23 maggio 2012

"Intervista a Andrea Talevi"di Mira Giromini


A Collodi vive e lavora un artista-alchimista, Andrea Talevi, pittore d’origine romana ma toscano d’adozione. L’incontro con lui si è svolto in una giornata di pioggia, di fronte al torrente pieno d’acqua che lui ama particolarmente quando è in piena proprio perché ne vede l’esplosiva energia della natura e della vita. 

Poco più avanti del parco di Pinocchio, presso alcune fabbriche della carta ormai dismesse è allestito il suo atelier che svolge anche il ruolo di laboratorio: pulito e preciso, conserva le sue ultime opere tra cui Bianco Nucleare. La sua sensibilità è tale che afferma “L’artista ha un bisogno spirituale di confrontarsi con gli altri. Un artista non può dipingere per se stesso, un artista dipinge per l’umanità” così è in Bianco Nucleare dove l’attenzione della relazione tra l’uomo e la natura obbliga la coscienza a riflettere sulle conseguenze della scelta dell’energia nucleare e i disastri che ne seguono. 
 
Il procedimento tecnico di Talevi assomiglia a quello di un’orefice; prima di iniziare a dipingere e preparare la tavola di legno o la tela che poi tingerà con intensi colori; lavora il metallo, il rame e piombo: lo incide, lo cesella e lo batte fino a dargli la forma desiderata. In questa ricerca ha trovato e creato una siluette o figura ancestrale, l’archetipo dell’uomo o della donna, l’individualità stessa di ognuno di noi, che viene riproposta in molteplici varianti e contesti. Componente dell’arte di Talevi è il fatto che riesce a far diventare il metallo, il rame e il piombo, che è un materiale freddo, in un materiale caldo e come un demiurgo ne soffia, dentro l’anima che pur cambiando forma conserva sempre la sua essenza: la luce.

Osservando e sue opere, egli si propone principalmente il compito di far riflettere sui grandi temi dell’uomo che spaziano dalla vita alla morte, dal bene al male, che come dice lui fanno parte dell’uomo e non possono essere disgiunti (Eden). Grandi tematiche in composizioni pittoriche armoniose ed eleganti, la sua pittura di “luce metallica” unisce insieme la sapienza e le conoscenze dello scultore con quelle del pittore, inserisce ritagli metallici su una tavolozza di colori puliti e puri.

Ogni singolo quadro è un opera a se stante, unico, la base tecnica permette di individuare quel artista, in quella particolare ricerca di linguaggio ma Talevi ha la capacità ogni volta di rinnovarsi, cerca all’interno del suo bagaglio culturale, fatto di stratificazioni intellettuali ed emotive un tema sempre nuovo e diverso da proporre; non ha concetti precostituiti la sua prerogativa è “l’unicità nella varietà”.

Molte sono le domande e i temi che sono emersi durante l’intervista ma di lui affiora soprattutto la sensibilità a riflettere sulle grandi civiltà che ci hanno preceduto in parallelo all’attenzione verso l’arte contemporanea.

Cosa pensa dell’artista di oggi?
L’artista è sempre inserito nel suo tempo, nel contesto in cui vive; non è un uomo che sta al di fuori della realtà, rinchiuso in una torre d’avorio. Sembra che nel mondo di oggi la gente normale è diventata quella strana mentre l’artista è il normale; paradossalmente l’eccezionalità sta nel vivere in modo normale. L’artista ha più tempo per riflettere, è più calmo e più tranquillo. E’ difficile trovare l’artista maledetto; i tempi sono cambiati.

Cosa pensa dell’arte contemporanea?
Negli ultimi tempi sto facendo un appello: non accetto che ci siano professionisti con un loro lavoro che “fanno arte” mescolandosi con gli artisti professionisti; creando una gran confusione. Per hobby o per terapia ha un senso fare arte ma fare mostre e esibirsi in gallerie è una pretesa che crea solo confusione. Si mescolano i livelli. L’arte contemporanea è intrisa di confusione, è in crisi d'identità; in certi casi sembra un alibi dire “quello lo potevo fare anch’io”; bisogna spiegare che gli artisti che hanno dedicato una vita intera all’arte e al lavoro attraverso l’arte nei suoi alti e bassi; hanno investito la loro crescita individuale e professionale, hanno tirato fuori la loro anima, al di là del talento che hanno oppure no. L’arte non la si può imparare, ti appartiene.
L’arte non deve essere copiabile; si può osservare che l’accostamento insieme di colori e materiali che di per sé sono freddi creano un’armonia e un equilibrio che riesce a raggiungere il cuore di chi lo osserva. Il fatto che sia copiabile, che qualcuno lo possa ripetere vuol dire che hai comunicato solo un’idea ma è l’arte non è solo un’idea, l’arte è anima. Di fronte al quadro è bene chiedersi che cosa ci comunica, deve entrarci dentro come un libro. Bisogna distinguere l’artista, il talento e l’artista occasionale è una distinzione essenziale se si vuol comprendere l’arte contemporanea e fare chiarezza nella confusione.

Quali sono i temi a cui si ispira, quale la filosofia più vicina al suo modo di condurre la vita?
Non c’è futuro senza passato, non c’è una forma artistica che nasce da zero, esiste un bagaglio culturale e umano di millenni di storia. Anche se non pensi a qualcosa di particolare l’inconscio porta a fare qualcosa che ha un origine ben precisa e storicamente rintracciabile. Se poi c’è il talento, questo esce ed emerge con più forza. Certe civiltà antiche mi sono sempre piaciute, fanno parte della vita; non ho l’ossessione della ricerca spirituale ma mi piace scoprire quello che ho intorno, osservo la cultura Etrusca e Romana e quella Egiziana che ha qualcosa che va oltre l’uomo: la ricerca dell’al di là, la vita extraterrena, il fatto che per essere degni del paradiso bisognava avere il cuore più leggero della piuma. Ho l’idea che la storia dell’umanità non è vera così come la conosciamo, deve essere più complessa da come ci dicono gli storici. Mi piace la civiltà greca, la mitologia, il mito di Demetra, i viaggi di Ulisse che sono i viaggi dell’io e i viaggi dell’uomo contemporaneo. Il pensiero occidentale è nato sulla civiltà greca. Un esempio è Soffio di luce, la composizione non è piena e la necessita di un equilibrio tra le parti ne ha fatto un quadro delicato. Non c’è niente che nasce da niente, la E, simbolo dell’alito divino per gli ebrei sembra abbia origine dalla civiltà egizia, quando per un breve periodo con il faraone Akenaton adoravano un dio unico, il dio del sole. Le grandi civiltà diventano un pretesto per creare qualcosa che hai dentro e tirare fuori un’armonia di colori che tocca l’Universale.

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