25 settembre 2012

"Brazil" di Steve McCurry



di Gianni Quilici

Quando la notte (o il giorno?) lentamente si avvicina
ma la luce permette ancora di vedere
in quegli attimi
miracolosamente
sospesi e incerti
con un paesaggio quasi da preistoria

ecco il punctum barthesiano
la falcata di uomo in corsa
la sua ombra ingigantita a dismisura
certamente realtà
ma pure sogno
 

di Davide Pugnana

La tentazione dell'Herzog di Bellow non trascura nessuno, è un bel vizio onomaturgico che non fa distinzioni, e preferisce visitare gli amanti della fotografia, al pari di quelli del cinema.

 Che bel campo di sensazioni sarebbe una lettera scritta a Steve Mc Curry sulla corsa di quest'uomo che non poteva essere iscritta se non in un bacino di luce riflessa; e il suo complementare nell'ombra che si dilunga come un'eco geometrica; e il dondolio imperfetto di isole che si restringono, in una manzoniana catena non interrotta di monti, tutti a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli; e poi, quasi a un tratto, vanno a ristringersi lontani, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e ancora campeggia il declivio di roccia, dove il segno dell'umano corre a congiungere le due rive, e par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione alata. E segni il punto in cui il passo cede il posto alla metafora viva: quella che porta il singolo scatto dentro il canone dei grandi Vangeli fotografici.

 Dopo la cartuccia letteraria, seduto nel suo stanzino in penombra, cambiando l'angolazione sguincia dall'una all'altra natica, l'Herzog della critica aggiungerebbe, a metà della sua epistola, che una corrente iconografica sotterranea passa in questa foto, quasi che le venature sottili della grande lastra siano fili d'argento tirati ad unire il footing futurista della carne, stupendamente sagomata contro l'aurora ventosa, e l'ombra del Discobolo greco, reincarnatosi per un istante tra le striscianti larve della grotta di Platone.

 Mio caro Steve - rinsangua Herzog, stimolato dalla trovata del classico - tu sai che il mezzo santifica il fine e che la filosofia fotografica in tempi di velociferico la sia fa con la macchina-predatrice, che ha abolito il rauco clic per una piccola pressione, silenziosa e taumaturgica. Quel bel corpo adonico fuso allo spazio naturale si dissolverà nella sua bellezza vitale. Sarà restituzione di un antico prestito di polvere. Io lo so, la tua macchina-predatrice, Steve, rimarrà abbandonata sul promontorio, nella calma attesa che la corsa s'infiammi nello scialo dei triti giorni. E anche le isole oscilleranno più incerte e sbeccate. 

Non eri tu quel monstrum che ci avevi dato il sogno di bellezza intatta di una mendicante vermeeriana e, con la stessa inesorabile lucidità, ce l'avevi ridonata con le mani di Cronos?

Nessun commento: