19 agosto 2015

"Non è che l'inizio" intervista a Gianni Quilici

  di Angelica D'Agliano
"Ho avuto l'opportunità di leggere "Non è che l'inizio" quando era manoscritto e poi riscoprirlo romanzo, sempre coerente nella forma ma stavolta ampliato e rinvigorito da contributi fotografici e poetici che mi hanno piacevolmente colpita. C'è ritmo, ho pensato, c'è freschezza, c'è effervescenza. E in effetti questa per me è una narrazione che corre sotto un qualche segno ideale e solare, una narrazione che gioca e combatte, che invita. Non c'era molto da fare, bisognava lasciarsi andare, bisognava concedersi il lusso della scoperta. E così ho fatto."
 
                                          Gianni Quilici
"Non è che l'inizio", un titolo che è quasi una citazione, che apre e chiude un cerchio: per parlare del tuo libro cominciamo da qui?
“Non è che l’inizio” mi si è imposto subito e così naturalmente che non ne ho pensato neppure le ragioni. Ti rispondo ora così. In Zeta, il protagonista, c’è una continua tensione che ha varie valenze. Una molto istintiva e potente: scopare. L’altra profonda: trovare l’altro da sé, quel connubio di corpo-anima che possiamo definire con parola abusata “amore”. E infine c’è un desiderio perenne di inventare, di creare se stesso e situazioni creative nella supplenza scolastica, nell’iniziativa abortita con il PCI, ma anche nel rapporto con se stesso: mangiare, pensare, correre. Nessuna di queste tensioni si risolve, tutto rimane sospeso. C’è un orizzonte ancora aperto: la lotta continua. 

Perché Zeta?
Banale! Zeta nasce dal più grande contrasto che personalmente vivo: tra il Tutto e il Nulla. Il desiderio di essere Tutto e la percezione di essere Nulla. In questa  antinomia ho scelto realisticamente il nulla, rappresentato simbolicamente dall’ultima lettera dell’alfabeto, Zeta. Una scelta tutta istintiva, soltanto adesso ragionata.     
 
 Angelica D'Agliano e Marco Bellagamba( Quilici foto) 
In questo libro Lucca si svela e si nasconde, presenza quasi femminile, quasi una mappa dei desideri spirituali e carnali di Zeta, che si muove a due gambe e a due ruote, spera, progetta e pretende nell'arborato cerchio. Quanto Lucca fa parte della storia di Gianni Quilici? 
Molto. Nel periodo in cui è stato ambientato il romanzo… anni ’80… moltissimo. Vivevo, infatti, in affitto in un appartamento minuscolo, ma arioso in pieno centro storico e quelle stanzine erano anche un punto di incontro politico… il manifesto prima, il PdUP dopo .. .in congiunture sociali, in cui fare politica voleva dire esprimere forti passioni: incontrarsi, discutere, confrontarsi, approfondire, decidere, organizzare, organizzarsi per agire. In più Lucca è ai miei occhi una città che oscilla tra il realismo e l’onirico, per le mura che delimitano senza chiudere e per la struttura architettonica dove si fondono armoniosamente rinascimento e medioevo. E soprattutto la notte o al crepuscolo, in certe serate mute e solitarie, evoca un’atmosfera sognante e poetica, quasi metafisica come pochissime città in Italia.
                                                foto Gianni Quilici

 Non è che l'inizio" per chi lo sfoglia è un libro con molte (belle) foto in bianco e nero, per chi lo legge è un libro rosso, decisamente rosso. Zeta si scontra con un partito comunista alla fine, un partito "posato", "realista", quasi demotivato. Sei d'accordo con questa lettura? ce ne vuoi parlare? 
Sì, sono d’accordo, però va ricordato, perché oggi di questo non si ha per niente consapevolezza, che il Pci è stato nella storia italiana un grande partito  non soltanto perché ha contribuito alla vittoria sul nazi-fascismo o alla stesura di una costituzione di altissimo livello, ma anche  perché è stata una  scuola decisiva per milioni di uomini e donne poveri e semianalfabeti, che nelle sedi del Pci hanno trovato un’identità e una consapevolezza di sé e dei propri diritti. Nel romanzo Zeta rappresenta simbolicamente il desiderio di mutamento in un momento in cui il Pci deve decidere come rifondarsi: se a sinistra o verso una deriva moderata come è successo da D’Alema-Veltroni fino al partito di Renzi. Zeta nel romanzo esprime il cambiamento nel desiderio di creare una comunicazione viva e che sorprenda contro le abitudini consolidate.

In questo romanzo di donne ce ne sono tante, ma le più importanti sono tre. Una separata, una sposata e una, forse, un poco idealizzata. Solo una ha un nome ed è forse la più misteriosa di tutte, perché?
E’ la più misteriosa di tutte perché, pur essendo disponibile, non si concede, è fuggitiva. E rappresenta, invece, per Zeta l’aspirazione alla simbiosi, al desiderio sempre irrisolto, dell’unicità. Che sia idealizzata è vero ed è, a volte nella vita, inevitabile. Ma non è un’idealizzazione romanticheggiante, perché Eloisa interagisce, ha una sua personalità e determinazione. 

Zeta è un post adolescente ma è anche un supplente, un precario in lotta, che vede i problemi, li affronta e ci si scontra entusiasmandosi e rompendosi, talvolta, anche le scatole. Vogliamo parlare dell'insegnamento?
E’ un insegnamento che pone domande e che aiuta a dare risposte, che cerca di attivare conoscenze e immaginazione, desiderio di esplorare i sentimenti e i linguaggi, creandone anche di propri. Tutto l’opposto della “cattiva scuola” di Renzi.

