23 giugno 2016

Qualche pensiero su "Non è che l'inizio" di Gianni Quilici




“Il fatto che noi crediamo che un essere partecipi a una vita sconosciuta in cui il suo amore ci farà penetrare, è, di tutto quello che l’amore esige per nascere, ciò che più gli importa”.
Proust, “Un amore di Swann”

di Angela Palermo

Mi piace partire da questa citazione di un capolavoro proustiano per esprimere qualche pensiero sul primo romanzo di Gianni Quilici, “Non è che l’inizio”, in quanto l’essenza del romanzo (o il suo scopo essenziale?) sembra proprio il voler far entrare il lettore all’interno di una vita per molti versi sconosciuta anche al protagonista che la vive; e in questo risiede il fascino di questo “racconto di una vita”, costruito sulla magia anti-dualistica dell’essere e dell’esserci, vissuta con meravigliata assurdità dal giovane supplente protagonista: un post-adolescente dal cuore stravagante, pazzo, indocile, che teme l’insegnamento perché ne sente tutto il peso gravido di responsabilità sociale.

L’atmosfera generale che si respira leggendo, anche grazie alle bellissime foto di scorci lucchesi inserite tra le pagine, è piacevolmente esistenzialistica, di un esistenzialismo dichiaratamente sartriano e accesamente pasoliniano.

Ma “Non è che l’inizio” è anche il racconto di una dirompente passione politica tradita ma mai spenta, che permea ogni azione del protagonista,  che al lettore risuona quasi come un monito a fare, a impegnarsi, a reinventarsi, a esser-ci: “Non è vero che è tutto pronto. E’ vero che sono pronte le idee, i percorsi, gli strumenti necessari. Soprattutto, ho una grande energia dentro, ma non voglio scaricare nel vuoto (…). Lascio nel mio impegno molte riserve. L’incertezza diventa l’alibi per non fare” (pag. 39).

All’interno di questa proustiana vita sconosciuta, il nostro protagonista tenta di penetrarci e di farci penetrare, soprattutto attraverso una perturbante tensione erotico-sessuale che a tratti imbarazza il lettore per le descrizioni iper-realistiche, al limite del voyerismo. Vediamo il protagonisa abbandonarsi puntualmente al piacere con trasporto, vittima consapevole di passioni violente con donne che sono al contempo amiche, amanti, confidenti, che quasi sempre si prestano alle sue fantasie sessuali senza apparente felicità, senza il vero calore dell’amore: “Vuole, astrattamente vuole, pensai. Come me” (pag. 22).
  
E’proprio questo, credo, l’asse portante della  soggettività del protagonista: enigmatica, inquietante, paradossale, che attraverso un sesso raccontato senza alcun pudore, con una giocosità sempre al limite tra l’erotico e il trasgressivo, mette spregiudicatamente sul tappeto spinose questioni di carattere etico, dimensioni interiori con forti valenze culturali e filosofiche.

Le sue prepotenti passioni sessuali sono assimilabili a quelle di un libertino post-litteram che ha orrore della monotonia, dell’uniformità, che ricerca attraverso il sesso e la “sessualizzazione”, una molteplicità vitale irriducibile da dominare. Ma si capisce subito, dall’intonazione lirica con cui l’autore ne parla, che il primo a essere sedotto, rapito, travolto, dal flusso ininterrotto della molteplicità delle sue passioni, è proprio lui, l’autore.

Malgrado tutto questo, non riesco a non percepire una sensazione un po’ perversa che mi turba, pur nella consapevolezza che l’erotismo libertino, un po’ come il bambino in Freud, è polimorfo: è cioè per essenza trasgressivo e “perverso”. Il divino marchese de Sade ci ha insegnato  -e la psicoanalisi freudiana gli ha dato ragione- che la ricerca erotica del libertino, quando è totalmente estranea alla tenerezza e al sentimento, genera violenza e prevaricazione, attiva componenti aggressive e distruttive. Non è mai il caso del protagonista del romanzo di Quilici che, pur muovendosi in una dimensione di libertinaggio a tratti spersonalizzante e spersonalizzata, mantiene sempre in vita, attraverso l’incontro erotico, il principio di individuazione e di riconoscimento dell’Altro, evitando di aprire quella frattura radicale tra il e l’Altro, così ben descritta da de Sade che ha vivisezionato la dimensione scissa del libertino che abbandoni pericolosamente i circuiti della passione amorosa, a favore del piacere esclusivo della carne e della seduzione.

Non è mia intenzione addentrarmi in tassonomie psicologiche del personaggio protagonista del romanzo, ma se ho richiamato de Sade e il libertinismo perverso, è soltanto per esprimere un po’ di amarezza nei confronti di un romanzo che anela a dirci che può esservi spazio per una visione che  considera la relazione amorosa come esperienza umana complessiva: tale, cioè, da includere, sullo sfondo di una fusione tra erotismo e passione politica, anche la creatività, la passione dell’intelletto con le sue avventure, le attività della ragione, ma che alla fine appiattisce questo suo enorme potenziale, sulla carne. E anche se quella che possiamo considerare la cifra più elevata di questo romanzo, il suo “differenziale sadiano”, ci porta alla fine a considerare la passione amorosa come armonia tra sensi, cuore e ragione, ammantata di propositi morali e pedagogici, in netto e irriducibile contrasto con ogni logica della scissione, ritroviamo comunque una visione dualistica del piacere e dell’amore, scopertamente ostile all’autore stesso che, privando il sesso del buio piacere del segreto e dell’intimità, della sua dimensione essenzialmente spirituale, di una spiritualità che io considero in senso spinoziano, lo riduce a un atto del puro sentire, privandolo di quella dimensione catartica essenziale che appartiene solo alla sessualità fusa col sentimento amoroso.

È davvero necessario, a spiegare i caratteri paradossali dell’amore, la presenza costante, nel testo,  di una chiara menzione delle pratiche sessuali che lo rendono accessibile al protagonista?
O non sono piuttosto le sue caratteristiche intrinseche -il suo essere abitato dalla scissione, il suo essere votato alla mancanza- a renderlo così pericolosamente indescrivibile anche a Gianni Quilici, perché più vicino alla malinconia e alla morte, di quanto egli osi ammettere nel suo romanzo?

Nessun commento: