26 marzo 2014

“Vado a Venezia” nota di Gianni Quilici




foto gianni quilici
Vado a Venezia con due propositi: dimenticare ciò che ho già visto in altri viaggi, cercando invece quello sguardo primigenio, che solo attraverso il silenzio della contemplazione può trovare l’incanto di ciò che prima non era e che ora, invece, esiste  ai miei occhi; e poi eliminare (per quanto sia possibile) i percorsi turistici, perché il turismo (la folla e i negozi-negozietti) si interpone alla possibilità di trovare quel silenzio e quella contemplazione in se stessi.

A Venezia vorrei innanzitutto abbandonarmi. Per abbandonarmi non devo avere una meta precisa. Voglio, però, avere degli obiettivi. Non mi basta perdermi, stupirmi contemplare. Voglio rappresentare. Soltanto con gli occhi non riesco a rappresentare. I miei occhi, purtroppo, vedono con molta fatica. Più che cogliere l’oggetto per come è fatto, colgono, a volte, il sentimento che questo oggetto può trasmettere. In altri termini sono occhi più da poeta (senza che necessariamente lo sia) che da scrittore. In questo senso la macchina fotografica diventa uno dei miei linguaggi. Un linguaggio che può descrivere come un romanzo (un palazzo, un paesaggio, un oggetto), ma che soprattutto può cogliere quel movimento in cui si incontrano l’elemento statico con l’elemento o gli elementi dinamici. Cogliere, cioè, quell’attimo fuggente, irripetibile, poetico che tanti fotoreporter cercano o hanno cercato, creando piccoli o grandi capolavori nella storia della fotografia e che nasce da un colpo d’occhio immediato oppure anche da una pazienza infinita in un luogo.

Però non mi basta. Lo scatto fotografico, nel mio caso libero da commissioni, realizzato per puro, semplice piacere, mi pare troppo facile, anche se poi difficile è  scattare quella foto, in cui vive il tocco della poesia o di un reportage. Non mi basta, perché la foto racconta soltanto attraverso un’immagine.

Ho bisogno, cioè, anche di parole. Forse perché nelle parole c’è ancora più “io”. Le parole del racconto, o meglio ancora del taccuino di viaggio. Le parole dell’emozione e della musica, cioè della poesia.   
E infine le parole del pensiero, le parole del capire ciò che si ha davanti, che richiama la storia, l’estetica, la scienza, compresi i linguaggi.

Ecco che la foto e la scrittura diventano bisogni complementari nel mio essere in viaggio, anche se sempre difficilissimi da realizzare all’unisono.

Questi sono i propositi. I miei. I risultati sono –come è ovvio- “quelli che sono” e comunque sempre impari ai desideri. Imparare, quindi, dalle frustrazioni ad affinare scelte e strumenti, linguaggi e sguardi.           

1 commento:

Anonimo ha detto...

Venezia è la città ideale per ritrovarsi smarrendosi per calli e campielli, quelli più solitari ed appartati, quelli lontani dai flussi turistici. La città offre scorci sorprendenti e atmosfere surreali ds gustare in silenzio. La macchina fotografica è un'ottima compagna capace di fermare attimi unici e poi , come la usi tu, pochi la sanno usare.... Salvina Alba.