti




Thomas Bernhard intinge la penna nel veleno. La sua ossessione monologante lo porta a una visione assolutista. Lo muove un pessimismo senza possibilità di riscatto. Demolitore e alchimista, muta in caos l’armonia, e l’oro in piombo. Tutto vero?

Non mi pare, se si guardano con attenzione i suoi scritti, per esempio questo Il soccombente, il cui tema sembrerebbe essere l’invidia (Salieri versus Mozart, per intenderci). Pista falsa: l’io narrante è affidato a un anonimo, quello che, dei tre allievi-amici della scuola pianistica di Horovitz, è sopravvissuto per inerzia e ignavia.

Il secondo, l’ambizioso Wertheimer, “gettato per la crudeltà dei genitori nell’ingranaggio dell’esistenza”, è sconfitto, soccombente nel confronto con la perfezione.

Perché il genio del terzo personaggio, l’immenso Glenn Gould, appartiene all’alterità, ha per orizzonte la sfida senza limiti, l’invasamento, la sete di gloria, una hybris che muove la sua grandezza e non può che condurre a follia, malattia, morte.

Il suicidio a cinquantun’anni – programmaticamente concertato – di Wertheimer, è preceduto di pochi mesi dalla morte alla stessa età di Gould, consunto per troppo amore, insonne perfezionista, risucchiato, dopo aver strabiliato il mondo, dallo Steinway nel bel mezzo delle Variazioni Goldberg, vendetta dello strumento contro il suo domatore e stupratore.

E’ duro andare controcorrente. Bernhard percorre le vie di un rigore spietato e incrollabile, le certezze del pensiero solitario contro il relativismo del ragionare dialogico. Rimette in circolo l’agostiniano ordo amoris al tempo in cui tutto si può dire ( perché tutto è vero nulla essendo più vero), e in cui tutto ciò che si fa ha una giustificazione etica predisposta.

Difficile, al tempo dell’indifferenza e dell’indifferenziazione, ascoltare, per orecchie disincantate, l’eco di antiche gerarchie valoriali, storie di eletti e reietti, filtrate da una mente analitica e iconoclasta.

“Il mondo è pieno zeppo di mutilati, nel corpo e nell’intimo”. Bernhard, che “detesta chi parla senza aver finito di pensare, quindi quasi tutta l’umanità”, è, proprio per questo, uno splendido esempio di narratore disgustato dalla finitezza dell’esistere.

“Tutto ciò che era nato per essere grande ha finito per rimanere un ridicolo dettaglio. I grandi pensatori sono solo esseri pietosi che hanno abusato della loro mente e operato per se stessi una reductio ad absurdum. Assurda è l’intera nostra vita”. Parola di soccombente.


Thomas Bernhard – Il soccombente – trad. Renata Colorni – Adelphi 1985