05 novembre 2012

"Le tre vie della pittura" di Flavio Caroli






I ricordi di una storico dellarte non sono soltanto, come
molti inclinano a credere, ricordi di tavolino e di scintille
scoccate, automaticamente, tra la pila fotografica e la pila
documentaria, ma anche, e molto di più, di viaggi senza mèta,
dincontri fortuiti, di lunghi approcci con le opere, ostinata-
mente mute, nei pomeriggi che spiovono dai lucernari dei musei:
questi amatissimi paesaggi della nostra vicenda particolare
(Roberto Longhi)
di Davide Pugnana


La bella meditazione autobiografica che Longhi ha depositato sulla soglia del suo Carlo Braccesco si offre come viatico per la riflessione saggistica di Flavio Caroli. Lorizzonte claustrale dei ricordi di tavolino e le luminose epifanie filologiche, vissute dallo storico dellarte tra il silenzio ombroso degli scartafacci, è condizione quanto mai lontana da un metodo di ricerca in perenne, vitalissimo movimento. Costruito tutto su di una concezione totale della storia dellarte, il prismatico cannocchiale caroliano focalizza le vicende artistiche connaturandole alla più ampia storia della civiltà occidentale, simili in tutto a capitoli inscindibili di un grande romanzo. Romanzo che Caroli intesse e ricostruisce facendo muovere sulla scena le figure peculiari dellintreccio; i grandi temi portanti, i cosiddetti primari confluiti nello sviluppo di un filo rosso che egli definisce pensiero in figura. La ramificata mappatura storiografica che da decenni Caroli sottopone a continui collaudi e verifiche, dà la misura reale e complessa della sua visione di storico dellarte. E spesse volte, per cogliere la portata innovativa di un saggista, non occorre averne compulsata lintera produzione; è sufficiente scorrere i titoli della sua bibliografia, osservare larchitettura degli indici, per delineare lintelaiatura complessiva del suo schema. Nel caso di Caroli, ogni saggio possiede una sua potenza di lettura e contribuisce a ricostruire ora la portata di un fenomeno dellimmaginario artistico; ora un filone iconografico, particolarmente incisivo per levoluzione del pensiero occidentale. E non perde il senso dellinsieme neppure quando egli si china, con lente e bulino, a lavorare alle linee interpretative di un dipinto del quale ci sembrava averne esaurita la portata. Ma questa constatazione non basta. Malgrado lautonomia di opere monografiche dedicate a Lorenzo Lotto, Tiziano, Giuseppe Bozzani e Burri; e nonostante i vigorosi affreschi storiografici tracciati in un quarantennio di studi, inarcati a ventaglio tra Cinquecento lombardo, Sette e Ottocento, Primitivismo e Cubismo, nonostante tutto ciò, a lettura ultimata, ogni testo, per quanto si mantenga animato di luce propria, finisce per scoprire la complementarietà, quasi per debito o per consanguinea appartenenza, con lanello precedente o successivo. Proprio in forza di questa capacità di costruire una lettura globale dei fenomeni artistici, facendoli partecipare alla prospettiva più ampia della storia della cultura, Caroli rientra nel novero di quegli storici dellarte che hanno dedicato la propria vita ad una sistemazione organica della civiltà artistica occidentale.
A esemplare questa cifra della saggistica caroliana, cade in taglio il ciclo di conferenze che lautore racchiude ne Le tre vie della pittura, uscite in prima edizione nel 2004 e riedite da Electa (2012) come sintesi di un lungo percorso che lo storico dellarte ha ormai disvelato per intero, apportando, da ultimo, il tassello de Il volto dellOccidente, che completa il ciclo dedicato ai volti nellarte.

Il trittico saggistico, evocato fin dal titolo, è tuttaltro che un compendio delle teorie precedenti sugli indirizzi della pittura. Le corrispondenze iconiche, magistralmente ricostruite da Caroli nei tre interventi, scoprono la tessitura di uno sguardo in movimento che, certo nutrito di ricordi di tavolino e di scremature documentarie, si scopre innervato da viaggi senza mèta, da incontri fortuiti, da visioni cavate sul campo e rischiarate da quella luce lirica e visionaria che spiove dai lucernari dei musei e dagli accostamenti inediti colti nelle sale delle mostre. A rivelarci la filigrana intellettuale di questa ricerca è proprio laneddoto che apre il primo capitolo dedicato alla luce nella pittura occidentale. Protagonista è, ancora una volta, Roberto Longhi, e lepisodio narra di una lezione nella quale il maestro antepose alla sua parola quella del linguaggio iconico, mediante laccostamento dellAdamo ed Eva di Masaccio e di Jan van Eyck. Questa esperienza ha strutturato lintero percorso di scavo di Caroli, ne è diventata il lievito segreto, la molla generatrice: tutta la sua ricostruzione dei primari del pensiero in figura occidentale sembra la voce struggente di chi, tra i banchi duniversità, non ha prontamente alzato la mano alla domanda che il totemico padre fece cadere nellintervallo delle due diapositive: Avete capito?, e vi continua a rispondere lungo tutta la sua vita, scrivendo libri che nascondono, nel loro ventre, lettere al padre.  
È dallintuizione di quei due grandi ceppi dellarte europea alle soglie della modernità che prende avvio la fondazione della luce pittorica occidentale. Dallesplorazione lenticolare dei corpi di Adamo ed Eva di van Eyck, impastati di luce porosa che registra i miracoli del visibile, il vento nordico scende nel territorio italiano per modificare gli statuti del vocabolario pittorico mediterraneo. E i centri propulsori della nuova luce sono la Firenze dove Domenico Veneziano dipinge la Pala dei Magnoli e la Venezia di Giovanni Bellini. È con la Pala di Pesaro che Bellini inventa la pittura tonale. Leggendo lanalisi visiva di Caroli, la sua scrittura che mimetica indugia a restituire lo spazio di entroterra veneto, coi suoi castelli ascendenti stagliati dietro i volti delle figure centrali, la mente corre ancora alle pagine di Longhi sulla pittura veneziana, per il quale la calligrafia belliniana, liberatasi dalla lezione mantegnesca, si rivelava nella resa delle nubi alte, lontane, e cariche di sogni narrati; tra le chiostre dei monti e le absidi antiche, le grotte dei pastori e le terrazze cittadine, le chiese color tortora del patriarcato e il chiuso delle greggi []; davvero il tonalismo del Bellini si distende sopra ogni cosa come una calma che spazia fra i sentimenti eterni delluomo, e prelude allaristocratica rappresentazione del mondo visto nella luce di Giorgione, la cui precisione quasi sovraumana spicca nel brano dei Tre filosofi e traghetta il tonalismo dal particolarismo veneto al primato della scena europea. Ma la luce, nella storia della pittura occidentale, non è solo il delicato tonalismo veneto che si reincarnerà, qualche secolo dopo, nelle meravigliose vedute romane di Corot. Cè una stazione fondamentale che segna il rinnovamento assoluto della luce ed è quello apportato dalla pittura secentesca. Secolo nel quale ladesione assoluta della materia pittorica agli oggetti si fa la luce franta in tre vie maestre: quella caravaggesca; quella vermeeriana e quella rembrandtiana. Caravaggio è latto di fondazione di un nuovo paradigma espressivo delluso della luce, la cui novazione fa tabula rasa delle riserve iconografiche e formali della tradizione precedente, e, pur