18 febbraio 2014

"Antologie letterarie vecchie e nuove". Una discussione su Face Book




Scartabellare per sollazzo, nel crepuscolo del meriggio domenicale, le vecchie antologie di storia della letteratura italiana, comparandole di poi con quelle attuali, non solo getta in un'impagabile flanerie giocata tra incontri e scoperte; ma restituisce la misura di quanto abbiamo perduto nelle "riduzioni" moderne.

 E' vero, forse i manuali di oggi (penso all'insuperato Luperini-Cataldi) hanno guadagnato in bellezza grafica (il nitore e la varietà dei caratteri tipografici e dell'impaginazione; gli specchietti intertestuali che ti suggeriscono i nessi con la filosofia e le arti sorelle; le "sintesi" a piè di pagina di quanto enucleato nel capitolo); in chiarezza comunicativa (le mappe concettuali sciorinate già bell'e pronte); in analisi testuali (nessuna antologia precedente si soffermava a mostrarti viti e bulloni, cerniere rotanti e addentellati, piedritti e giunture, dei testi antologizzati).

 E pensando al buon tempo antico tutti abbiamo sulle labbra un nome: il De Sanctis, il capolavoro manualistico per eccellenza, quel volume che in nemmeno 500 pagine ha 'svecchiato' l'imponente enciclopedismo erudito del Tiraboschi, consegnandoci il più bel romanzo mai scritto dei fatti letterari italiani. Eppure nella scia del Tiraboschi le ottime filiazioni non mancavano. 

A questo proposito cade in taglio la "Letteratura italiana" del D'Ancona-Bacci che un amico bibliotecario mi ha regalato, salvando dall'oblio del macero: sei volumi plasticamente rilegati in pelle nera, pubblicati in prima battuta nel 1892 e ristampati, con aggiunte, nel 1920. 

Mi chiedo, quando abbiamo deciso di espungere dal capitolo sulla lirica siculo-toscana e stilnovista le meste elegie dall'esilio di Gianni Alfani ("Lei pingi come gli occhi mia son morti/ per li gran colpi e forti/che ricevette tanto/ da' suoi nel mio partir, ch'or piango in canto") ? Quando quel gran pianto amoroso di Dino Frescobaldi ("Ché i miei dolenti spiriti,c he vanno/pietà caendo, che per loro è morta/ fuor della labbia sbigottita e smorta,/ partirsi vinti, e ritornar non sanno.") e le sensuali allitterazioni di Ciacco dell'Anguillaia ("Più rende aulente aulore/che non fa una fera,/ch'a nome la pantera")? Perché abbiamo deciso che, in zona fine Trecento e Quattrocento, dovessero esser tolte le pagine degli artisti? Giunto al secondo volume del D'Ancona-Bacci trovo Cennino Cennini con un brano in cui l'intonaco, le sinopie e i colori son vivi come i personaggi di una novella; questo incipiti meraviglioso dai "Commentari" del Ghiberti: "Ancora ho veduto in una temperata luce cose scolpite molto perfette e fatte con grandissima arte e diligenzia"; e alcune riflessioni di Leon Battista Alberti sull'educazione intellettuali dei fanciulli ("E chi non sa la prima cosa utile ne' fanciulli debbano essere le lettere?"). Risalendo il fiume chi si ricorda di aver visto le descrizioni delle feste fiorentine di Vespasiano da Bisticci, i sonetti di Vittoria Colonna, il ritratto burlesco che Francesco Berni fa della sua donna; la prosa di diamante di Daniello Bartoli sulla navigazione dei portoghesi nelle Indie o quella sua pagina sulle chiocciole che sembra già prefigurare Francis Ponge! Nulla sopravvive nella rigida canonizzazione delle letterature del nostro tempo. Ma, amici, non erano forse letteratura anche gli slarghi descrittivi sul Teatro Mediceo di Filippo Baldinucci e sulle palme di Lorenzo Magalotti? Ditemi, vi prego, non c'era un grado di letterarietà (come si usa dire oggi al posto di "poesia e non poesia") nell'evocazione polifonica che Ludovico Antonio Muratori dedicava alle feste e ai giochi italiani: in quei variopinti elenchi di "cantambanchi, buffoni, ballerini da corda, musici, sonatori, giocatori, istrioni ed altra simil gente, che coi loro giuochi e canzoni di e notte divertivano grandi e piccioli"? E che dire del monologo gridato "Se fossi Re!" di Anton Giulio Barrilli? E' un vero peccato che gli studenti di oggi non serbino memoria di questi autori. Perché non ristampate allora il D'Ancona- Bacci?

Caro Davide, ti sei dato la risposta da solo quando parli di nitore grafico, di intertestualita' e immediatezza di immagini dei nuovi testi. I ragazzi di oggi sono veloci e sbrigativi, hanno bisogno di sintesi e specchietti già pronti per recepire i concetti più essenziali e non amano soffermarsi sui particolari o sui cosiddetti "minori".
Certo, c'era tanta letteratura anche in loro ma si fa fatica a far digerire il grande Leopardi, ritenuto dagli studenti un depresso che non si sapeva godere la vita, figurati cosa succederebbe se gli si presentasse un "minore" o una letteratura approfondita e degna di questo nome. ...
Io insegno fa 32 anni ed ho visto assottigliarsi i contenuti sui testi anno dopo anno. Ora quelli che vanno per la maggiore sono quelli che attualizzano i contenuti e riportano i giovani al loro mondo e ai loro problemi che non sono certo la conoscenza letteraria ne' la voglia di approfondimento. Purtroppo! !!!

