09 ottobre 2012

Su tre romanzi di Carmine Abate




di Mirta Vignatti


Prima di proporre un commento dell'attuale e pluri premiato “La collina del vento”, ho ritenuto più opportuno recensire la precedente produzione letteraria dell'ottimo Carmine Abate, in modo da poterneevidenziare l'evoluzione sia della scrittura che della scelta dei contenuti.

La festa del ritorno

Nel romanzo “La festa del ritorno” (2004) l'autore ci descrive, con quel tanto di autobiografico che contraddistingue tutta la sua narrativa, un bellissimo rapporto padre-figlio, con tutti i nodi e le asperità dovuti alle lunghe assenze del genitore emigrato in Francia che il ragazzo soffre in maniera profonda.
 
La vicenda narrata prende le mosse dal momento della festa organizzata per il rientro del padre in paese e si sviluppa sul filo della memoria, con i vari episodi della vita del ragazzo vissuti in assenza del genitore che si intersecano con il tempo presente (la festa e i suoi momenti).

Il tutto in una Calabria rurale e silvestre e in particolare in una delle comunità “arbereshe” parlanti l'antico albanese, che arricchisce il libro di un clima arcaico-familiare e di un impasto linguistico in cui Abate recupera intelligentemente la lingua preziosa e relitta della sua infanzia e dei suoi antenati, e quindi della memoria come testimonianza.

Un libro apprezzato a suo tempo da gran parte della critica più titolata, che ha saputo ben vedere in Abate non solo una nuova e promettente voce del nostro Sud, peraltro già ricco di numerose e importanti figure letterarie, ma uno scrittore dotato di forte tempra intellettuale, che affronta la questione meridionale raccontando l'emigrazione senza retorica, la povertà di mezzi e strumenti culturali del popolo sottolineandone però sempre la ricchezza d'animo e di sentimenti e i saperi “altri”, e che dà vita alle lingue reali del popolo utilizzando uno stile espressionistico-letterario sulla scia di Vincenzo Consolo, non a caso uno dei suoi primi estimatori.
 
Il muro dei muri

Nella raccolta di racconti “Il muro dei muri” (2006), pubblicata da Abate prima in Germania durante gli anni trascorsi lavorando in quel paese e poi da lui stesso tradotto in italiano, l'autore ci offre una visione a tutto tondo dei nostri emigrati, con tutti i loro problemi linguistici e di inserimento, lo sfruttamento che hanno dovuto subire (anche da parte di connazionali che procacciavano mano d'opera in nero nei ristoranti e nell'edilizia), lo squallore di una vita vissuta in situazioni abitative improponibili, privi di qualunque conforto affettivo e dignità sociale. 

Abate comunque non indulge mai nel pietismo né cade negli stereotipi: semmai ci propone un'interessante lettura dell'emigrazione, fatta -come scrive- di gente con il corpo altrove e la testa ancora nel proprio paese: uomini divisi che sono e rimangono stranieri sia nella terra del lavoro che in quella d'origine, dove quando rientrano vengono chiamati dai paesani “germanesi”, avendo già acquisito comportamenti che li rendono non più riconoscibili agli occhi della comunità.

Gli anni veloci

Nel romanzo “Gli anni veloci” (2008), Abate riprende la sua verve narrativa costruendo una storia corale, ricca di personaggi attinti a piene mani dalla sua Carfizzi (provincia di Crotone) e con un io narrante che sembra ispirato al personaggio del film di Comencini “Un ragazzo di Calabria” (1987). 
E' un romanzo che potrebbe sembrare di formazione, adolescenziale, se ci si sofferma ai primi anni del giovane protagonista quando racconta i suoi primi innamoramenti, i suoi studi e la passione per la corsa, che poi lo porterà ad ottenere grandi risultati. Tanto più se la narrazione si arricchisce della presenza del cantante crotonese Rino Gaetano e se la protagonista femminile ha perso la testa per Lucio Battisti e le sue canzoni: insomma, un libro che avrebbe potuto scivolare nel banale della rievocazione nostalgicamente retrò degli ultimi anni '60 e degli inizi del decennio successivo (c'è anche la presenza di Pietro Mennea che si allena nelle stesse piste del protagonista).

 Invece Abate riesce a sviluppare la storia con occhio attento alle psicologie dei personaggi e al contesto sociale. La caparbietà e la testardaggine di Anna è memorabile, così come lo sono la perseveranza e la forza dei sogni di Nicola. La famiglia e il cibo hanno un ruolo fondamentale nell'economia del libro, come dev'essere quando si “racconta” dal di dentro il Sud. Il personaggio di Capocolò è struggente nel suo dolore nascosto, e tratteggiandolo la scrittura di Abate raggiunge esiti poetici e delicati.

E da sensibile narratore della sua terra e dei suoi mali, lo scrittore non può non toccare la problematica sociale e ambientale: i veleni dell'unica fabbrica del territorio, la Montecatini (poi Enichem), teatro di morte sul lavoro e -precorrendo quanto sta drammaticamente avvenendo a Taranto con l'Ilva- seminatrice di tumori e di morte a tempo per gran parte dei lavoratori e degli abitanti della zona. Pur se inserita in una struttura romanzesca “leggera”, la denuncia di Abate è coerente e necessaria, e prende spunto da situazioni reali. Per troppi decenni le popolazioni del sud hanno dovuto scegliere, per la loro sopravvivenza, tra l'emigrazione e un lavoro malsano per gli uomini e per l'ambiente. Credo che anche la letteratura debba farsi carico di queste tematiche e denunciare i mali e le storture di uno sviluppo discutibile sotto ogni punto di vista; questo ruolo 

Abate se lo è sempre assunto in piena coscienza e continua a farlo, come dimostra anche nel romanzo successivo “La collina del vento”.

Carmine Abate, “La festa del ritorno” - Mondadori 2004
Carmine Abate “Il muro dei muri” - Mondadori 2006
Carmine Abate “Gli anni veloci” - Mondadori 2008
 

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