10 dicembre 2008

"Come le mosche d'autunno" di Irène Némirovsky


di Gianni Quilici
Iniziandolo a leggere ho pensato “non mi piace”, perché d'istinto non amo la nostalgia, che trovo un sentimento che falsa il passato e che fa, quindi, vivere in un presente discutibile.
Tuttavia a fine lettura mi sono ricreduto.

“Come le mosche d'autunno” è un romanzo autobiografico e non lo è.
Per un verso, infatti, Irène Némirovsky sceglie come protagonista una vecchia nutrice e questo le consente di filtrare la sua storia attraverso altri occhi. La vediamo all'inizio benedire i giovani rampolli di quella famiglia quando partono baldanzosi per la guerra, assistere all’uccisione di uno di loro durante la rivoluzione russa; correre, con i gioielli cuciti nell’orlo dell’abito, dai padroni a Odessa, dove sono scappati; ed infine trasferirsi a Parigi in un mondo che non riconosce, da cui si sente profondamente estranea.

Per un altro verso, però, questa è anche la storia della scrittrice stessa, nata a Kiev nel 1903, fuggita con la famiglia in Francia nel 1919 e morta ad Auschwitz nel 1942.

La figura della vecchia nutrice consente tuttavia a Irène Némirovsky di proiettare sentimenti e pensieri che in buona parte, sono stati anche dell'autrice, ma tenendoli a distanza.

La Némirovsky dà alle stampe, in Francia nel 1931, Come le mosche d’autunno, scolpendolo in pochi capitoli di nemmeno 100 pagine.
La forza di questo breve romanzo risiede in almeno tre ragioni.

1) La protagonista è ben delineata nei suoi sentimenti dominanti:
l'amore di chi si identifica totalmente nella famiglia aristocratica, che ha sempre servito da due generazioni e che le consente di schierarsi, senza alcuna ombra, contro la rivoluzione russa; la nostalgia profonda verso un passato che non c'è più e l'impossibilità di poterlo far risorgere; l'angoscia infine per non ritrovare più a Parigi ne' gli inverni russu con la neve, con il fiume ghiacciato, ne' la vecchia famiglia nobile e fiera, che aveva vissuto e che ora era inesorabilmente cambiata: rumorosa e sciatta.

2) Il finale con la morte della vecchia nutrice, è splendido sia per la sua lapidarietà, sia perché delinea una fine più grande: la morte di un mondo, quello aristocratico ebreo-russo.

3) Infine, scegliendo come protagonista l'occhio della nutrice, Irène Némirovsky costruisce un romanzo per sottrazione, eliminando moltissima parte degli avvenimenti storici (guerra e rivoluzione), ma facendoceli percepire intimamente.

Irène Némirovsky. Come le mosche d’autunno (Les mouches d’automne). Traduzione di Graziella Cillario Adelphi, 2007.