14 ottobre 2012

"Parenti lontani" di Gaetano Cappelli




di Mirta Vignatti

Ho letto, dopo tanto parlare che se n'è fatto, “Parenti lontani” di Gaetano Cappelli. Be', devo proprio dirlo, una grande delusione. Chi era che pronunciava quel giudizio lapidario su “La corazzata Potemkin”, Paolo Villaggio? Ecco, userei la stessa frase tale e quale per questo romanzo (non certo per il film di Eizenstein).

Dopo un inizio passabilmente gradevole, in cui si comincia a descrivere la triste vicenda del protagonista rimasto orfano di entrambi i genitori in tenera età e allevato da una nonna severissima e intrattabile, la narrazione si perde in mille rivoli fatti di banalità e stereotipi e non si solleva da un registro sgangheratamente comico e insopportabilmente monocorde. 

Qualche scena felice volendo si potrebbe trovare, di quelle che sarebbero piaciute a un Samperi e che fanno subito pensare a “Malizia”, come quella del protagonista che ad appena 7 anni si mette a letto con la cugina già signorinetta, crogiolandosi nel tepore delle sue enormi tette. Solo che il romanzo di Cappelli è un continuo inanellare episodi e memorie di questo genere per ben 500 pagine, e credo che questo genere comico-triviale, senza variazioni e dilatato così a lungo, non possa non finire per stancare il lettore. 

Il rischio è infatti che tutta quella comicità pesante, ripetuta, da caserma, per ottenere la quale non si tacciono flatulenze, estenuanti attività onanistiche prima, frenetiche copulazioni poi (ma possibile che in quel paesino della Lucania tutti -uomini e donne- siano così assatanati e non pensino ad altro?) - finisca per trasformare il romanzo in un calco delle sceneggiature di quei film con Alvaro Vitali che fa l'arrapato cronico che guarda le bellone di turno dal buco della serratura.

 Insomma, un libro che ricorda pericolosamente quel clima pesante, volgare, “zozzo” delle barzellette a sfondo sessuale che si raccontano studenti brufolosi in piena tempesta ormonale o delle fandonie di cui usavano vantarsi i militari in libera uscita spacciandole per vere. Per non parlare di tutti i banali luoghi comuni che infarciscono la parte che si svolge negli Stati Uniti, una sequela di macchiette logore e davvero improponibili.

Rimane da chiedersi come Antonio D'Orrico abbia potuto scrivere in quarta di copertina: “Il Grande Romanzo Italiano esiste e si intitola Parenti Lontani. Lo ha scritto Gaetano Cappelli” (Le maiuscole sono di D'Orrico). Non dovrebbe bastare essere colleghi nello stesso quotidiano per abbassarsi a tanta piaggeria. Ne va della propria credibilità.

Gaetano Cappelli, “Parenti lontani” - Marsilio 2011.

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