27 novembre 2015

"Lucio Magri: due osservazioni" di Gianni Quilici



         Giustamente si è ricordato, rappresentato, discusso Pasolini, a 40 anni dalla sua morte, perché ancora ci “parla”, ci “tocca”, ci è “utile”. Pochissimo si scriverà invece di Lucio Magri, a quattro anni (soltanto) dalla sua morte (per scelta). Forse neppure ne Il manifesto, che pure gli deve molto.

         E Magri possiamo certo leggerlo (e non è poco), ma, a differenza di Pasolini, non possiamo vederlo, né sentirlo nel flusso della sua esistenza.  Quanti saranno stati i comizi, gli interventi, le interviste televisive fatte da Magri! Di tutto questo in rete si trova soltanto la presentazione de "Il sarto di Ulm" a Bologna, che  certamente non rende l'idea del Magri degli anni '70, '80, '90, gli anni, in cui abbiamo potuto vederlo e ascoltarlo pubblicamente!
 

        Perché è sia nei suoi libri, articoli, saggi, sia nei suoi interventi orali che trovo due aspetti, che mi hanno sempre colpito di Lucio Magri: la complessità e insieme un'idea estetica, portata al perfezionismo, come osservava Valentino Parlato, sia nello scrivere e nel parlare, che nel presentarsi e nell'esistere.
 

        La complessità in Magri viveva nella ricerca ossessiva della causa ultima delle cose, che era spesso la molteplicità delle cause, con tutte le conseguenze che ne derivavano. Un ragionamento che scavava per successivi approfondimenti, che ti prendeva per mano e ti faceva toccare con limpidezza lo "stato delle cose".
 

         Il senso dell'estetica, invece, era nella chiarezza e nella limpidezza, nel ritmo dei periodi fluenti e nella ricerca del vocabolario giusto, che cogliendo la profondità, coglieva anche ciò che ci tocca della profondità: il "cuore delle cose".
Un suo comizio o la conclusione di un convegno erano quasi sempre "illuminanti",  ma anche "commoventi", facevano fermentare energie dinamicizzandoti.
 

        "Illuminanti", perché vedevi il tempo della storia, grandi spazi nei conflitti delle classi, possibili idee forza da trasmettere; "commoventi", perché toccavano le viscere dell'umano: la profondità del dolore, l'utopia possibile.
 

        L'estetica era anche nell'arte del discorso, nella voce sottile e musicale, che sapeva essere sferzante e appassionata, distaccata e divertita.
 

         L'estetica era inoltre anche nel volto da "attore americano", ma di quell'attore che trascende la bellezza dei lineamenti e diventa "artista", creatore di un'immagine forte di sé, una commistione, cioè, di energia intellettuale, di eleganza e di mistero.
 

        Per questo il migliore modo di "commemorare" Lucio Magri è "scoprirlo", o “ripensarlo” cioè leggerlo e utilizzarlo, per ciò che ci ha lasciato per il nostro futuro, perché sono d'accordo con Alberto Burgio che sul manifesto scrisse: "...Questo gli ha permesso di portare a termine, nonostante un dolore inemendabile, uno dei libri più belli e importanti su di noi -sui comunisti italiani e sul comunismo novecentesco- che siano mai stati scritti"; e con Perry Anderson che osserva: "Lucio Magri era una figura unica nella sinistra europea"
                                                                                

24 novembre 2015

" Il grano: dal chicco al pane. Sulle montagne dell'Appennino reggiano" di Odino Raffaelli

L'unico antidoto all'oblio

di Luciano Luciani

Giovanotto del secolo scorso, Odino Raffaelli, classe 1931, è impegnato da tempo in una dura fatica: contrastare l'oblio e la smemoratezza di uomini, fatti e cose di appena ieri. Al centro dei suoi interessi, narrativi e documentari, l'antropologia del popolo della montagna, nel caso specifico quello di Ligonchio nell'Appennino reggiano, dove è nato e ha trascorso gli anni fondativi della fanciullezza e della prima adolescenza: un'umanità semplice, elementare le cui manifestazioni erano scandite dai cicli stagionali e l'esistenza segnata da dure, difficili, ormai desuete, condizioni materiali di vita.

Le stesse che abbiamo rifiutato collettivamente più o meno sessant'anni fa in nome di un maggiore benessere, di migliori opportunità, di consumi più larghi. Certo, qualcosa, o forse anche più di qualcosa, abbiamo acquistato... Molto, però, rischia di andare perduto, e definitivamente, su altri versanti. Per esempio, quello dell'etica: il senso di solidarietà; il sentimento della continuità familiare; lo spirito comunitario; e quello, più concreto, dell'operatività umana: la perseveranza; la pazienza; il senso dell'autonomia nell'organizzare il proprio lavoro; la capacità di sacrificarsi... Insomma, abbiamo creduto di poter sostituire l'anima col prodotto interno lordo o col reddito pro capite e ci siamo comportati come i rampolli viziati di certe casate aristocratiche dell'Ottocento usi a dilapidare i beni di famiglia ai tavoli di tutti i Casinò d'Europa: così, abbiamo sperperato un patrimonio di moralità fatto di tradizioni, credenze, riti, valori, senso del sacro...

Odino Raffaelli racconta un mondo che non c'è più e che non sembra destinato a tornare a meno di qualche apocalisse da medioevo prossimo venturo: motivo di più, si potrebbe dire, per farne memoria. Perché, venendo progressivamente a mancare la generazione nata tra gli anni compresi tra le due terribili, tragiche guerre del "secolo breve", con essa sparirà anche il ricordo di quelle donne e quegli uomini che faticosamente, ma con tenacia e intelligenza, riuscivano a strappare alla terra, anche la più aspra, anche la più avara, il pane quotidiano e anche qualcosa di più, per sè e per gli altri.

Oggi, quando mille rughe sembrano bruttare la facciata ottimistica del nuovo a ogni costo, oggi che non siamo più così sicuri di noi stessi e della direzione e del significato di certe presunte modernità, ci accade spesso di sentirci disorientati e smarriti. E allora torniamo a ricercare le abitudini, i colori, i sapori, i suoni di una volta. In questo recupero di un passato importante che poi, in fondo, è appena dietro le nostre spalle, ci aiutano anche alcuni piccoli libri come questo di Odino Raffaelli, Il grano: dal chicco al pane. Sulle montagne dell'Appennino Reggiano, scritto intingendo il pennino nell'inchiostro della "simpatia piena d'amore" per il mondo di ieri e del ricordo. Perché, se "la maledizione degli uomini è che essi dimenticano", l'unico antidoto possibile a tale disgrazia è ricordare, ovvero tornare di nuovo a battere le strade del cuore.

Odino Raffaelli, Il grano: dal chicco al pane. Sulle montagne dell'Appennino reggiano, La Grafica Pisana / Nodino, La memoria delle cose, pp. 64, Bientina (Pi), Euro 6,00

17 novembre 2015

Storie intrise di umanità

di Ivana Golda Binni

È un libro eccentrico che a ogni pagina ti sorprende e ti spiazza: perché là appare  un nembo di voracissime locuste che oscura il sole; qua un Garibaldi che non è più il Magnanimo Guerrigliero, ma, forse e sottolineo forse, un commerciante avido e un rapace trafficante di uomini; più avanti una tempesta squassa il cielo della Provenza e tiene a battesimo un piccolo Henrì Toulouse-Lautrec; qualche capitolo dopo ci sorprende un’alba rosata sul Bosforo, descritta dal grande romanziere e viaggiatore Loti... Provocatorio anche il titolo, La cacca che ci salvò dalla fame. Strane storie e tipi strani, e l'ha scritto Luciano Luciani, non nuovo a tali imprese bizzarre, per i tipi delle edizioni Ets, Pisa 2015.
 

 Diviso in due sezioni, la prima, Strane storie, comprende otto brevi saggi di vario argomento collocati in punti diversi del pianeta e in momenti differenti della Storia. Si passa dall’invenzione  e dall'uso della polvere da sparo a quella della mongolfiera; dalla diffusione del caffè come piacevole bevanda alla cacca degli uccelli come risorsa economica e fonte di ricchezza. Si indaga sul comportamento delle locuste e sulla possibilità che diventino cibo per l’umanità in un futuro non troppo lontano, come, peraltro, confermato di recente dall'Expò milanese… E poi ci sono le streghe, quelle cattive almeno secondo le Chiese - la cattolica e la protestante - della Controriforma, che non esitarono a bruciarne migliaia e poi ancora migliaia per salvare l’Europa dal potere del Maligno, e quelle buone, come la Befana, che, a cavallo della sua scopa, porta doni ai bimbi “a modino” ma carbone a quelli cattivi. E poi le buffe storie di quanti non accettano il nome del loro paese dando vita a comici pasticci toponomastici...

La seconda sezione si occupa dei Tipi strani. Sono sei veloci e fruibili biografie di personaggi inquietanti come Edgar Allan Poe; ingombranti come Domenico Barbaja, analfabeta ma appassionato di musica tanto da diventare il protagonista di tutti gli eventi artistici nella Napoli del secondo Ottocento; misteriosi come Gaetano Brunetti, violinista alla corte di Spagna e avversario del lucchese Luigi Boccherini. Un’altra storia parla del grande artista Henri de Toulouse Lautrec, che la malattia segnò crudelmente nel corpo, ma non ne fiaccò il genio. E ancora altre narrazioni vive nella memoria dei popoli più che nei libri come quella di Guy Fawkes o malinconiche come la vita romanzesca di Pierre Loti “che conosceva il mondo attraverso la bellezza delle donne”.
 

Racconti seri e bizzarri insieme che affascinano perché l’Autore li ripesca da un passato dimenticato, scova curiosità, originali modi di essere, caratteristiche inconsuete dei protagonisti che rendono viva e presente le loro esistenze anche dopo secoli. Una lettura che appassiona anche grazie a uno stile controllato che sa equilibrare l’informazione colta con la battuta ironica, con la citazione preziosa che non è mai fine a se stessa. La prosa discorsiva in queste pagine rende godibile la lettura: storie e fatti che ci potrebbero salvare dalla noia, dal conformismo, dalla sciatteria di questi anni malmostosi, perché come dice l’Autore nell’Introduzione, “a me mi hanno salvato le storie”. 

Luciano Luciani, La cacca che ci salvò dalla fame Strane storie e tipi strani, edizioni Ets, collana Obliqui, Pisa 2015, pp. 120, Euro 12,00


12 novembre 2015

"Non è che l'inizio" di Gianni Quilici





di Maila Grazzini


Ho terminato di leggere il romanzo Non è che l'inizio, di Gianni Quilici.
Durante la lettura l'impressione principale era quella di assistere visivamente a ciò che veniva raccontato e vissuto dal protagonista e narratore. Una sorta di cinematograficità insita nel racconto, che poi non è una sorpresa, essendo l'autore prima di tutto un cinefilo e fine intenditore di cinema.

Si prende anche consapevolezza, nello scorrere delle pagine,  che questo non sia un carattere casualmente ottenuto, ma una cifra stilistica pretesa e ricercata, come l'unica modalità espressiva capace di raffigurare il presente della vita.


È infatti del presente che si parla - di un presente non necessariamente contemporaneo - in forma di diario-cronaca interiore ed esteriore di vicende personali, che non solo si vivono ma consapevolmente si osservano nel loro avverarsi. Come se l'uomo si guardasse vivere e analizzasse il suo sguardo, commentando i propri gesti e pensieri, mentre si realizzano nella loro genuina e vitale anarchia.

E' un giovane uomo che sta attraversando il momento di ingresso nella maturità dell'adulto ma non ha ancora fatto scelte definitive; è interessato al sesso e all'amore, prima e più di tutto, e alla politica, che sente sulla sua pelle, empaticamente, e vuole collaborare a determinare, come tanti altri giovani della sua generazione impegnata.

Tuttavia il suo rapporto con la politica appare un po' sfuggente: benché lo si veda coinvolto con i movimenti, collegato alle persone che più di lui sono ordinatamente inserite in quel mestiere, si percepisce anche il bisogno di un percorso libertario e la difficoltà ad inquadrarsi in visioni troppo statiche. C'è un di più sempre da conquistare, un'ansia creativa che si riversa nell'organizzare, nel fare, con un taglio da artista più che da amministratore. E traspare un'insofferenza al normale vissuto, alla ripetizione di gesti, che si scopre anche nell'ambito della scuola, luogo di mestiere accolto ma non ambito. Anche o proprio nel rapporto con colleghi e alunni si riscontra quel graffio libero dagli schematismi didattici, che però non giunge sempre ad agganciare le persone che forse avvertono, con un po' di diffidenza, la rinuncia dell'uomo a farsi maestro di una strada quieta del crescere e dell'imparare.

L'aspetto sicuramente emergente del romanzo è il realismo con cui, esente da ogni filtro, l'autore fa conoscere il personaggio e per suo tramite l'intreccio tra i pensieri e le urgenze della materia e della carne, nel connubio alchemico che come in lui sta al fondo di ogni persona e che trasuda umanità, moltiplica e trasforma le pulsioni, talvolta le lascia esplodere o le interiorizza.


 E' un personaggio che si offre nudo alla platea dei lettori, che si compiace della crudezza con cui comunica le sue sensazioni, come se ammiccasse ad una presunta reticenza di coloro che, uomini della stessa carne, non hanno il coraggio di manifestarsi con la stessa spontaneità esente da convenzionalismi di  sorta.

Per il lettore è istintivo confrontarsi, nel silenzio della lettura, con ciò che vorrebbe o potrebbe dire di sé, e avverte in qualche momento il fastidio di una tale immediatezza, di fronte a parole che espongono la verità di modi di essere che forse, in parte, gli appartengono, ma che ora vede esibiti con troppa spiazzante naturalezza.

Si può non essere d'accordo, certo, sulla mancanza di limite che informa la vita di un uomo-attore di scena e di vita, si può non sentirselo calzato addosso questo sfrontato paradigma rappresentativo, ma indubbiamente ne esce un individuo in carne ed ossa che ci è dato conoscere intimamente, nel suo mobile, trasparente e ossessivo vitalismo. Anche attraverso pensieri e comportamenti che imbarazzano.

Non è un attore solitario, il narratore, ci sono alcuni personaggi femminili - tra cui una presenza più stabile e importante - che alimentano la sua ricerca di contatto carnale, di comunicazione, di affetti,di sicurezze, vissuti però anche nella provvisorietà, fugacemente; c'è questo insistente ossimoro: la profondità di senso ricercata nel frammento, in  una vita di continua sperimentazione di sé, prima di tutto nel sesso, poi nella politica.

Un romanzo è una testimonianza di vita, ci offre uno squarcio di realtà facendoci vivere sulla pelle di altri, e questo è maggiormente possibile e interessante quando possiamo immedesimarci in esperienze che almeno parzialmente appartengono alla nostra generazione.

Qui ci sono tanti ingredienti con i quali ci sentiamo impastati, con cui confrontarci ed evocare la nostalgia di un momento in cui le storie personali diventavano specchio di un agire collettivo. Ma ciò non toglie che qui primeggi la persona nella sua particolarità esistenziale, quella persona con suoi tratti specifici che ci comunica un modo di esistere, che in quanto tale vuole rendersi modello riconoscibile.

La prosa anch'essa frammentata e scattante è in sintonia con l'incalzare quasi ossessivo dei pensieri irrequieti, registra le mosse, spesso scomposte, indotte da un istinto verso la vita che non trova sazietà. L'impulso dell'agire non può trovare del resto accoglienza sintattica nell'arco di volute ampie e distese o di pacati rettilinei. Dunque urge la brevità dell'eloquio, che si accompagna a schiettezza e semplicità di lessico, altro carattere che distingue il romanzo e contribuisce a rendere agile e coinvolgente la lettura ma che sembra un po' troppo insistito e ne enfatizza il tono prosastico, solo occasionalmente tralasciato.

Non so se sia un fatto positivo, o meno, quello di conoscere personalmente lo scrittore, ma credo che ciò aiuti a incrementare la partecipazione al suo racconto, quasi a precorrerlo. Ci si stupisce a riconoscere certi tratti della sua scrittura ed anche le azioni del protagonista si sovrappongono a quelle reali, in una sincronica auto-rappresentazione, come se si fosse in possesso di un visualizzatore pronto a decodificare l'atto nel momento in cui venga descritto.

Insomma una storia di vita vera che si legge e si vive, intimamente, gustandola con la passione genuina con cui è stata raccontata. 

Gianni Quilici. Non è che l'inizio. Tra le righe libri.  






28 ottobre 2015

"Gl'innamorati" di Carlo Goldoni





nota di Gianni Quilici



Ha senso leggere Goldoni oggi?
Prendiamo uno dei testi più rappresentati Gl'innamorati.
Sì e no,
ma in definitiva sì.

Sì, perchè ha una straordinaria capacità
di delineare personaggi
attraverso dialoghi veloci,
ricchi di sfumature psicologiche,
molto più moderni di tanti moderni.
Perché questi dialoghi
sono a volte pensati
non detti,
un modo di introdurre
una sorta di semi-inconscio,
pensieri di cui si è consapevoli,
ma di cui spesso si rimane vittima,
appunto perchè inespressi, latenti.

No, perchè
oggi c'è una tale complessità di interelazioni
che quei personaggi possono risultare lontani.

In definitiva sì, perchè
lo stile e la profondità
mettono comunque in moto,
comunicano, attraggono, fanno fermentare ....




Carlo Goldoni. Gl'innamorati. Einaudi.







27 ottobre 2015

"Zombie in TV" di Marcello Gagliani Caputo




            Le migliori zombie-serie 
                 del piccolo schermo

di Gordiano Lupi

SINOSSI: Dopo aver saturato il mondo cinematografico, lo zombie ha trovato nuovo terreno fertile in televisione, dove il personaggio sta vivendo una seconda giovinezza. Dal successo mondiale di The Walking Dead allo spin-off Fear The Walking Dead, dalla sorpresa Dead Set al commovente In the Flesh, passando dalla sfrontatezza marcata Asylum di Z-Nation fino alla delicatezza romantica del francese Les Revenants, questo volume raccoglie le migliori serie tv zombesche che stanno affollando le televisioni di tutto il mondo, analizzandole criticamente e raccontandone la genesi. Prefazione di Paolo Di Orazio.

DALLA PREFAZIONE: [...] Non voglio anticipare cose che leggerete in questo splendido trattato, soltanto limitarmi a raccomandarne una lettura attenta e amorosa, e la divulgazione poiché personalmente vedo necessario erigere uno spartiacque tra ciò che è horror e ciò che non lo è. E questa operazione la si può compiere con successo cibandosi di questo libro ben scritto, che ci porta a spulciare nella produzione mondiale dei film sul morto vivente (ma anche per renderci conto di quanto l'Italia sia distante da quel che accade nel resto del mondo).

L’AUTORE: Marcello Gagliani Caputo è scrittore, saggista e critico cinematografico e letterario. Ha pubblicato Bad Boys - La Figura del cattivo nell’immaginario cinematografico per la Morpheo Edizioni, ha partecipato al libro Christopher Lee - Il Principe delle Tenebre, Profondo Rosso Edizioni e al volume Il Cinema di Michael Winner (Edizioni Il Foglio). Ha pubblicato la prima monografia su David Fincher, The Fincher Network (Bietti Edizioni), e ha partecipato al saggio The Walking Dead - L'evoluzione degli zombie in tv, nel fumetto e nel videogioco edito da Universitalia. Nel 2014 ha pubblicato l’ebook Zombie al cinema per Fazi Editore, mentre l'anno dopo Guida al cinema di Stephen King, Universal Monsters - L'epopea dei mostri in bianco e nero e Guida al cinema di Bud Spencer e Terence Hill. Alla sua squadra del cuore, la Juventus, ha dedicato la collana Almanacco Juventino - Tutte le partite della Juventus dal 1930 al 2014 e l’ebook Da Platini a Pogba - La Juventus dei campioni francesi (Delos Digital), mentre ha raccontato la storia della Champions League nel libro Champions Italia - Le italiane e la Coppa dei Campioni.

