17 luglio 2012

"Intervista a Luca Gaddini" di Mira Giromini






A Pietrasanta nella Sala Grasce, accanto alla Chiesa di Sant’Agostino, dal 6 al 18 luglio 2012, è stata allestita, grazie al patrocinio del Comune di Pietrasanta, il Centro Culturale "Luigi Russo" (www.museodeibozzetti.it) e del Centro Arti Visive(www.cavpietrasanta.it)  una mostra contemporanea di videoarte. 
L'artista è Luca Gaddini e fa parte di una cerchia di giovani talenti della gallerianumero38 di Lucca.

Entrando nella mostra il primo effetto è quello di vedere un insieme di quadri monocromi; solo successivamente ci si accorge, nella penombra della sala, che le tele svelano alcuni volti, in particolare femminili, che non sono proiettati né tanto meno dipinti; i volti si muovono attraverso una nuova tecnologia che unisce la tradizionale tela con i montaggi-video e la fotografia (fotogrammi) e ha come risultato un’espressione virtuale e pittorica insieme, che Luca Gaddini definisce Sindonext .

Cosa significa Sindonext e quando nasce?
Sindonex è l’insieme di due parole: la prima è Sindone, sinonimo di Sacra Sindone, indica quel tessuto in cui l’ immagine di Gesù (in particolare il volto) viene, attraverso la luce, impressa sul telo di lino in modo molto tenue; la seconda parola è next che sta a significare nuovo e prende in considerazione non solo i miei lavori su tela ma anche quelli su nylon nero da spazzatura. L’effetto che voglio creare con le mie opere è lo stesso di quello creato dalla Sindone; non si tratta di un vero e proprio video quanto di una “traccia cristallizzata”di volti sulle tele.
Il progetto nasce anni fa ma è stato messo in pratica circa tre anni fa; grazie ai progressi della tecnologia; avevo infatti già fatto delle prove con delle tele, dei veli e i video ma l’uso dei cristalli liquidi al LED, molto fini e la tecnologia sono stati determinati ed hanno permesso di mettere in pratica la mia forma artistica e creativa.
Una lettura che ho fatto successivamente a Sindonext ma che si inserisce nelle mie ricerche contemporanee è stata Punto Omega di Don DeLillo (2010). Il romanzo si apre con un installazione di Gordon Douglas, famoso videoartista, che ha allungato e dilatato con il sistema dello slow-motion la proiezione del celebre thriller di Hitchcock, Psycho. La proiezione è talmente rallentata che dura un’intera giornata (24 ore) e il nuovo film si intitola appunto 24 Hours Psycho (1993). Pochi istanti durano minuti interi: vi sono infatti dei pezzi del film che inevitabilmente perdi; piccole espressioni che normalmente perdi (battito di ciglia, muscoli facciali che si muovono) e che rallentati diventano una cosa altra, un altro film, un’altra storia, “una rivelazione”.

Sindone è il lenzuolo di lino con cui si avvolgono i morti; la sua operazione artistica ha un che di funereo e nostalgico mentre altre volte è inquietante; ci può spiegare meglio?
Si, immagini inquietanti quasi fantasmi; ogni persona ha una parte inquietante e una parte dolcissima dentro di sé, specialmente i volti femminili hanno cambiamenti di umore e diversi sguardi. Considera che per certi collezionisti le mie opere si rivelano delle vere e proprie presenze in casa; a volte fanno persino paura. Non posso dirti cosa voglio fare, non conosco l’esito finale del video che riprendo: vedo un soggetto interessate che può trasmettere qualcosa ma il risultato è assolutamente casuale; quando dopo un’ora di video del volto vado a rallentare emergono delle immagini che io percepisco e scelgo; il mezzo è oggettivo mentre la scelta rimane personale. Io devo farmi prendere dalle immagini, devo innamorarmi delle immagini che vedo e poi penso che devono trasmettere qualche cosa a chi le vedrà, anche se principalmente trasmettono a me, voglio creare una magia finale che si chiude con lo spettatore.
Dopo la ripresa di un’ora o mezz’ora sul viso del soggetto; prendo il video e lo allungo, lo stiro e dalla mezz’ora che era, il video diventa di quattro ore; prendo le parti che più mi piacciono, lo monto, rallento mentre alcune volte faccio uno stacco; è’ come se riuscissi a “dilatare il tempo” e cogliere espressioni nascoste e non visibili a occhio nudo.
Come fanno i registi, mi piace stare al di là della telecamera, faccio il film, la regia e non mi confondo mai con gli attori. La mia deve essere una ricerca oggettiva. Ho cercato delle espressioni costruite che potessero suscitare interesse (donna truccate vistosamente, donna che lecca il vetro, espressioni sataniche) ma quelle che hanno maggior risultato sono i filmati spontanei e naturali, dal quale emergono espressioni straordinarie; è come se attraverso una macchina del tempo potessi scavare un inconscio e farlo emergere.

