23 settembre 2009

"Socialismo e pace in Herbert George Wells" di Luciano Luciani




Inquietudini europee e romanzo utopistico

L’Europa di un secolo fa: inquieta, agitata, invelenita. Da una parte la percorrono formidabili movimenti sociali che dal basso rivendicano uguaglianza, giustizia, una vita degna di essere vissuta per milioni e milioni di uomini e donne da sempre mantenuti negli abissi della storia; dall’altra elites egoiste e gelose dei propri privilegi orientano verso i miti irrazionalistici della razza, del sangue, della potenza settori sempre più ampi delle classi medie. In un continente che conosceva già le asprezze della lotta di classe e la perenne tensione indotta dai nazionalismi e dagli sciovinismi, si consuma la rottura con il razionale e ordinato mondo del XIX secolo, mentre il XX si preannuncia cupo, ansioso, denso di motivi di allarme e preoccupazione: quella della Belle Epoque fu una società che visse inconsapevolmente su un campo minato” (P. Morand). L’Europa, rivelatasi capace di estendere il proprio dominio su tutto il pianeta forte di un modello politico e culturale senza precedenti, culla della rivoluzione industriale e di straordinarie innovazioni tecnologiche, era la stessa che preparava in maniera sotterranea la grande carneficina della guerra. In questo inizio secolo così angosciato non furono pochi gli scrittori che tentarono di definire in direzione del futuro alcune possibili vie d’uscita dalle angustie del presente. Forse è in questa chiave che si può spiegare la straordinaria fioritura che il romanzo utopistico, ovvero la uno straordinario mix di invenzioni letterarie tra fantasy, satira politica e allegoria sociale, conobbe lungo tutto il trentennio precedente lo scoppio del primo, grande conflitto mondiale.
Jules Verne e Theodor Hertzke, T. R. Stockton e F.A. Fawkes, Paolo Mantegazza e George Gissing non si stancarono in questi anni di battere i sentieri dell’avvenire, cercando, sia pure in chiave romanzesca, di diradarne le nebbie e individuare i lineamenti di un domani possibile e umano, oppure mettere in guardia contro una sua possibile disumanità.

Wells e il socialismo

Tra tutti coloro che si cimentarono con le tematiche avveniristiche, per consapevolezza filosofica, per passione argomentativa, per forza di stile e capacità d’evocazione spicca l’inglese Herbert George Wells, il celeberrimo autore della Macchina del tempo, 1895, dell’Uomo invisibile, 1897, della Guerra dei mondi, 1898, solo per citare i suoi libri più letti e famosi…
Ma Wells non fu solo uno scrittore amato e popolare: perennemente scontento del mondo in cui viveva, per quasi mezzo secolo, tanto si prolungò la sua produzione, cercò sempre di incitare gli uomini a cambiare, mostrando loro il male sociale e individuale e suggerendo sempre le soluzioni, anche pratiche, per una ricostruzione ragionevole del consorzio umano.
Operando in tale direzione Wells non poteva che riconoscersi e incontrarsi con le ragioni della pace e del socialismo, nella profonda convinzione che fosse assolutamente necessario rifare il mondo del suo tempo in termini di giustizia sociale e solidarietà tra gli uomini.
Dunque, Wells fu pacifista e socialista in quanto scrittore di fantascienza e romanziere della storia futura proprio in quanto socialista e pacifista. Lettore in gioventù dei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift , dell’Utopia di Tommaso Moro e delle teorie di Robert Owen, ancora studente era un assiduo frequentatore dei circoli della Fabian Society, ovvero quel movimento politico - culturale di orientamento socialista che era stato fondato nel 1883 da E. Pease; e dove si potevano ascoltare e incontrare economisti come Sidney e Beatrice Webb, il drammaturgo George Bernard Shaw, il poeta e pittore preraffaellita, William Morris, tra i primi a porre il problema del rapporto tra arte e industria. A sua volta autore di un romanzo utopistico, Notizie da nessun luogo, Morris criticava la prima grande globalizzazione nel segno dell’Impero britannico, il mercato mondiale e ipotizzava una Nuova Era postindustriale nei modi di un’Utopia sostanziata di lavoro onesto, buoni propositi e libero amore.
Insofferente nei confronti della monarchia, della chiesa e della morale corrente, socialista premarxista, ma non per questo meno appassionato e convinto della necessità di un profondo e radicale mutamento sociale, Wells si iscrisse alla Fabian Society nel 1903, ma, ben presto con l’ardore che sempre caratterizza i neofiti, assunse da subito un atteggiamento critico e polemico nei confronti dei vertici dell’organizzazione. Il romanziere, infatti, avrebbe voluto che i fabiani si dessero una struttura più solida, promuovendo vita a un’ampia campagna di reclutamento e aprendo sezioni in tutto il Paese: per Wells, uno scienziato prestato alla letteratura e alla politica, la Fabian Society avrebbe dovuto farsi promotrice di un socialismo di tipo nuovo, fondato sull’assimilazione delle scienze moderne e della loro applicazione alla soluzione dei problemi sociali.
Nel 1905 appare Una moderna utopia, pagine in cui Wells suppone la creazione di un ordine tra il guerresco e il religioso, i cui componenti, a metà strada tra i samurai giapponesi e sacerdoti zelantissimi, erano dediti al compito esclusivo di riorganizzare il consorzio umano e a vigilare sui suoi destini: per alcuni anni Wells tentò di ristrutturare la Fabian Society in questo senso. Le sue idee, in fondo, non erano dissimili a quelle di George Bernard Shaw e dei coniugi Webb, ma, come dichiarerà più tardi, lo scrittore si sentiva oppresso dall’idea fabiana di “socialismo amministrativo”: ovvero evitare ogni mutamento politico e, come causticamente affermava il romanziere, accostarsi furtivamente al socialismo. Contro questa prospettiva di un “socialismo che ha dimenticato cos’è il socialismo” mosse l’iniziativa di Wells contro la “vecchia cricca fabiana”, come lui la definiva, che, a suo parere, andava sostituita con nuovi dirigenti più aggressivi, più determinati. Di qui violenti contrasti, anche personali, con i “padri fondatori” della Fabian Society che favorirono il progressivo allontanamento di Wells da quella organizzazione, anche se per lui il socialismo rimase sempre il sistema sociale più giusto e razionale, la più moderna forma di umanesimo, la sola veramente conforme alle migliori qualità dell’uomo.