poggiandosi ad un humus di precedenti (come ha dimostrato Longhi), deposita un nuovo pensiero in figura nellimmaginario visivo occidentale. Caroli sceglie, come campione, il Fanciullo morso da ramarro: La luce ha funzione drammatizzante, crea il dramma,  e tuttavia è una luce precisa, che ha unorigine fisica, una sorgente che qui arriva da sinistra, descrive i lineamenti fisiognomici del protagonista, scende lungo la spalla, si accende meravigliosamente nella camiciola da ragazzo di vita, poi nella mano, costruita attraverso un chiaroscuro che è plastico ma anche luministico, a arriva alle meraviglie nel brano di natura morta [] Nel particolare dellampolla di cristallo traslucida, e della rosa, ogni stilla di colore, ogni innamoramento della materia, che dicono che la pittura è ormai interamente luce, luce che sempre più si allontana dallassolutezza cinquecentesca e sempre più si avvicina a una quotidianità che apparterrà interamente alla pittura moderna. Sarà la luce del mondo pittorico vermeeriano, rivelatrice di una magica normalità” quotidiana punteggiata dalla vita silente delle cose; luce che dice un attimo di pausa fattosi muto disporsi degli oggetti nella stanza. Immerso nel silenzio, locchio del pittore allinea gli splendidi oggetti del suo spazio magico tutti sullo stesso piano di dignità pittorica, abolendo qualsiasi gerarchia: le ceste di vimini, i pani flagranti, le brocche di latte; la ragazza alla spinetta, i tendaggi a sipario; la merlettaia piegata sul ricamo tra i suoi piombini e i fili rossi e gialli; la donna alla finestra che legge la lettera, con la luce che le bagna il foglio, e, nella stanza accanto, laltra che sogna una promessa di eterna bellezza al tatto delle perle sul collo; e il chiuso dei cortili col bianco sbrecciato dei muri e i puntolini della calce tra i mattoncini rossi, oltre i quali si slarga lorizzonte della Vue de Delft, davanti alla quale Proust farà morire Bergotte, il pittore della Recherche. La luce vermeeriana si trasforma nella grana stessa delle cose rappresentate, ne possiede il segreto e sembra rivelare a noi per la prima volta, come battezzate da uno sguardo aurorale.
Per la luce di Rembrandt Caroli sceglie la Lezione di anatomia del dottor Tulp: in quella chiostra di corpi e sguardi curiosi “è come se, per un istante e solo per un istante, ciò che vediamo, nella fattispecie il cadavere di un uomo, fosse bruciato da una scarica a 100.000 volt che, nel momento stesso in cui si verifica, ci svela la verità: la stiamo vedendo in questo istante, non cera prima e non ci sarà dopo, non ci sarà mai più. La pittura fa sì che quella improvvisa scarica entri nelle cellule, macabre, terribili di un braccio che è stato scorticato e aperto, e lo riveli davanti ai nostri occhi. Quello era un uomo, e in questo istante non è altro che carne nella luce. Da questo momento in poi, conosciamo le potenzialità di una luce che può uscire dai propri confini per intraprendere un cammino di verità che scavalca i territori della naturalità.
La via della luce pittorica occidentale prosegue la sua corsa verso la modernità con le tempeste perfette di Turner e il colore-luce della cattedrale di Monet, della jeunesse dorée dei canottieri e delle fanciulle in fiore di Renoir, per accedere allo sperimentalismo  novecentesco, il secolo che si apre in un prisma che affronta i misteri della realtà e del visibile nelle direzioni più diverse: dalla luce terrena e quotidiana di Matisse alla luce che non cè” di De Chirico; dalla luce materica e dalla perfetta precisione tonale degli oggetti spaesati di Morandi allintuizione di un limite estremo di tonalismo di Number 14 del pittore russo-americano Marc Rothko.