14 ottobre 2015

"Non è che l'inizio" di Gianni Quilici



                                                              Gianni Quilici. 1990
lettera di Martino De Vita

Caro Gianni,
                     è un romanzo il tuo che una volta letto e messo in libreria, non dovrebbe essere dimenticato. Ogni tanto non farebbe male riprenderlo, rileggerlo e rimeditarci ancora un po’ su.


Mi ritrovo, anch’io come  te, a pedalare per Lucca provando le tue stesse emozioni, le riflessioni su un lampione, su un muro, su un gatto. Le parole sono impresse nella macchina fotografica come patrimonio indistruttibile, come esperienza triste e allegra, nostalgica e solitaria di una ricerca senza fine. Le parole scritte o pensate sono i nostri pensieri che vorremmo confessare a noi stessi e che non abbiamo mai avuto il coraggio di confessare.


La delusione politica, il fermento (tormento) erotico, il rapporto con gli allievi sono tre  anime della tua personalità; azzarderei a dire “una e trina”, al di là dei miti, se così li vogliamo chiamare.  

Illumini di flash la città e la rendi protagonista di se stessa, di quello che offre e che ci ha offerto da sempre.


Tu non appari mai “malato” di nostalgia. Vai avanti per la tua strada, corri, urli, godi, soffri, impazzisci dalla solitudine e per le azioni incompiute, ma non soccombi.  Rimani pur sempre un’anima pura nel bel mondo dell’incanto…

Gianni Quilici. Non è che l'inizio. Tra le righe. Euro 13,00 


12 ottobre 2015

"Il Mastro, il sigaro e la sedia" di Beppe Calabretta

di Luciano Luciani

Partiamo dal titolo del libro: Il Mastro, il sigaro e la sedia. Romanzo calabrese. Mastro è il termine con cui ancora oggi si indica un artigiano specializzato, che eccelle in qualche attività al punto da poterla insegnare agli altri. È attributo di rispetto: e Mastro Andrea il rispetto lo merita, perché ama la cultura e soprattutto ama la bellezza degli oggetti ben fatti, che debbono sfidare il tempo e aiutare l’uomo a vivere meglio. È un falegname, lavora il legno, un materiale caldo, vivo… Costruisce cose concrete, tangibili. A partire dalle sedie. Perché una sedia è un progetto: c’è da scegliere il legno migliore, prendere le misure, definire le connessioni e gli incastri, le rifiniture, l’impagliatura, la lucidatura... E tutto evitando gli sprechi, di materiale e di tempo, intollerabili in una società povera come quella calabrese del secolo scorso.

La sedia è il paradigma del dovere, della fatica, del  lavoro ben eseguito.
Piacere è il sigaro.
Un piacere misurato, intelligente, che aiuta a volte a concentrarsi, talora a rilassarsi. Un piacere critico e ragionato, non nevrotico come la sigaretta.

Nel titolo Il Mastro, il sigaro e la sedia. Romanzo calabrese, troviamo, dunque, le coordinate etiche (e geografiche) dell'Autore e l’indicazione del vero protagonista morale - Mastro Andrea, appunto - di questa storia. Che ha per oggetto più di un secolo di vicende di una famiglia meridionale, calabrese, formata da Nicola, pescatore, e Annina, contadina. Il romanzo racconta soprattutto la storia del loro unico figlio, Vincenzo, che rimasto orfano di padre in tenerissima età a neppure dieci anni, andrà a bottega da Mastro Andrea, da quel momento la sua figura adulta maschile di riferimento. Una sorta di padre putativo, come fu Giuseppe, anche lui falegname, per Gesù.

Ragazzino sfortunato, Vincenzo: perché alla perdita del padre nella Grande Guerra, si accompagnerà quella della madre, Annina, che impazzita di dolore per la morte del marito, sparirà per lunghi, lunghi anni fino a riapparire, inaspettata, molto più tardi…
E Vincenzo affronterà il difficile mestiere di crescere senza la madre, in compagnia della nonna, l’affabulatrice della famiglia e della zia Vittoria, sorella di Annina, sarta dalle mani d’oro, ma sfortunata in amore: suo marito,infatti, emigrante, partito per "la Merica" per fare fortuna, non è più tornato.

