14 dicembre 2011

"Il nomade" di monsignor Agresti, arcivescovo di Lucca

di Luciano Luciani


Un uomo ormai maturo per età, un bancario, superata la soglia dei sessant’anni, alla vigilia del pensionamento, decide di abbandonare la vita di ogni giorno, casa/lavoro, lavoro/casa e le altre modeste incombenze quotidiane, per farsi scientemente nomade. Ovvero, vivere spostandosi da un luogo all’altro: non da pitocco, però, non da picaro… Invece con il decoro, con la dignità di un lavoro: quindi sceglie per sé una professione, anche questa ambulante per eccellenza. Farà l’arrotino, mestiere imparato a bella posta, in poche settimane, proprio in previsione di questo cambiamento profondo del proprio stile di vita. Così, il protagonista di questa avventura, il nomade appunto (di cui, per tutto il libro, non sapremo mai il nome e d’altronde anonimato e nomadismo vanno molto d’accordo) da uomo stabile, stanziale – e cosa c’è di più stabile, stanziale, più “a dimora” di un bancario? – si muta in uomo in perenne movimento, in incessante divenire: un uomo in ricerca.

Una condizione ribadita dal suo modesto mezzo di trasporto, la bicicletta in cui l’equilibrio è dato solo dal movimento: sulle due ruote il movimento è tutto, perché se stai fermo cadi. Una splendida metafora della vita.

Inizia così, con questa brusca scelta esistenziale, un vero e proprio incipit vita nova, un romanzo sorprendente, uscito dalla penna di un arcivescovo: un libro, comunque, per niente devozionale, un racconto che assume e mantiene per tutte le sue 330 pagine un punto di vista decisamente laico. L’ha scritto monsignor Giuliano Agresti, arcivescovo di Lucca sino al 1990, anno della sua scomparsa. Un testo rimasto inedito per vent’anni e meritoriamente pubblicato per le edizioni Feeria e per volontà delle Comunità di Gesù/Missionarie Laiche che Agresti e Leda Minocchi fondarono nel lontano 1967: un’esperienza di fede a cui Agresti, anche quando divenne vescovo di Spoleto dal 1969 al 1973, e poi come arcivescovo di Lucca, dedicò sempre cura, attenzione, affetto.

Un libro strano: pagine che raccontano le storie di un viaggio lungo un anno. Un viaggio in bicicletta, adattata a piccolo laboratorio mobile per affilare lame, coltelli, forbici, falci… Un vagabondaggio lento in cui al movimento si alternano numerose le soste: occasioni per riscoprire il mondo con gli occhi del nomade e opportunità di incontri, confronti, scontri nei quali il mite arrotino dà prova di una dialettica affilata e tagliente come gli oggetti appena passati sulla sua mola.

I luoghi, mai indicati coi loro nomi, ma con toponimi di fantasia, sono quelli di una Toscana concreta e verosimile. I tempi quelli dell’appena ieri: una generazione fa e un anno preciso, il 1980, l’annus horribilis, uno dei tanti anni orribili della nostra storia recente, come si scopre da riferimenti precisi e circostanziati che punteggiano le pagine del romanzo.

Il nostro Paese non è ancora uscito dal trauma del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, mentre il terrorismo, rosso, nero e mafioso, impazza; semina vittime innocenti, mina sicurezza e stabilità, mettendo in discussione i fondamenti stessi della convivenza civile.

Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia; Vittorio Bachelet, vicepresidente del CSM; Valerio Verbano, giovane militante antifascista; Walter Tobagi, giornalista del “Corriere della sera”; Mario Amato, magistrato che indaga sulle trame neofasciste: questi, solo in quell’anno, i nomi dei caduti in una guerra mai dichiarata, ma condotta con efferatezza da delinquenti politici e poteri criminali. Si aggiungano, il 27 giugno la strage di Ustica e il 2 agosto la terribile strage alla stazione di Bologna. C’è un governo Cossiga, il secondo; poi un governo Forlani. Il 30 settembre cinque Tv private del nord Italia uniscono il segnale per dar vita alla nuova rete televisiva, Canale 5, dell’imprenditore Silvio Berlusconi; il 14 ottobre a Torino la marcia dei quarantamila contro i sindacati fa emergere la cosiddetta la maggioranza silenziosa, nuova protagonista di un’Italia sempre più delusa, spaventata, rancorosa… È attraverso questo anno insanguinato che pedala il nostro arrotino, cercando, dove può e come gli riesce, di farsi pellegrino e insieme testimone di un “dio familiare”, un “dio delle piccole cose”: gesti modesti, ma concreti fatti di simpatia piena d’amore per tutti, ma soprattutto per gli ultimi, i deboli, i perdenti.

La Storia, quella con la esse maiuscola, non lo abbandona mai e raggiunge continuamente il nostro pedalatore, ora attutita, ora, invece, con lancinante acutezza: ora sono alcuni ragazzi tossicodipendenti; ora un uomo impazzito, manifestazioni di antiche e nuove povertà, sofferenze secolari e dolori inediti… Costante, ribadito a ogni stagione, a ogni tappa, l’invito a trasformare la realtà, a cambiarla, se questa opprime oppure ci rende partecipi dell’ingiustizia, del dolore, del male. Una sollecitazione che percorre tutte le pagine del libro.

Lo sguardo di Agresti è quello del moralista animato da una fortissima passione etica e civile: pietoso nei confronti delle vittime, severo verso i responsabili. Convinto, però, che un qualunque gesto di bene non è mai inutile: il bene porta sempre con sé un esempio che invoglia a imitarlo. Viene recepito, provoca, accende, diffonde la sua forza, si moltiplica. È una cosa semplice, ma indimenticabile. E lascia tracce durature che non possono essere più cancellate dalla vita degli uomini.


Giuliano Agresti, Il nomade. Una parabola per quattro stagioni, Edizioni Feeria/Comunità di San Leolino, Prefazione di Domenico Maselli, Postfazione di Carmelo Mezzasalma, pp. 335, Euro 21,00

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