20 gennaio 2010

“A me stesso” di Oswald Spengler


di Gianni Quilici


Che tipo di recensione -mi sono chiesto- si può scrivere su questi appunti così personali?
La prima risposta è ovvia: cercare di tratteggiare la personalità di Oswald Spengler così come appare da queste note autobiografiche scritte tra il 1911 e il 1919, nel periodo, cioè, in cui lo scrittore tedesco era impegnato alla stesura del suo libro più celebre Tramonto dell'Occidente.

Il nucleo centrale di questi ricordi, aforismi e riflessioni è la solitudine, una solitudine estrema.
Scrive infatti Spengler: “Sono sempre assillato e tormentato da una paura indefinibile e sconfinata che mi impedisce il sonno... Ho paura a prendere in affitto un appartamento, di aprire una lettera, di scrivere qualcosa... di tutto ciò che è femminile, timidezza esagerata, ridicola... di ogni adulto, anche dei miei compagni di scuola...Incubi: l'orribile verme che allunga la testa fuori dal braccio. Paura della morte; lo strappo via. Subito, al suo posto, un'altra testa. E poi un'altra e un'altra ancora".

Questa paura ha una causa: “Ciò che sono diventato lo devo all'educazione sbagliata e mortificante di mio padre...l'infelice matrimonio di mia madre.. mia madre, sempre incerta... mai ci insegnò come comportarci. Lasciava che fossimo noi a trovare la forma e, se facevamo errori, ci biasimava, come se potessimo imparare da soli...”

In contrasto con questa paura nevrotica, immaginazioni di gloria, della cui irrealtà era, però, consapevole. Scrive: “ Insensatezza della mia vita. Fin da bambino la smania di essere Napoleone, grande uomo politico, statista, di modificare la carta geografica...ho sempre pensato che sarei dovuto diventare una specie di messia. Fondare una nuova religione del sole, un nuovo regno universale, un paese incantato, una nuova Germania, una nuova concezione del mondo...”

Aspirava più modestamente, anche, a orizzonti possibili: “...il desiderio di una abitazione solitaria, tre o quattro conoscenti, che sappiano tutti parlare di cose ultime... una fanciulla con un bel corpo, di buon umore, silenziosa e di buon carattere... Niente cani. Pochi libri...” Soprattutto ciò che lo angustiava era “la mancanza di compagnia intellettuale...di spiriti del mio stesso rango in grado di apprezzare e comprensivi...”
Da qui uno sdoppiamento: “...e, mentre parliamo, il mio secondo io che interviene: per l'amor del cielo non dire la verità, non dire niente di profondo, non verrebbe capito...”

Tutto questo lo capisce ma sente di non avere la forza di cambiare. “...Per un'intima viltà e debolezza, ho seguito il branco ingoiando e ricambiando i suoi scherzi insulsi, la sua filosofia piatta, le sue squallide visioni della vita... Ancora oggi non so spiegarmi per quale motivo mi manchi la forza di scuotermi di dosso queste persone...”

Infine convivono in lui un atteggiamento aristocratico (“ un uomo superiore”), che nasce forse da una condizione oggettiva (“il sordido popolo di letterati che bighellona scribacchiando...”) e soggettiva (l'isolamento), ed uno, invece, di compassione nei confronti delle persone più umili: “Quando vedo una vecchia entrare timorosamente in un negozio, o esaminare le merci esposte in una vetrina, oppure contare i soldi, vengo colto da un così tremendo senso di compassione...”.

La seconda risposta è più problematica e complessa e qui posso soltanto segnalarla: quali sono, cioè, le ragioni del contrasto profondo tra questo tipo di uomo debole e disperato e l'immagine completamente diversa che si ricava da Tramonto dell'Occidente? Vale a dire “l'uomo d'acciaio, dall'animo forte e del tutto ametafisico, che vede quale suo modello il Romano senz'anima, l'uomo d'azione che disprezza il Graeculus histrio artista e filosofo...” come scrive nella sua articolata nota il curatore Giovanni Gurisatti.

Sembrerebbe quasi che il suo pensiero politico-filosofico nasca da una illibertà, da condizionamenti, che sia, cioè, anche una rivalsa ad una condizione di frustrazione personale o un “voler essere” soltanto vagheggiato.

Oswald Spengler. A me stesso. A cura di Giovanni Gurisatti. Adelphi. Pag. 130. Euro 6.20.