Sullo sfondo, a suo modo protettivo ed educante, il piccolo borgo di Vela, le sua piazza animata, luogo della della diffusione delle notizie attraverso l’esibizione del cantastorie, l’unica fonte d’informazione per quei luoghi e quegli anni… Protettiva Vela: infatti, Vincenzo andrà difeso, perché le zanne della Storia grande, che non avevano risparmiato suo padre Nicola mandato a morire nel corso del primo conflitto mondiale, si allungano anche su di lui: il fascismo non perdona al giovane il suo rapporto filiale con Mastro Andrea, spirito critico e libero, e sia il Mastro sia il suo discepolo, in tempi diversi, saranno costretti ad allontanarsi dalla piccola comunità calabrese. Il Mastro andrà lontano e sarà partigiano, Vincenzo troverà nelle montagne calabresi, già luogo privilegiato di santi e briganti, la necessaria tutela in attesa di tempi migliori. E questi, sia pure a fatica, arriveranno e saranno i giorni del riscatto civile di Vela con il Mastro e Vincenzo indubbi protagonisti.

In questo romanzo storico e di formazione, l’Autore ci regala una serie di personaggi di prima fila difficilmente dimenticabili: la figura tragica di Annina; il tenero Nicola, suo marito; Vincenzo, loro figlio; il Mastro;  zia Vittoria... Figure robuste e ben tagliate come gli oggetti che uscivano dal laboratorio artigiano di Mastro Andrea, personaggi ben definiti e coerenti nel loro agire, curati nella psicologia e nella vita interiore.

Una saga familiare mediterranea, questa di Beppe Calabretta, che rielabora vicende private, autobiografismo, motivi storici, ideali civili in un‘epopea paesana paradigmatica. Vela, i suoi abitanti, le loro storie racchiudono in sé i termini di questioni più larghe: un secolo di rapporti subalterni del Sud con lo Stato unitario dal punto di vista degli umili. Raccontano il brigantaggio, l'emigrazione, la Grande Guerra, il fascismo, il problema meridionale: il difficile, e ancora attuale, riscatto del mezzogiorno; la sempre complessa, e a volte dolorosa, relazione tra tradizione e modernità .
L’esistenza quasi secolare di Vincenzo riassume in sé tutti questi temi e la narrazione della sua vita ne offre una lettura complessa e contraddittoria, ma anche carica di speranza per un domani tutto da costruire e forse migliore.

Pagine meditate e probabilmente sedimentate a lungo queste del Mastro, il sigaro e la sedia di Beppe Calabretta, una delle sue opere più complesse e impegnative.
Il risultato è una lettura appassionante e un messaggio umanissimo e positivo da consegnare al pubblico dei Lettori.

Beppe Calabretta, Il Mastro, il sigaro e la sedia. Romanzo calabrese, Tra Le Righe Libri, 2015, pp. 240, Euro 15,00

29 settembre 2015

"Alma Mater" di Yuval Avital




di Maria Teresa Landucci


Installazione icono-sonora per una foresta di 140 altoparlanti, leggendarie etoiles del Teatro della Scala e merlettaie.

Una breve sosta nell'anticamera appositamente oscurata e poi via .... immersione totale in una foresta di suoni, luci, immagini.

Nella "cattedrale" della Fabbrica del Vapore a Milano, incubatore e fucina di creatività, hai l'impressione di calarti in un mondo al primo impatto sconosciuto. Sul pavimento del grande e suggestivo spazio architettonico, di archeologia industriale, una serie di cerchi, delimitati da orbite di luce mobile, si susseguono uno dopo l'altro,  evidenziati da elementi in terracotta.

Forme volumetriche perfette, sfere e cilindri, che fungono da diffusori di nenie, canti, racconti, favole e preghiere che si sovrappongono una all'altra, intrecciandosi ai suoni della natura. Lingue diverse, timbri di voce differenti, ma ugualmente femminili.

Al primo sentire ognuna sembra parlare una lingua propria, ma oltre il primo e superficiale ascolto i suoni paiono unirsi, fondersi in un'unica melodia. Voci femminili che sembrano nascere dalla terra, ma alimentate da una sorta di spirito ultraterreno (i diffusori di suoni sono globi o cilindri in argilla cotta o pietra, alimentati al centro del cerchio di luce, da un fascio di cavi elettrici provenienti dall'alto, dalla copertura della sala).

Nella navata del grande spazio-cattedrale, baricentro dell'installazione, quasi fosse un immaginario ombelico, tre anelli contigui, evocazione del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, tracciati sul pavimento tramite cumuli di terra. Simbolico legame fra passato, presente e futuro, ventre materno ed infinito cordone ombelicale. 

Mi stendo all'interno di uno dei tre anelli e mi lascio trasportare dal turbine di suoni, luci ed immagini di volti femminili che si alternano alle danze delle etoiles della Scala, Liliana Cosi e Oriella Dorella, proiettate in formato gigante, sulla facciata interna della cattedrale. Luogo di un immaginario altare, dove la bellezza non è artificiosa messa in scena, ma eleganza di movimenti e di corpi, che divengono danza e ricchezza espressiva di volti segnati dal tempo. Nessuna linea spigolosa, qui tutto è curvo e sinuoso, come a ricordare le forme femminili e avvolgenti, nell'abbraccio del ventre materno, luogo magico del concepimento e della vita.

