28 gennaio 2010

"Piccoli smarrimenti quotidiani" di Titti Follieri


di Liliana Di Ponte

“La verità di ciò che accade nel seno nascosto del tempo, è il silenzio delle vite, e che non può essere detto (…). Ma è proprio ciò che non si può dire che bisogna scrivere”. Introdotta da una citazione di Maria Zambrano, la raccolta di racconti di Titti Follieri, Piccoli smarrimenti quotidiani, ci conduce in una dimensione nascosta e marginale di quella quotidianità in cui siamo immersi quasi senza rendercene più conto, così consueta da non sorprenderci più.

E invece all’improvviso, un frammento, un particolare ritagliato dal contesto attira l’attenzione, ed ecco la scoperta, “una sorta di epifania, lo svelamento dell’identità altrui e della propria”, come chiarisce l’autrice. In questo svelamento inatteso c’è lo smarrimento del titolo e il desiderio di raccontarlo, di scrivere, appunto, ciò che non può essere detto.

I sedici racconti sono distribuiti in due parti.
Nella prima, che coincide con il titolo, l’attenzione si sofferma sulla realtà esterna, per estrarne un’immagine, un dialogo, una situazione apparentemente banale, flash di vita raccontati in tono a volte realistico, a volte surreale, con venature ironiche. Centrali, nei rapporti interpersonali, i sentimenti, le sensazioni che intercorrono tra i vari personaggi, colti in un momento particolare del loro muoversi e collocarsi nel mondo.

Nella seconda parte, Dimore segrete, vi sono i paesaggi interiori più nascosti e una maggiore introspezione, sollecitata da una visione, da un sogno, dal sopraggiungere di ricordi che ricostruiscono, come in un puzzle, un’identità in crisi. La riflessione si fa più intima e approfondita e diviene consapevolezza.

Lo sguardo dell’autrice disegna dunque una movenza circolare tra esterno e interno, con un io narrante sempre diverso che osserva, riflette, racconta ed esprime il proprio punto di vista.
Può essere la visitatrice del racconto “La zia”, che assiste allo sgradevole monologo di una donna che si lamenta ad alta voce per il peso che le procura la gestione dell’anziana parente, che è presente ed ascolta.
Oppure è lo spirito di un cane, in “Attila”, che ricorda i luoghi e le persone con cui ha vissuto. O ancora, in “Volo d’angelo”, un misterioso interlocutore che si rivolge a una donna per raccontare, dall’esterno, la rivelazione di una parte rimossa della sua personalità.

Questa molteplicità dei punti di vista è un elemento che arricchisce la narrazione, la rende più vivace e induce il lettore a posizionarsi mentalmente in una prospettiva sempre differente.

La scrittura, il tono, lo stile che Titti Follieri adotta assecondano queste ottiche diverse, passando dalla descrizione apparentemente oggettiva alla riflessione più intima, dall’ironia più o meno marcata alla malinconia, dalla ricchezza immaginifica alla sobria essenzialità del raccontare.

Alcuni temi sono ricorrenti e creano il fil rouge che orienta nella varietà di situazioni.
Innanzitutto la relazione, tra le persone e con se stessi, presente in tutti i racconti. Ciò che le persone si dicono – e dunque si scambiano attraverso le parole – ma anche il non detto, i silenzi, i retropensieri, i fraintendimenti; oppure i comportamenti, i gesti compiuti per avvicinarsi o allontanarsi dagli altri, gli atti mancati. Ma anche la riflessione sulle proprie parole e sui propri silenzi, sul proprio modo di muoversi nel mondo, su quello che si era e che si è diventati.
Significativo, al riguardo, il racconto “Due donne”, con due amiche che s’incontrano in occasione della convalescenza di una delle due, ma non si ritrovano, per la diversità che ormai le separa.

Altro tema presente è la solitudine, esplicita o semplicemente evocata, ma quasi mai fonte di tristezza o di recriminazioni. E’ piuttosto un’occasione che è offerta ai personaggi per riflettere meglio sulla propria vita e sugli altri, una condizione che induce ad un acuirsi della sensibilità e a mettersi continuamente in gioco, alla ricerca di un’identità che non è data una volta per sempre ma è il frutto di un continuo lavoro d’introspezione. Come in “Gaie solitudini”, in cui due donne, che condividono una vita da single, si confrontano su due opposte visioni del mondo.

Un elemento frequente, soprattutto nella seconda sezione, è l’intreccio tra il presente, concreto e reale con le sue regole, e un altrove possibile, magari solo immaginato, sognato o desiderato come raggiungibile. Questo altrove è il luogo della riflessione, del sogno, del desiderio, ma anche del ricordo, che può essere fonte di piacere o portare con sé la tristezza, il rimpianto, la nostalgia per un tempo che non c’è più o per ciò che non si è più.

Ancora altre tematiche si ritrovano nella raccolta: la bellezza dell’arte, capace di suscitare forti emozioni (“Caravaggio”; “Kandinskij”); la presenza della natura, come legame con la concretezza del vivere, con le radici, con la memoria; il percorso spirituale non come “pratica” sovrapposta, ma come modus vivendi.

Qualcosa, infine, accomuna un po’ tutti i protagonisti dei racconti, pur nella loro diversità: il desiderio di non lasciarsi vivere, di essere presenti a se stessi, di non dimenticare chi sono ora e da dove vengono, di intendere la vita come ricerca di senso.



Titti Follieri, Piccoli smarrimenti quotidiani, Arezzo, Zona Editrice, 2009 pp. 124, € 14,00.



Titti Follieri vive a Firenze. Traduttrice dal francese e scrittrice, collabora con diverse riviste italiane – tra cui “Poesia”, “Il Ponte”, “Testuale” – e straniere, con traduzioni, saggi, testi poetici e narrativi.
Ha pubblicato le raccolte di versi Dell’amore il sogno (1980), Switmagma (1985), Topologia di un mandala (1991), il racconto Un arcobaleno (con il pittore Stefano Turrini, Morgana 2000) e il romanzo La voce delle mani (Pendragon 2003).
Ha curato e tradotto l’ “Antologia della poesia contemporanea del Quebec” (Crocetti, 1999). Altri suoi scritti compaiono in numerosi volumi collettivi. (www.tittifollieri.it).