07 aprile 2020

"Anche i Pisani sono esseri umani" di Luciano Luciani (tredicesima puntata)

                                         Silvio Guarnieri

memorie autobiografiche del secolo scorso
               e dell'ultima ideologia progressiva.
                            Un giovane Romano nella città “vituperio de le genti”.

I compagni dirigenti. Quelli della Federazione.
Dovrebbe essere da qualche parte e se mi decidessi a cercarla con un po' di zelo e sistema non potrebbe che rifare la propria apparizione. Sto parlando di una vecchia fotografia, rigorosamente in bianco e nero, di quelle che si ottenevano non con un telefono ma con una macchina fotografica e che avevano bisogno di una pellicola da 24 o 36 pose da impressionare con i tuoi scatti e poi di un fotografo che stampasse le immagini ottenute.
 

Bene, in questa foto vintage appariamo io e il compagno Riccardo Di Donato seduti, sorridenti. ai tavoli di quella che sembra essere un festa dell'Unità e probabilmente lo è. A dargli una data direi l'estate del '73, il luogo lo spiazzo tra le case popolari dove si celebravano questi rituali politici annuali. Io, il compagno di base recentemente acquisito, meglio reclutato, dalla sezione del Pci “Antonio Gramsci, lui il dirigente politico inviato dalla federazione del Partito per il comizio d'apertura o di chiusura. Tutti e due giovani in maniera imbarazzante, allegri, ottimisti. La festa è andata bene; c'è stato un discreto afflusso di iscritti. Simpatizzanti e semplici cittadini non sulle nostre posizioni, ma attratti dall iniziative; il tesseramento ha raggiunto e superato l'agognato 100/100; al di là di ogni aspettativa la diffusione dell'Unità che ha dato fondo a tutte le copie previste... Almeno alla Cella, il Partito gode di buona salute e il compagno Di Donato lo riferirà domani in federazione.
 

Il compagno Riccardo Di Donato: cattolico, normalista, un filologo classico e uno storico della cultura antica prestato alla politica era una delle figure emergenti della sinistra pisana. Un intellettuale a cui, evidentemente, non faceva paura il lavoro pesante del rapporto con le sezioni, anche le più rigide ideologicamente e La Cella era davvero così. Una di quelle in cui, ancora dopo vent'anni, si manteneva un legame fideistico con l'Urss, vissuta, nonostante i ripetuti misfatti, sempre come la patria del socialismo e non pochi compagni conservavano gelosamente nel cuore il mito di Stalin. Non doveva essere facile riportare in sezioni di quel tipo, la linea politica del partito Berlinguer, dell'incontro tra comunisti, socialisti e cattolici, il cosiddetto “compromesso storico”, e l'idea di una “terza via” tra capitalismo e socialismo autoritario e burocratico, ma Di Donato ci provava, con pazienza, umiltà, rispetto per tutte le posizioni: una passione pedagogica che non era proprio nelle corde di tanti ufficiali maggiori e minori del Partito pisano di allora. Di lui conservo un ricordo positivo insieme a quello di altri pochi dirigenti.
 

Per esempio Marcello Di Puccio, anzi meglio l'on, Di Puccio. Operaio (Saint Gobain, mi pare) orgoglioso delle sue origini proletarie, uomo della Resistenza, possedeva il dono di rendere semplici le questioni complesse e di saper stringere, con garbo e fermezza, quando si trattava di arrivare a prendere una decisione.
 

Ancora una presenza mai più dimenticata, almeno da me, alla  Cella: quella del prof. Silvio Guarnieri, decente di letteratura moderna e contemporanea all'Università di Pisa e consigliere comunale. Si trattava di una assemblea precongressuale, di routine, che si trasformò in una splendida lezione su Gramsci, gli intellettuali e il loro ruolo nella costruzione di una via italiana al socialismo. Guarnieri riuscì nella magia di trasformare quella sala della periferia pisana abituata a dibattiti ben più grossolani in un'aula universitaria dove si ragionava con pacatezza di temi alti e importanti per i destini di tutti. Chiuse, Guarnieri, con appello accorato perché i comunisti non trascurassero per supponenza o per un antico pregiudizio anticlericale quanto andava accadendo nel mondo cattolico in cui si moltiplicavano i segni di insofferenza circa lo stato di cose presenti e l'obbligo, politico e morale, per i comunisti di trovare relazioni con quei movimenti e quei protagonisti, non lasciarli soli, aiutarli a trovare sbocchi e soluzioni. Una bellissima serata, che, a quanto mi è dato di ricordare, al di là dell'emozione del momento, non si trasmise ai giorni e alle attività successive. 

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