Quando ho visto i volti ho pensato alle recenti ricerche dell’antropologo Ekman che afferma che le espressioni facciali e le emozioni umane non sono determinate dalla cultura di un posto o dalle tradizioni ma sono universali e uguali per tutti in tutto il mondo. Sofferenza, rabbia, gioia e paura sono emozioni universali che attraverso le espressioni facciali comunichiamo come tali.
E tante volte comunichiamo inconsciamente. Attraverso le microespressioni facciali che tu fai ci sono macchine che riescono a rivelare se dici la verità o una bugia.
I miei sono ritratti, filtrati attraverso la mia scelta e la mia mente; ho creato un nuovo media per poter comunicare; non parlo assolutamente di me, ma faccio parlare Sindonext; io voglio rimanere esterno, manipolo le immagini in maniera quasi scientifica, sono un manipolatore di immagini, mi sento più un ricercatore che un artista che vuole esprimere qualcosa; la mia è una ricerca fine a se stessa.
La percezione è quello che deve venire fuori da Sindonext voglio che si intraveda che sia un viso, perché dietro a un viso c’è una testa, un pensiero, uno sguardo, un’espressione e un’emozione.

Questa sua affascinante forma artistica si basa su una tecnica, ci rivela il segreto?
Il concetto da cui si deve partire è “l’elaborazione mentale” del video; il mio lavoro parte dal disturbo e dalla visione attraverso la telecamera in movimento, i miei quadri sono video anche di 40 minuti l’uno che dovrebbero essere proiettati. Io comincio con delle immagini riprese su sfondo nero, poi isolo completamente il viso del soggetto o della modella dal contesto. Da tale video ci lavoro anche un mese: distorgo, rallento i movimenti, allargo il video o lo ristringo; faccio una serie di montaggi in successione che possono durare anche molto tempo. Da una ripresa di un’ora, ma potrebbe essere anche di dieci minuti io riesco a prendere alcune parti che mi interessano, alcune “smorfie” che sono quelle che non si vedono normalmente.
Bisogna pensare che ogni persona quando parla fa dei movimenti strani con degli sguardi strani: in una mezz’ora la persona fa delle espressione inconsapevoli, di cui non si rende neppure conto. Rallentando il video, attraverso il sistema dello slow-motion, la mezz’ora di video diventa tre ore, la lentezza arriva al fotogramma; il video è rallentatissimo. In quel momento lì vado a dividere il video in vari fotogrammi e scelgo i pezzi più espressivi. E’cose se scavassi nell’inconscio del soggetto ripreso. Rallentare il video significa che un video di un’ora viene allungato e dilatato. Quando ti riprendo, ti vedi in un contesto diverso, con uno sfondo nero, ti concentri su te stesso sui tuoi movimenti, è come in una ripresa teatrale con una luce bassa;la ripresa è curata in studio con delle facce o pose studiate; in altri casi si parla in maniera spontanea. Da questa ripresa io vado a estrapolare quello che più mi interessa. Viene fuori un video al limite del visibile; in alcuni punti velocizzo, in altri rallento o do degli stop-motional: dono nuova vita al video; gli creo una nuova identità; ci sono persone che ho ripreso e non si riconoscono in Sindonext.

Quale è il ruolo dello spettatore di fronte alle sue tele?
Attivo. Lo spettatore deve partecipare. Si tratta di un’istallazione non solo di un video, si tratta di un’installazione che comprende vari media: mix-media-installation. Tale tipo di installazione comprende anche la complicità dello spettatore che deve essere partecipe. Le reazioni degli spettatori sono le più svariate, alcuni rifiutano di vedere a lungo: vengono e vanno via. La luce bassa è un effetto di disturbo visivo, per cui l’immagine risulta rarefatta, si deve vedere male, l’immagine deve essere solo una “traccia” per il resto deve lavorare lo spettatore con l’immaginazione. La percezione deve lavorare al massimo.