Ma che cos’è un post-adolescente?
Rispondo con una battuta: è un’adolescenza responsabilizzata di sé e del mondo. Non è ancora, se mai lo sarà, la maturità.

Come è nato il romanzo?
Da un film dal titolo “1985: a zonzo per Lucca”. Un video molto amatoriale, in cui tre giovani sono incaricati dal PCI di fare un film sui problemi di Lucca. Un film sul film dunque, ironico alla Nanni Moretti, che venne proiettato in Piazza Guidiccioni di fronte a una marea di gente. Dopo un po’ di tempo sulla falsariga di quello, ma mutandolo e approfondendolo è uscito dopo circa 20 anni Non è che l’inizio.

Perché così tanto tempo?
Perché ho una visione sacrale del romanzo e del libro in genere. Di più: per essere pubblicato oggi,in questa iper-produzione editoriale, un libro deve avere un grande senso. Il mio romanzo non ha un grande senso, ma un senso, credo, ce l’abbia e per me è stata una liberazione, la rottura di un tabù che potrà farmi bene.

Nel senso che…
Nel senso che non è che l’inizio. Immagino, infatti, di avere ancora qualcosa da dire, forse più articolato e profondo.

E perché lo hai diviso in dieci giornate?
Perché è un romanzo al presente, sull’attimo in cui si pensa, si parla, si agisce; perché in poche giornate si può intravedere un’esistenza in movimento ma per niente risolta; perché mi piacciono i numeri e enumerare le cose; perché mi attira il disordine nell’ordine e viceversa.
 
                          Gianni Quilici foto
Le immagini che scandiscono questi giorni sono tue? In base a quali criteri le hai scelte?
Certo che sono mie, compresa la copertina, come forse sai. Le ho scelte collegando i palazzi, le vie, le piazze, le mura ai suoi abitanti: uomini e donne, cani e gatti.

E quanto Zeta fa parte della storia di Gianni? Si può parlare di romanzo autobiografico?
Sì Zeta sono io e non sono io. Del resto Io chi sono? Questa è la prima risposta e solo apparentemente una battuta.
La seconda: si può certamente parlare di romanzo autobiografico, perché c’è un io (Zeta) e delle situazioni, che mi appartengono profondamente, anche quando non le ho vissute. L’importante è : non confondere l’io del romanzo con l’autore. In altri termini lo scrittore  Quilici ha più consapevolezza  di quanta ne abbia il personaggio Zeta e non tutto ciò che fa e dice Zeta è condivisibile da chi lo ha creato.

Cos'è un taccuino da combattimento?
E’ un mini-quaderno tascabile, facilmente portatile e utilizzabile nel quotidiano vivere, che serve a Zeta sia per rappresentare che per riflettere, spesso contro se stesso.

"Non è che l'inizio"... se fosse un film , che film sarebbe?
Sarebbe un film realistico ed insieme onirico, dove l’onirico non è soltanto nei sogni, ma anche in quell’utopia, che è la ricerca dell’altrove, che è, credo, il sottotesto più profondo del romanzo.

Quali scrittori e poeti, se ce ne sono, ti hanno ispirato?
Devi sapere che ho cercato, diversi anni fa, di scrivere, sull’onda di un libro di Henry Miller, “gli scrittori della mia vita” dando però alla parola scrittori un significato ampio: non solo romanzieri o poeti, ma filosofi, psicoanalisti, sociologi e perfino politici. Ho iniziato così a fare una lista di coloro che mi avevano, in qualche misura, influenzato o interessato. Iniziai, ma ben presto mi fermai.
La mia risposta dunque è duplice.
La prima: sono tanti coloro che mi hanno intrigato e però nessuno veramente fino in fondo. Accenno brevemente, per dare un’idea, a Sartre per la filosofia della libertà; a Moravia per la capacità di costruire l’azione anche attraverso il flusso dei pensieri; a Pasolini per l’acutezza semiologica e per quel “gettare il mio corpo nella lotta”; a Leopardi per quei versi visionari che camminano e insieme cantano; a Edgar Morin per il tentativo eroico di cogliere la complessità del Pianeta unificando le molteplici discipline; a Lucio Magri per la limpidezza e lucidità nella ricerca delle radici ultime nell’analisi politica e potrei continuare con Tolstoj e Dostoevskij, Rimbaud e Stendhal, Henry Miller e Anais Nin, Gramsci e Roland Barthes, Hammett e Patricia Highsmith, Philip Roth e Bukowski….
Secondo: nessuno forse mi ha veramente influenzato, almeno stilisticamente. Perché ho una mia voce, che scrivendo ricerco, ed è una voce che deve trovare un ritmo, una musicalità, il cui timbro ritrovo anche in ciò che malamente scrivevo nell’adolescenza. Ed è una voce che ha in sé un imperativo categorico: un immaginario lettore, non necessariamente colto, ma che vuole capire, che vuole sentire.

Che cosa stai progettando, se non è una domanda indiscreta?
Ho tante poesie. Troppe. Vorrei pubblicarle. Dovrei fare una scelta. Dare un’unitarietà e andando oltre il libro di poesia.
Ho tante foto. Vorrei fare il mio secondo libro su Lucca. Ci vuole un finanziamento, oggi difficile da trovare. Però . . .
Ho iniziato il secondo romanzo, sull’oggi.
Mi piacerebbe promuovere un libro sui poeti a Lucca, perché sono tanti ed alcuni di grande valore.
E poi ci sarebbero  i 70 anni del Circolo del Cinema di Lucca nel 2018 e il cinema su cui ho scritto tanto. Ed allora: riuscirà il nostro eroe? . . .
  













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