Wells e la pace

Altrettanto complesso e contraddittorio il rapporto dello scrittore inglese con la grande questione della pace e/o della guerra che si pose drammaticamente all’opinione pubblica europea nella terribile estate di Sarajevo. La guerra che metterà fine alla guerra, 1914, è il titolo del saggio wellsiano che verrà adottato come formula riassuntiva delle posizioni dell’interventismo democratico europeo, conferendo al conflitto un carattere antimilitarista ed emancipatorio. Ma Wells era troppo esperto della vita e delle cose per non rendersi conto che anche quella guerra, pur se combattuta con intenzioni di libertà, finiva per incoraggiare i peggiori istinti dell’uomo; ed era artista troppo sensibile per non cogliere le voci degli uomini che si levavano da entrambe gli schieramenti auspicando la cessazione di quello spaventoso massacro.
Così, nel 1915, dichiarandosi pacifista e insofferente nei confronti del militarismo, rifiutò di visitare il fronte di guerra europeo. Cosa che fece invece l’anno successivo, ricavandone un libro di impressioni e ricordi, Italia, Francia, Inghilterra durante la guerra, pubblicato nel 1917. Ma la fase del ripensamento intorno alle ragioni del conflitto è ormai avviata: nel 1916 appare Il signor Britling ci va a fondo, “il libro migliore, più coraggioso, veritiero e umano, scritto in Europa durante questa maledetta guerra” (M. Gorkij). La storia di un piccolo borghese inglese di mezza età che non lesina discorsi intrisi di patriottismo, scrive in favore delle guerra, si impegna sul ‘fronte interno’, convinto fino in fondo degli ideali che avevano portato centinaia di migliaia di giovani inglesi nel fango delle trincee di mezza Europa… Tutto questo sino a quando Hugh, il figlio del signor Britling, è richiamato, parte per il fronte e muore. Il lutto del protagonista si va così ad aggiungere a quello sempre più largo di un intero popolo, di tutti i popoli europei. Allora, le parole della propaganda si trasformano in vite umane, carne e sangue: un rilevante esempio di letteratura antimilitarista, “un libro forte, pieno di verità, commovente. Non solo il miglior libro di Wells, ma anche il miglior libro sulla guerra in generale” lo definì a caldo il “Chicago Tribune”.

Wells e la rivoluzione bolscevica

Quando nel 1917 scoppiò la rivoluzione russa, Wells l’accolse come un minaccioso brontolio di avvertimento alla classe dirigente inglese, incapace di avviare una seria politica di riforme sociali. “E’ necessario trasformare il nostro mondo prima che qualcuno possa distruggerlo”, questa la convinzione dello scrittore inglese, che, con grande onestà intellettuale, scelse di conoscere e confrontarsi col formidabile avvenimento della prima rivoluzione proletaria realizzata. Così, nel 1920 visitò l’URSS, ricavandone come al solito un saggio La Russia nelle tenebre, la cui morale era che solo il potere sovietico, prodotto da concrete ragioni storiche, poteva restituire la Russia alla civiltà. Wells non è certo un sostenitore dell’URSS, ma nelle sue pagine si ritrovano affermazioni come queste: “Quali sciocchezze non si dicono sui comunisti in Inghilterra ! Eppure sono persone uguali a noi e io, per natura ed esperienza personale, sono portato a provare nei loro confronti la più affettuosa simpatia”. Lo sguardo del romanziere inglese è sufficientemente lucido per comprendere che se gli uomini si incontrano col comunismo è perché “soffrono le ingiustizie sociali, l’ottusa insensibilità e la smisurata insolenza del nostro sistema, comprendono di essere umiliati e sacrificati e quindi cercano di abbatterlo e di liberarsi dalle sue morse. Non serve alcuna propaganda sovvertitrice per farli insorgere. Sono gli stessi vizi del sistema sociale, che li priva dell’istruzione e li rende schiavi, a generare il movimento comunista dappertutto dove sorgono fabbriche e officine”.

Poi gli anni della vecchiaia segnati dalla sempre più marcata convinzione che solo uno Stato mondiale, capace di prescindere dai confini nazionali sarebbe stato capace di unificare l’umanità contro le sfide della Natura. Visioni che sanno quasi di profezia e immaginazioni apocalittiche si alternano negli ultimi scritti di questo “libero cittadino del mondo nuovo”, che si spegne nel 1946 alla vigilia del suo ottantesimo compleanno.