Quanto siamo sicuri di percepire quello che vediamo? quanto tempo dedichiamo veramente ad una mostra di videoarte?
Ognuno scopre e percepisce qualcosa di diverso, ognuno vede se stesso; si mette di fronte ai propri limiti. Nelle mostre che faccio, a parte pochi interessati, la maggior parte di chi guarda, guarda l’insieme, che ha un effetto pittorico, sembrano quasi velature su tela; la mostra viene però fruita all’1X1000 delle potenzialità che ci sono davvero.

Si può dire che c’è un significato altro dietro i suoi video nelle sue mostre?
La mia arte mostra l’invisibile: il video utilizza una accumulazione di segni e comprende una molteplicità di informazioni e comunicazioni. Oltre alle forme rappresentate, si tratta di osservare ciò che è sotto agli occhi ma che è difficile riconoscere.
Se consideriamo che nel cinema ci sono 24 fotogrammi al secondo, in una ripresa di un secondo faccio 24 foto; puoi immaginare quante sono le fotografie in un film. In un ora devo moltiplicare 60X24X60; poi prendo in visione un fotogramma alla volta ( se rallentato troppo il fotogramma rischia di rivelarsi scalettato e disturbato).
Tante comunicazioni non si percepiscono: immagino ai quadri del passato con un dietro non visibile, una specie di doppio quadro, Sindonex è un doppio quadro, è visibile ma lo spettatore non riesce a vedere tutto, è disattento, c’è una comunicazione che se uno fa attenzione e riesce ad entrare in sintonia, scopre. La maggior parte della gente è distratta e va bene così, se volevo dare una comunicazione diretta davo un video da guardare in una stanza buia. Inserire un video distorto, trasfigurato e rallentato in una stanza mal illuminata ti impedisce di vedere l’opera ma ti aiuta a percepirla: è come se la negazione della visione favorisse la vera percezione; come un cieco che sviluppa altri sensi, l’alta tecnologia è un meccanismo di approfondimento dei sensi che permette di vedere oltre il piano della realtà. Siamo abituati a stravedere, la pubblicità, per esempio deve arrivare subito alla mente e al cuore della gente attraverso un linguaggio patinato e ben visibile; non è così per l’artista che deve mirare ad un linguaggio altro.
La mia arte è un linguaggio da non confondere con quello dei mass-media; la mia arte ti costringe a fermarti, richiede ad un pubblico sempre più distratto di fermarsi e guardare oltre.
Come in una galleria buia, una volta dentro nel momento in cui ne stai per uscire intravedi l’architettura, anche se è sempre tutto buio, il passaggio dal buio alla luce e viceversa, induce ad un’osservazione più profonda.

Vi sono molti volti e ritratti nelle sue opere, ha pensato anche ad autoritratto?
Si, ho provato a farmi un autoritratto, ero solo con la telecamera davanti a me; ho scartato l’idea anche se comunque prima o poi, senza alcuna priorità, voglio riprovare.

C’è ancora qualcosa che dovrei sapere delle sue ricerche?
C’è un film, dal titolo Fino alla fine del mondo (film di Wim Wenders, 1992) che è stato per me un film di grande ispirazione, assai innovativo; il protagonista riesce a costruire un apparecchio, una specie di casco, che può registrare, visualizzandoli e proiettandoli i sogni, i ricordi umani e l’intera attività mentale. I ricordi consci e inconsci, vengono memorizzati in un dvd e la protagonista attraverso un lettore e una visione non perfetta del video, trasfigurata in un effetto sale e pepe (tipo Sindonext) come appunto può essere un ricordo, comincia a vivere dei soli suoi ricordi drogandosi di immagini. Tale Film è stato per me determinante: mi riconosco nel protagonista che dall’indole curiosa, è tutto volto a percepire emozioni e scavare in territori inesplorati dell’animo umano.


"Sindonext" mostra di Videoarte di Luca Gaddini:  luglio 2012

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