Da Leonardo a Freud si apre la via della pittura dellanima. Scrive Caroli: esiste una sorta di tensione costante che, da un certo momento in poi, guida e caratterizza non solo larte figurativa, ma proprio il pensiero, si può dire lepistemologia occidentale, e che non si riscontra in nessunaltra cultura del pianeta. È una tensione che ha per oggetto lanima, il profondo, il cuore sede di ogni passione. Sulla spinta di tale richiamo, larte occidentale si pone sulla via dellintrospezione, in un cammino lungo il quale locchio dellartista scruta le fattezze umane, i sentimenti e le emozioni che le caratterizzano e le determinano. Scruta, cioè, al di là di ciò che si vede, sempre più nei segreti del cuore umano. E certo vero che, nella direzione di scavo della saggistica caroliana, la quale, come abbiamo visto allinizio, copre un arco assai vasto di ricerca, la linea introspettiva della storia dellarte trovi una collocazione di assoluta centralità. Lo scavo nellanima è la via regia della sistemazione storiografica di Caroli, come documenta il suo racconto della storia dellarte (Electa, 2011) imbastita proprio su questa linea-guida delle poetiche artistiche occidentali. Ma il contributo decisivo su questo versante è affidato alla monografia Storia dellarte fisiognomica. Arte e psicologia da Leonardo a Freud (Electa 1995, poi riedita 2012): un lavoro di impianto complesso, che abbandona la piacevolezza narrativa degli altri saggi per strutturarsi in una serrata e storicizzata argomentazione sulla scienza degli abissi interiori dal Cinquecento al Novecento, allorquando il pittore decide di spostare l orgogliosa pupilla umana, creatrice della geometrica prospettiva antropocentrica, allinteriorità dei leonardeschi moti dellanima. E sono proprio i precetti teorici e i disegni fisiognomici di Leonardo ad aprire la seconda via della pittura. Solo la pittura che saprà restituire quel che la figura ha nellanimo sarà stimata arte laudabile: da questa base nascono le bellissime Teste leonardesche, primi colpi di sonda nella natura umana. Fronti raggrinzite dal corruccio e contrappuntate da bocche urlanti; profili zigzaganti di menti puntuti e di nasi gibbosi; colli solcati da rughe, tendini, muscoli mostrati quasi scoperti e velificati dalla lebbra: sono le linee grafiche della fenomenologia psicologica delle Teste che molta critica ha rubricato erroneamente come caricature e che approderà al brano assoluto degli apostoli nel Cenacolo.
Questo voyage au bout de la nuit, aperto da Leonardo nella pittura occidentale, attraversa quattro secoli di storia dellarte: Ha inizio così un viaggio affascinante, una specie di sonda che, con strumenti teorici prima approssimativi, poi via via sempre più affinati, scende nel cuore delluomo e ci racconta per immagini come, nel corso dei secoli, si è evoluta, è cambiata, la consapevolezza di sé delluomo occidentale: dalluomo-eroe del Rinascimento, potenzialmente delegato da Dio a essere padrone delluniverso, alluomo dei giorni nostri, privo di certezze e angosciato dalla propria fragilità biologica e psichica. È un viaggio che larte compie avendo come compagna di strada la fisiognomica, che poi diventa psicologia e infine  psicoanalisi. Tra i primari del pensiero in figura, Caroli si ferma a leggere il dialogo di psicologie opposte nel Doppio ritratto (Linnamorato) di Giorgione;  gli occhi azzurri, freddi, alteri e indagatori del Ritratto del vescovo De Rossi del Lotto; ed entra nella straordinaria rivelazione fisiognomica del Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese di Tiziano, dipinto che esplora e mette in scena i recessi del machiavellismo politico, strappando il velo delle convenzioni sociali nella schermaglia di sospettosa attenzione del pontefice e di untuosa ipocrisia e falsità” del nipote. Nel mezzo del goyesco volo di mostri zoomorfi della ragione dormiente e lurlo espanso di Munch, nascono due capolavori assoluti della pittura fisiognomica ottocentesca, doppio preludio al novecentesco male di vivere: la prodigiosa serie dei cinque ritratti di monomaniaci dipinti da Géricault su commissione del suo medico, allaltezza del 1820, mentre è in cura in un manicomio di Parigi, psicologicamente sfibrato dalla tensione della Zattera della Medusa.  Caroli sceglie come primario Il rapitore di bambini, nel quale la luce folle del nucleo ossessivo - il rapimento dei bambini -  si concentra nella fissità vigile dello sguardo, estraneo al flusso di vita esterno e mandato in fuga oltre la tela, teso verso un oggetto del desiderio che non visto e, proprio per questassenza/presenza, potentemente evocato. Restano cinque volti che - per livello di qualità - afferrano il problema della Follia là dove laveva abbandonato Leonardo da Vinci, volti che sembrano conoscere tutto dei progressi della scienza psicologica non solo nei decenni, ma nei secoli trascorsi, e che mettono il tema della Fisiognomica, dunque del Profondo, sul tavolo anatomico in cui opererà la psichiatria positivista del giovane Freud (stiamo daltronde per arrivarci).

