01 ottobre 2010

“Il giocatore” di Fëdor Dostoevskij

di Gianni Quilici

Non mi è possibile scrivere “qualsiasi cosa” su Il giocatore e in particolare su Dostoevskij, che non sia stato già scritto. Consapevole di ciò ... solo alcune osservazioni veloci.

Primo: Dostoevskij scrive, come è noto, questo romanzo in 26 giorni, dall'ottobre al novembre 1866. Lo doveva consegnare all'editore Stellovskij, pena la perdita di ogni diritto sulle opere già pubblicate e per questo si avvale della collaborazione di una giovane stenografa Anna Grigor'evna Snitkina, che diventerà qualche mese dopo sua moglie.
Questa frettolosità si può cogliere in alcune zone del romanzo, in cui l'autobiografia rimane descrittiva e non diventa, per così dire, espressiva. Ma ciò finisce per rendere il romanzo, in un senso almeno, paradossalmente più moderno, perché più libero e meno rigido dall'imperativo formale, soprattutto perché, in gran parte di esso, è la forza del contenuto che “fa” la forma.

Secondo: è un romanzo di grandi ritratti: il Generale e Polina, il francesino e l'inglese, Blanche; ma vivi sono anche ritratti minori, come per esempio, i due polaccucci litigiosi, arruffoni e ladri e il terzo polacco apparentemente gentiluomo, in realtà pure lui truffaldino. Memorabile è il ritratto della nonna. Determinante, anche ai fini narrativi, il protagonista, l'io narrante, alias, in qualche modo, lo stesso Dostoevskij.
La nonna è l'esempio di come dramma e comicità si mescolino straordinariamente. La sua apparizione inaspettata, il suo aspetto ardito, battagliero, imperioso, in una congrega di squattrinati falliti o avventurieri-e, che aspettavano, da un momento all'altro, il telegramma della sua morte, diventano per contrasto di una vivezza comica indimenticabile.
Al tempo stesso il protagonista è la maggiore coscienza di quella situazione; coscienza che straborda, che tuttavia spesso va oltre ogni convenzione sia per il folle amore (masochistico) per Polina che per la passione smodata per il gioco.

Terzo: è un romanzo ricco di implicazioni psicoanalitiche. Non è un caso che sull'ossessione del gioco Freud abbia scritto in Dostoevskij e il parricidio pagine di straordinario acume . “Egli non trovava pace fin quando non aveva perduto tutto. Il gioco era per lui anche un modo per punirsi. ..Quando con le sue perdite aveva gettato se stesso e la moglie nella miseria più nera, ne traeva un secondo soddisfacimento patologico. Poteva coprirsi di ingiurie al suo cospetto, umiliarsi, intimarle di disprezzarlo....”

Perché questo?
Freud, analizzando una novella di Stephen Zweig, “Ventiquattro ore nella vita di una donna”, arriva ad una conclusione: che la febbre del gioco è un equivalente dell'antica “coazione all'onanismo”. Ipotesi ardita, forse neppure sufficientemente suffragata, ma suggestiva.
Pure il rapporto con Polina, alias Apollinarija Suslova (1), lo stato di febbrile esaltazione amorosa, la disposizione masochistica permetterebbe forse un altro ragionamento di tipo psicoanalitico.
Resta il fatto che Dostoevskij rappresenta, non pretende di capire. Inoltre, non solo non si identifica con il protagonista, ma lo rende talvolta grottesco, percorso da una simpatica, gioiosa, imprevedibile follia, che non lo diminuisce, lo rende misterioso.

    1) Interessante il suo diario, in cui delinea alcuni momenti del suo rapporto difficile con il romanziere russo con in appendice alcune lettere di Dostoevskij a lei. Diario di Apollinarija Suslova, a cura di GianLorenzo Pacini. Guanda.

Fëdor Dostoevskij. Il giocatore. Trad. di Elsa Mastrocicco. Bompiani.