Io da parte mia ho sempre usato le antologie come repertorio di testi. I collegamenti gli spunti critici , persino le vicende biografiche erano opera mia , spesso distribuita in fotocopie .  Certo questo comportava un mio duro lavoro di collazione di testi , ma mi dava la libertà di comunicare i miei entusiasmi insieme alle conoscenze . Nessuna antologia mi ha mai soddisfatto .

E' un gran peccato e non lo dico per pedante necrofilia o per gusto antiquario. Lo dico perché queste storie letterarie di primo Novecento, figlie della cattedrale enciclopedica del Tiraboschi, erano (sono) in sé piccoli e preziosi scrigni portatili: apri a caso un volume del D'Ancona-Bacci e in qualsiasi punto cadi scopri una bella pagina; e la scopri soprattutto nei "minori", o meglio quelli che io chiamo gli "esclusi" dalla cosiddetta formazione del canone manualistico: un'operazione pianificata a tavolino, con tutte le epurazioni che conosciamo. Paradossalmente, una ristampa oggi dei sei volumi del D'Ancona-Bacci (come la recente "Letteratura dell'Italia unita" di Gianfranco Contini) credo farebbe un gran bene; magari non come lettura che minacci di ingobbire i quattordici o quindici anni; ma ritrovata a trenta o quaranta sono certo sarebbe fonte di sorprese, soprattutto se i volumi sono fruiti nella forma dello "zapping".

Zapping letterario. ... bellissimo! !!!! Hai ragione Davide, tu sei un buongustaio della cultura!

Quelle antologie certo che mi sarebbero piaciute così come mi piace il De Sanctis 
.
Capisco Davide, capisco Salvina e Elvira (o credo di capire). Perché amo i libri e la letteratura, perché non vorrei perdere niente di ciò che davvero comunica, perché so per esperienza che un insegnante, in qualsiasi classe di età si trovi a lavorare, deve appassionare, coinvolgere, affinare, far sentire, far ragionare, far vedere.

 Per questo la mia ipotetica antologia letteraria per la scuola sarebbe un sogno. Il sogno di intrecciare la bellezza, la profondità, il linguaggio, la storia della letteratura e affini all'adolescente (dalle medie inferiori alle superiori) per quello che è, per quello che potrebbe essere, partendo dalla constatazione che siamo in un "società liquida", di pensieri brevi, di poca memoria, banalmente visiva... non per adattarsi ad essa, ma senza "saltarla".

Amico mio grazie per essere intervenuto con queste tue parole che mi spronano a fermarmi e a meditare, ad allargare la questione anche ai livelli contestuali, extratestuali e antropologici: c'è tutta una nuova modalità di ricezione giovanile dei testi dei testi letterari che ha mutato statuto, tempo, che si adatta ad una memoria abbreviata e sembra confliggere con una sedimentazione di lunga durata quale è, o voleva essere, quella dello studio letterario; studio che si misura e a sua volta si conforma con una "parola" speciale, fabbricata per resistere al tempo e persistere nella memoria. So bene che le modellizzazioni hanno il limite di sfociare in vagheggiamenti senza costrutto, me se posso indugiarvi un momento vorrei aggiungere un pensiero. È vero che la perfetta antologia di storia letteraria non esiste e che la carne viva e pulsante delle lezioni è indomabile a qualsiasi gabbia libresca. Guai a subordinare il taglio e l'acutezza derivati da una vita di esperienza e di "collazioni" testuali alle aride linee manualistiche. 

Ho avuto una professoressa di letteratura francese che spiegava i romanzi di Balzac e Flaubert con le pagine di Marx sul denaro come generatore di senso, senza essere marxista, e con Freud e Levi-Strauss. So che Elvira faceva leggere ai suoi studenti il "Gattopardo" colmando così un'assenza del manuale; mentre altri si spingevano ad introdurre Dante con quel gioiello che è "Biondo era e bello" di Tobino. Tornando alla storia letteraria come strumento necessario, come pietra angolare di conoscenza di quanto prodotto da una civiltà, credo sia possibile un compromesso tra enciclopedismo e narrazione storica: un testo che,per intenderci, metta assieme la lenticolarità documentaria del Tiraboschi/D'Ancona-Bacci e la capacità di vigorose sintesi plastiche e di ritrattistica, di narrazione tutta "cose" e di stile del De Sanctis. Un tale anello di congiunzione è certo utopistico e fa la parte della cavalcata donchisciottesca; così come volutamente paradossale è il mio sproporzionato elogio anticrisi di una antologia del 1900. Ma la discussione ha preso proprio la piega e la profondità che avrei voluto, per i tanti temi emersi.

Ho provato( sono in pensione solo da due anni) moltissime antologie nel triennio, e in ciascuna c'era qualcosa di buono: ma mai mi sono sentita di dire: studiate da pag. tale a pag. tal'altra. Secondo me il centro è l'insegnante : il libro di testo fornisce testi (che a volte vanno integrati, comunque), e suggerimenti, ma se non c'è un input personale e non si trasmettono direttamente le proprie conoscenze e le proprie riflessioni, filtrando magari testi critici difficili, ma fondamentali, nessuna antologia è quella “giusta”.


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