 A margine della grande sala, nella navata sinistra, presenze femminili concrete: le donne dell'Accademia del Merletto a Tombolo, intente a lavorare ad un'opera d'arte fatta di fili e di infinita pazienza.  Il lavoro quotidiano che diviene performance d'arte, che tramanda e mantiene viva la perizia di queste donne.

Mi muovo fra le orbite di luce, ognuna all'occhio individuabile come un pianeta indipendente. Mi fermo, concentrandomi sulla miriade di suoni diversi che bombardano il mio orecchio, fino ad astrarmi dal luogo in cui mi trovo e percepire tali suoni come un'unica melodia, appositamente composta ed orchestrata. È questa la melodia della vita,  che rimanda al mistero che in ogni istante si rinnova, tramite la donna come motore e principio generatore, ma anche porta di ingresso di un ideale viaggio che dalle origini, attraverso il presente, ci conduce nel tempo futuro.

21 settembre 2015

"Non è che l'inizio" di Gianni Quilici





                  da "Lucca che vive" di Gianni Quilici
 Lettera di Andrea Appetito



Caro Gianni,
ho terminato da poco di leggere Non è che l’inizio. Grazie per avermelo inviato. Grazie per la fiducia.

Mi ricordo quando da un internet caffè qui vicino ti scrivevo e leggevo il tuo blog Gettare il corpo nella lotta

Nel protagonista del tuo libro c’è una disperata vitalità
Tutto è un’ipotesi
per usare una parola che ripeti più volte
Un’ipotesi di lavoro
Un’ipotesi di amore
Un’ipotesi di vita…

C’ è un’erezione continua che lo attraversa
Un’ipotesi di coito
spesso interrotto
alla vigilia di una svolta “epocale”
Quella del PCI
Alla vigilia di qualcosa che ancora non si dà o che sbuca appena
di corsa
come il bambino nell’ultima foto

Mi piace leggerlo come un’ipotesi di romanzo
senza freni
Spesso molto mentale spesso attraversato come scrivi da una voglia di manifestarsi così forte
da scomparire
una disperata vitalità nei rutti, nelle pisciate, nelle scopate, nelle fantasie erotiche o artistiche

Un’altra impressione: l’ho sentito  a volte autobiografico
non so se realmente lo sia
ma a volte si sente molto autobiografico
e come lettore a volte mi è sembrato di inciampare nel cordone ombelicale che lega il protagonista all’autore

Mi piace l’ipotesi di romanzo
il romanzo come ipotesi
cioè un coacervo di appunti poesie frammenti elucubrazioni voglie deliri fantasie erezioni

Il coacervo del protagonista però mi pare a volte troppo legato al suo autore

Il contesto
Lucca e i suoi vicoli le piazze che si aprono improvvise come certi desideri che affiorano al contatto o alla vista o al passaggio è una geografia provinciale che come lettore sento che ci sta bene addosso al protagonista

Il passaggio simbolico legato alla fine del Pci
è un contesto storico che mi aiuta come lettore ad amplificare il passaggio del protagonista dalla giovinezza all’età adulta (e tutte le sue resistenze…)

Forse come lettore mi è mancato un contesto più abbozzato
qualcosa di più sugli effetti
sulle vite
sulle relazioni di tutti i militanti di quel tempo
compreso il protagonista
che sta sempre
a parte
ma poi dice una cosa che sento molto tua
su quei comunisti che si sono sbrigati a definirsi non più tali
e che forse comunisti non lo sono mai stati
(condivido quel pensiero, un pensiero da gianni q di gettare il corpo nella lotta...)

 Ci sono queste tre righe che mi sono segnato perché ho pensato che più forte della caduta del Pci
Rimpiangeremo molto quel rumore
quel tonfo come scrivi che facevano un tempo le nostre lettere che cadevano nelle cassette postali
(come la lettera che lui scrive ad Eloisa… interessante nome  per un Abelardo che- piuttosto che evirato- è un’erezione permanente…)
“sento come un soffio
 la caduta leggerissima della lettera 
sul fondo della cassetta postale”

Ho apprezzato molto anche l’ironia che affiora nel “diario” del protagonista…)

Per quello che conosco e ho conosciuto gianni q
sento che la sua tensione è stata quella di corrispondere e creare trame

Oggi credo che la nostra battaglia culturale spesso invisibile e anonima
passi attraverso quella trama delicatissima e vitale
che dobbiamo tessere e ri-annodare pazientemente insieme

Perciò di tutti i predicati che usi nella postfazione qui ricopio quello che sento più urgente
Ri-creare

Andrea Appetito pubblica nel 2001 il libro "Cluster Bomb" per Altrastampa Edizioni (Napoli). Nel 2005 realizza "Quién es Pilar?", cortometraggio in co-regia con Christian Carmosino, selezionato in oltre 30 festival internazionali, riceve numerosi premi in Italia e all’estero. Nel 2007 un suo racconto "L’Eredità" viene messo in scena a teatro a Rio de Janeiro (Brasile) ed è tuttora in cartellone con oltre 80 repliche. Nel 2008 realizza  "L'ora d'amore" con Christian Carmosino, presentato in anteprima alla 3° edizione del Festival Internazionale del Film di Roma e vincitore di numerosi festival.



18 settembre 2015

“Orfanatrofio” di Francesco Zizola



di Gianni Quilici



Due sono gli elementi che spiccano e si fondono fulmineamente nello sguardo che posiamo su questa foto di Francesco Zizola; foto presente nel bellissimo libro Born Somewhere, che ha come soggetto l’infanzia vittima della povertà, dello sfruttamento e della guerra.

Il primo elemento: l’oscurità che avvolge quasi l’intera immagine; secondo: i volti di quattro ragazzi di un orfanatrofio somalo.

Questi volti sono  intensi, ognuno con una propria psicologia, evidenziata con forza dal primo piano: la dignità distaccata del più grande, la richiesta sofferta del bambino in basso, quella forse rassegnata del bambino sovrastante e infine soltanto l’indefinibile luce dell’occhio del bambino più piccolo.

Il buio che li avviluppa e le stesse ombre che si disegnano sui loro volti evidenziano e drammatizzano i loro primi piani. E’ uno di quei casi, in cui il vigore della forma diventa esso stesso contenuto e in cui non si può fare una netta separazione tra l’uno e l’altro, perché è nella loro simbiosi la potenza dello scatto.



Francesco Zizola. Baidoa. Somalia. 2000.   


12 settembre 2015

"Memorie dell’estate" di Emilio Greco




di Gianni Quilici

L'espressività di un culo snello e carnoso
Le braccia intrecciate sul capo come libertà o riposo
Il volto forse assorto e enigmatico
sulla via centrale di Tarquinia
 per gli occhi possibili di tutti.

Una scultura in cui la bellezza erotica,
in una contorsione plastica del corpo fluida,
è esibita, ma non compiaciuta,
anzi distaccata, allontanata
come se il senso della vita
fosse non in ciò che è immediatamente evidente
ma altrove,
in quel volto indecifrabile,
di una misteriosità pensante.

Emilio Greco. "Memoria dell'Estate". Tarquinia 1980.

11 settembre 2015

"Il Flauto Magico" di Mozart



di
                                            Simone Luti
Maddalena Ferrari

E’ stato davvero bello, il 16 agosto, ascoltare e vedere Il Flauto Magico nel cortile di San Micheletto a Lucca. La messa in scena di un’opera di Mozart, purché abbia alle spalle studio, amore e dedizione, ha sempre del miracoloso.

Questo allestimento, curato da AEDO- Accademia Europea dell’Opera,nell’ambito di un festival internazionale organizzato da University of Western Ontario e da Centro Studi Opera Omnia Luigi Boccherini, ha visto la partecipazione di giovani cantanti, che si sono avvicendati nel corso di tre serate ( due a San Micheletto, la terza al Real Collegio) ed anche nel corso di una stessa recita, su un nudo palcoscenico, sostenuti da una piccola orchestra coesa, sotto la direzione del maestro Simone Luti.

I movimenti avvenivano nella totalità della struttura ambientale, tra il porticato e il giardino, di fronte al pubblico, ma anche intorno ad esso, senza quasi scenografia; semplici costumi e oggetti che fungevano da segni o simboli davano riconoscibilità alle fasi del  Singspiel e, nonostante la povertà dell’impianto complessivo e alcuni tagli operati, la messa in scena ha restituito l’incanto della fiaba, una “favola per la ragione”, come recita il titolo del  bel saggio di Renato Musto e Ernesto Napolitano edito da Bibliopolis ( 1 ).

Nella rappresentazione, ben controllata dalla regia attenta di Mariano Furlani, molto suggestive sono apparse le apparizioni della Regina della Notte, interpretata da due cantanti, Amalea Lutsenko nel I atto e Laura Mackay nel II, che hanno dato spessore di terribilità al personaggio, rendendo le arditezze delle arie funzionali al ruolo e al momento; dal canto suo, l’ accompagnamento orchestrale ha saputo cogliere il senso di sospensione e di mistero avvolgente della partitura.
La scelta, giusta a mio parere, di mantenere la lingua tedesca per le parti musicali e di tradurre in italiano quelle recitate ha permesso di coniugare la fedeltà all’originale con la comprensibilità dell’intreccio.

I cantanti, dotati di belle voci, sia pure, quale più avanti, quale meno, in un percorso che necessariamente dovrà essere di maturazione, spinti dal desiderio di far bene e dall’entusiasmo, hanno dimostrato presenza scenica e abilità recitativa; hanno colpito soprattutto le due interpreti della Regina della Notte e Anthony Rodriguez,  scherzoso, lieve e dignitoso nei panni di Papageno.

(1) Renato Musto Ernesto Napolitano UNA FAVOLA PER LA RAGIONE – Miti e storia nel Flauto magico di Mozart