29 settembre 2015

"Alma Mater" di Yuval Avital




di Maria Teresa Landucci


Installazione icono-sonora per una foresta di 140 altoparlanti, leggendarie etoiles del Teatro della Scala e merlettaie.

Una breve sosta nell'anticamera appositamente oscurata e poi via .... immersione totale in una foresta di suoni, luci, immagini.

Nella "cattedrale" della Fabbrica del Vapore a Milano, incubatore e fucina di creatività, hai l'impressione di calarti in un mondo al primo impatto sconosciuto. Sul pavimento del grande e suggestivo spazio architettonico, di archeologia industriale, una serie di cerchi, delimitati da orbite di luce mobile, si susseguono uno dopo l'altro,  evidenziati da elementi in terracotta.

Forme volumetriche perfette, sfere e cilindri, che fungono da diffusori di nenie, canti, racconti, favole e preghiere che si sovrappongono una all'altra, intrecciandosi ai suoni della natura. Lingue diverse, timbri di voce differenti, ma ugualmente femminili.

Al primo sentire ognuna sembra parlare una lingua propria, ma oltre il primo e superficiale ascolto i suoni paiono unirsi, fondersi in un'unica melodia. Voci femminili che sembrano nascere dalla terra, ma alimentate da una sorta di spirito ultraterreno (i diffusori di suoni sono globi o cilindri in argilla cotta o pietra, alimentati al centro del cerchio di luce, da un fascio di cavi elettrici provenienti dall'alto, dalla copertura della sala).

Nella navata del grande spazio-cattedrale, baricentro dell'installazione, quasi fosse un immaginario ombelico, tre anelli contigui, evocazione del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto, tracciati sul pavimento tramite cumuli di terra. Simbolico legame fra passato, presente e futuro, ventre materno ed infinito cordone ombelicale. 

Mi stendo all'interno di uno dei tre anelli e mi lascio trasportare dal turbine di suoni, luci ed immagini di volti femminili che si alternano alle danze delle etoiles della Scala, Liliana Cosi e Oriella Dorella, proiettate in formato gigante, sulla facciata interna della cattedrale. Luogo di un immaginario altare, dove la bellezza non è artificiosa messa in scena, ma eleganza di movimenti e di corpi, che divengono danza e ricchezza espressiva di volti segnati dal tempo. Nessuna linea spigolosa, qui tutto è curvo e sinuoso, come a ricordare le forme femminili e avvolgenti, nell'abbraccio del ventre materno, luogo magico del concepimento e della vita.

 A margine della grande sala, nella navata sinistra, presenze femminili concrete: le donne dell'Accademia del Merletto a Tombolo, intente a lavorare ad un'opera d'arte fatta di fili e di infinita pazienza.  Il lavoro quotidiano che diviene performance d'arte, che tramanda e mantiene viva la perizia di queste donne.

Mi muovo fra le orbite di luce, ognuna all'occhio individuabile come un pianeta indipendente. Mi fermo, concentrandomi sulla miriade di suoni diversi che bombardano il mio orecchio, fino ad astrarmi dal luogo in cui mi trovo e percepire tali suoni come un'unica melodia, appositamente composta ed orchestrata. È questa la melodia della vita,  che rimanda al mistero che in ogni istante si rinnova, tramite la donna come motore e principio generatore, ma anche porta di ingresso di un ideale viaggio che dalle origini, attraverso il presente, ci conduce nel tempo futuro.

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