06 agosto 2015

Dialogo fra Nietzsche e Bergson" di Emilio Michelotti



Nel maggio del 2018 un giovane studioso italiano, Mitto Cheli, scoprì fra le carte dell'archivio del  liceo Machiavelli di Lucca, un documento redatto da Giorgio Colli, insigne e misconosciuto filosofo e filologo, che vi aveva insegnato fra gli anni '50 e '60 del 1900. Era la trascrizione minuziosa di un dialogo, avvenuto a Torino nel 1891, fra Friedrich Nietzsche e Henri Bergson, probabilmente nell'ateneo di quella città.

Bergson: La scienza, intesa come modello fisico-matematico, s'interessa solo al tempo spazializzato, perché è misurabile. Il riduzionismo tratta il tempo come un'astrazione costituita da una successione di istanti identici, colti nella loro staticità, distinti fra loro e indifferenti agli eventi in essi contenuti e alla loro specificità qualitativa.

Nietsche: Tutte le relazioni rimandano sempre una all'altra, e nella loro essenza risultano per noi perfettamente incomprensibili: del tutto, ciò che ci è veramente noto è soltanto quello che noi stessi aggiungiamo: il tempo, lo spazio, ossia rapporti di successione e numeri.

B: Ciò che interessa del tempo è la durata reale. Le durate cronologiche non sono che astrazioni, in analogia con quanto avviene con i numeri naturali e con il punto geometrico. In realtà il tempo che interessa la fisica considera omogenei fra loro gli oggetti, per poterli contare, catalogare.

N: E' la trasposizione sul piano temporale dello schema razionalistico socratico, per il quale come c'è un ordine rigoroso nelle strutture dell'essere, così ve n'è in quel particolare aspetto che è il divenire temporale. Ma è lo spazio, come la materia, una forma soggettiva, non il tempo. Al corso reale delle cose deve corrispondere anche un tempo reale prescindendo dal senso della lunghezza e della brevità proprio degli esseri che conoscono.

B: Le misure riguardano lo spazio percorso da un oggetto fra due istanti. E' un tempo spazializzato. Una adeguata considerazione del tempo esige, invece, uno studio dei modi d'essere – a partire dalla vita interiore – che sfuggono alla misurabilità.

N: Ma la nostra circolazione del sangue potrebbe avere la durata dell'orbita della terra o del sole. Il privilegio accordato al tempo come forma apriori della conoscenza ha messo in ombra l'innumerevole gamma dei tempi reali sacrificati alla misurazione: ritmi biologici, movimenti di crescita delle piante, tempi degli apparati organici, epoche geologiche e cicli cosmici sono stai assunti soltanto come “materiali” da misurare in base a un'unica forma di tempo in grado di ordinarli e classificarli. Si è trasformata una delle tante temporalità, quella della coscienza riflessiva, in temporalità egemone e fissa.

B: Il tempo concretamente vissuto dalla coscienza è costituito da una molteplicità qualitativa di momenti che, proprio per la loro irriducibilità reciproca, non può essere assimilabile a una molteplicità numerica. Nel tempo reale i vari momenti procedono senza soluzione di continuità, dando vita a un amalgama, a un continuum in evoluzione non descrivibile dalla fisica.

N: Quel che propongo è un'operazione inaudita che mette insieme l'idea dell'eterno divenire e quella del ritorno. Ossia di conciliare Parmenide con Eraclito, il più radicale pensiero dell'essere e il più radicale pensiero del divenire. L'affermazione “tutto è” non è opposta e contraria all'affermazione “tutto diviene”, ma significa che, in quanto tutto diviene, il divenire è. Ciò che è eterno, ossia incessante, è dunque il divenire. Che tutto ritorni è l'estremo avvicinamento dell'essere col divenire, è il culmine della contemplazione.
B: Nel profondo dell'io tutto si compenetra con tutto, per questo il rapporto deterministico fra causa ed effetto risulta inapplicabile. Non esistendo nella coscienza due eventi identici, è più corretto affermare che l'io si determina da sé, e che quindi è libero. Il linguaggio specializzato della scienza, al pari del senso comune e delle convenzioni sociali, spazializza tutto ciò che tocca.

N: D'accordo, la verità non è qualcosa che esista e che sia da trovare, da scoprire, ma qualcosa che è da creare e che dà il nome a un processo, anzi a una volontà di soggiogamento, che non ha mai fine.
Ma non puoi dimostrare l'esistenza della libertà.

B: No, la posso solo evidenziare, confutando le argomentazioni dei deterministi.

N: La realtà superiore è l'attimo infinitamente piccolo, un'immagine subitanea del flusso eterno. L'esperienza dell'attimo non è quella nella quale scopriamo il carattere diveniente di ogni cosa. E' quella in cui questo carattere spontaneamente si mostra, si rende esperibile: un'immagine proveniente dal flusso eterno si fa presente. L'esperienza dell'attimo immenso in cui passato e futuro precipitano, è un fascio di relazioni in continuo mutamento, in incessante divenire. L'attimo, immenso in quanto infinitamente piccolo, si presenta come impossibilità di venire rivissuto. Cogliere il divenire significa anche cogliere la sua innocenza, in quanto l'istante che nasce è privo della stabilità di qualsiasi valore, del fondamento della colpa, del diritto, della pena. Cogliere l'eterno ritorno come divenire innocente emancipa dal finalismo: se tutto diviene, divengono anche i fini.


(Henri Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, 1889 – Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 1885).
 

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