Caroli è storico dellarte che non abbandona i suoi pittori a saggio finito; si ciba letteralmente del loro lavoro e instaura con la loro lezione iconica una sorta di dialogo ininterrotto, fatto di macinazioni puntigliose fino alla stremo, di eterni ritorni, di gratitudine, di innamoramenti, di scelte di vita e di pensiero. Per questo egli torna incessantemente sullinterpretazione di opere già affrontate in saggi precedenti. È il caso del Ritratto del dottor Gachet di van Gogh, la cui decifrazione iconografica troviamo disseminata in due saggi (Trentasette. Il mistero del genio adolescente, Mondadori 1996 e la già citata Storia della fisiognomica). Questo ritratto vangoghiano nasconde una della più alte rappresentazioni moderne della malinconia e, nel contempo, incarna un esempio magistrale di autoritratto camuffato. A darcene testimonianza è una lettera di Vincent a Theo, nella quale lidentificazione col soggetto rappresentato viene portata in superficie con lucida autocoscienza: il dottor Gachet è rosso di capelli come me, e come me è malinconico…”. La malinconia è qui evocata da tre elementi iconici: la canonica posa saturnina della figura, in obliquo e con la testa appoggiata sul pugno chiuso (o, talora variata, con nella posa del mento appoggiato sulla mano), già presente nelladolescente innamorato di Giorgione ma inventata, come pensiero in figura, dal Durer; la presenza significativa di una pianta in primo piano, la digitale che allude alla professione di Gachet, medico che aveva dedicato la sua tesi di laurea proprio allo studio della malinconia, in età pre-freudiana; e, ultimo elemento di questo apparato cifrato di segni, la presenza di due romanzi del naturalismo letterario, Manette Salomon e Germinie Lacerteux dei fratelli Goncourt, che evocano, il primo, il mondo dei pittori e, il secondo, un caso umano patologico dai caratteri tragici.
Il pregio maggiore della linea introspettiva, spina dorsale della storiografia caroliana, è senzaltro quello di aver collocato la dottrina psicoanalitica freudiana entro il solco di una tradizione culturale occidentale non solo nutrita di modelli letterari (gli archetipi della tragedia greca; le opere di Goethe e di Dostoevskij; le incursioni nellinconscio da parte dei poeti), come finora è stato messo in luce; ma altresì di aver riletto la psicoanalisi come scienza nutrita dalle icone fondanti dellimmaginario artistico; da quei primari divenuti patrimonio dellinconscio collettivo della civiltà. Quando alle soglie del XX secolo, Freud pubblicherà Linterpretazione dei sogni, la psicologia del profondo poggerà, quindi, su di un terreno di innesti il cui cammino era stato dissodato dalla leonardesca scienza dei moti dellanima, perfezionata da cinque secoli di sapienza pittorica, fino al dramma delluomo ridotto a rocchio di macelleria nella figurazione-deformazione baconiana.

Ad un massimo grado di svisceramento dei recessi psicologici funge da contrappunto, alle soglie del Settecento, unarte diurna, frutto di uno sguardo pittorico narrativo, attento a registrare il brulichio sociale di una nuova classe sociale in ascesa, quella borghesia protagonista del XIX secolo, che troverà la sua epica moderna nellaffermazione della forma del romanzo realista moderno, quello di Madame de La Fayette, di Defoe, di Richardson, di Fielding e della grande fioritura dei maestri dellOttocento. Su questo asse,  si sviluppa la terza via: il romanzo della pittura. Caroli dedica lintero capitolo alla pittura del Settecento, non solo secolo dellIlluminismo, del Rococò, della dolcezza del vivere infusa dallanciem régime; ma anche il secolo della psicologia, il secolo dei poveri, il secolo delle donne. Direi che è il secolo nel corso del quale lumanità raggiunge una diversa dimensione di pensiero e di vita, e la raggiunge attraverso traumi ed evoluzioni storico-filosofiche che cambiano profondamente la società e la civiltà. Nei confini mobilissimi e sfrangiati di questo scenario dove i vecchi paradigmi vengono vagliati dal tribunale della Ragione, messi in crisi e superati, o inglobati, da un nuovo  linguaggio filosofico e sociale, la pittura gioca un ruolo fondamentale. Una delle icone più rappresentative della ritrattistica del XVIII secolo è il Giovane con un castello di carte di Jean-Baptiste Chardin: un ritratto di fanciullo intento al gioco delle carte, in cui il pittore recupera gli esiti più alti della luce e del tonalismo e li fonde con una straordinaria sottigliezza espressiva, resa psicologia nel calmo e pausato indugio del pennello che descrive lintimità estatica di un passatempo così totalizzante da farsi buco nero che esclude completamente il mondo esterno.  Allatmosfera incantata di Chardin risponde una vena ritrattistica più cinica e impietosa, che affonda nella denuncia della vacuità sociale. È il caso del bellissimo Gentiluomo con tricorno di Fra Galgario: uno dei ritratti più poderosi, potenti, e anticipatori, di tutta la cultura europea. A parte la meraviglia della pittura, che non ha nulla da invidiare ai più celebrati maestri del passato [] è ciò che si legge dellanima del ritrattato a rivelare le incredibili capacità di resa psicologica e di analisi storico-sociale del pittore bergamasco: occhi dietro i quali si percepisce, oltre allarroganza del privilegio, il più puro nulla; labbra color susina in cui sono annidati tutti i vizi e la decadenza di una certa nobiltà; la posa altezzosa; le luci argentee e plumbee delle ineguagliabili lacche che intessono il ricchissimo abito; tutto, in questo ritratto, ci dà limmagine  di una società che sta correndo verso la propria dissoluzione sociale. Nel serrato rinnovamento del vocabolario ritrattistico, Caroli allinea esempi straordinari; troviamo lAutoritratto a pastello di Liotard; il brano di mirabile fattura descrittiva del borsone di cuoio del Corriere di Giuseppe Maria Crespi; la diafana e quasi rarefatta Fanciulla con colomba di Rosalba Carriera; fino alla povera gente fissata da Giacomo Ceruti con una tavolozza limpida e trasparente che approda a notevoli risultati psicologici.
Ma utilizzare lespressione  romanzo della pittura significa evocare la formicolante sarabanda della commedia umana borghese. Quella che abbiamo imparato ad amare sulle scene veneziane dipinte da Pietro Longhi, i cui concerti diventano dei veri brani di teatro; del poligrafo William Hogarth, che è pittore ma anche letterato, che è letterato ma anche uomo di teatro, che è uomo di teatro ma anche personalità impegnata nel rinnovamento sociale; e che ci ha lasciato due rumorosissime, gremite e festose tele come Matrimonio alla moda e Carriera del libertino: opere che costituiscono il cuore pulsante del romanzo della pittura; o, meglio, di una pittura che si fa teatro allorché si distende a raccontare vere e proprie storia con immagini in sequenza: è lo spazio, policentrico e scomposto, di un matrimonio secondo la moda dellepoca, con la dissoluta brigata disposta a corona attorno agli sposi ridanciani; i commensali sbracati nei fumi del vino e il primo piano della cocotte che aggiusta le calze e tende la scarpina inaugurando il moderno erotismo domestico. Così è la vita, nel Settecento, così ce lhanno raccontata i pittori che lhanno attraversata interpretandone le novità e fiutandone i cambiamenti. Proprio sullo scorcio finale del secolo, nellanno 1793, compare nella storia dellarte unapparizione che ci porta nel secolo successivo. È un dipinto di Fussli, Gertrude, Amleto e il fantasma del padre di Amleto: cè la lama di luce che irrompe da destra, effigia di un contorno severo il fantasma del padre per attraversare il volto terrorizzato di Amleto e accenderne di bianco spettrale lampio bavero, per finire poi la sua corsa nel profilo sconvolto di Gertrude, il cui bel gioco scomposto delle diafane braccia conclude il teatro del gesto e la concatenazione delle tre psicologie.
Su questopera di fine Settecento si chiude la trattazione di Flavio Caroli; la sua lettura globale del pensiero in figura occidentale, ricomposto attraverso lintrecciarsi di tre cammini: quello della luce, quello dellintrospezione e quello del romanzo della pittura. Tre momenti assoluti che hanno segnato la linea destinale della nostra storia artistica e che, oggi, finalmente trovano posto in un affresco storiografico organico e aggiornato, e il cui rigore scientifico costituisce una della più sistematiche acquisizione della storia dellarte in Italia.

Come la domanda del suo maestro Roberto Longhi - riecheggiante come lo spettro del padre di Amleto al fondo di tutta la ricerca dello studioso - anche la risposta saggistica di Caroli è stata allaltezza delle aspettative del grande padre intellettuale. Lintensità della risposta caroliana lascia sugli artisti toccati - e sui lettori - quella che Giovanni Testori chiamava la traccia sul corpo dellopera e del pittore, un segno, proprio come accade quando si fa lamore per davvero, dove è inevitabile che si lasci o si riceva un segno, che, magari, è solo una bava di lumaca, ma comunque non è uguale a niente, non è come se nulla fosse stato.


Flavio Caroli, Le tre vie della pittura, Electa 2012, pp. 111, euro 12,90      
          

1 commento:

Mirta Vignatti ha detto...

Molto interessante! Ho letto altro di Caroli ma questo libro, grazie al commento di D. Pugnana, credo proprio che lo acquisterò.