30 giugno 2014

"Sesso, potere, cultura nelle Donzelline rinascimentali" di Luciano Luciani



 

di Cristiana Vettori

“Il lato oscuro della storia”  potrebbe essere il sottotitolo del libro appena uscito per le edizioni ETS, Le donzelline – Donne d’amore nell’Italia rinascimentale di Luciano Luciani.

Il libro, ci dice l’Autore, nasce da un fortuito incontro con la biografia di una poetessa rinascimentale che dell’arte del sesso aveva fatto la propria principale attività, appena nobilitata, sembra, da un parallelo esercizio dell’arte letteraria nella quale, però, non si mostrò tuttavia all’altezza della prima. In contemporanea, le rivelazioni sulle esuberanze di un nostro ex ex ex premier: dunque la storia si ripete, o meglio Nihil sub sole novi, è l’osservazione che affiora spontanea alla mente dell’Autore, insieme con il desiderio di approfondire un argomento spesso taciuto e volutamente dimenticato, e invece interessante nella storia del costume e della vita quotidiana dei secoli passati.
E dunque Luciani passa in rassegna vari usi e costumi dell’erotismo cinquecentesco, a partire da quelli che si praticavano nelle cosiddette stufe, ovvero i bagni pubblici, ufficialmente stabilimenti termali, che godevano di una fama equivoca ed erano gestiti da professioniste del sesso ormai troppo anziane per esercitare la professione attiva: ne riconobbe la funzione come luoghi di convegni amorosi già Boccaccio nel Decamerone, nella novella in cui si racconta la storia di Iancofiore, sagace avventuriera ciciliana, e Salabaetto, ingenuo mercante fiorentino di pannilana.

Al lupanare, o ad altri luoghi simili sia pure coperti da un velo d’ipocrisia, come appunto le stufe, si riconosceva comunque un’importante utilità sociale, come quella di porre un vincolo alla violenza contro le donne e un freno ad una sregolata attività sessuale considerata peccaminosa anche all’interno del matrimonio se non finalizzata alla procreazione.

La stessa Chiesa cattolica, pur contraria ad ogni manifestazione sessuale, che era considerata immorale e viziosa, tollerava in qualche misura il sesso mercenario, riconoscendo la funzione di male minore alla prostituzione e alle sue protagoniste, soprattutto se concentrate nel lupanare, regolato e controllato.

Gli uomini di Chiesa del resto non erano estranei ai richiami della carne e al vizio della lussuria tanto che la maggior parte di loro non rinunciava a ricorrere ai servizi delle cortigiane, come ricordano i cronisti dell’epoca: non per niente nella Roma rinascimentale, grazie alla presenza di molti celibi nella città sede della corte pontificia (oltre il 60%), la prostituzione era un’attività fiorente e prospera. Accanto a Roma, anche Firenze  e Venezia, potevano farsi vanto di un simile florido commercio, che Luciani ci fa conoscere con una ben documentata analisi delle fonti, quali cronache, detti e storie popolari, epistole, opere letterarie. Non mancano approfondimenti e interessanti notazioni sul resto d’Italia: Genova, che obbligava le prostitute a vestirsi di giallo per distinguersi dalle donne per bene; Viterbo, che conobbe il primo tentativo di regolamentazione delle prostituzione nel XIII secolo; Perugia, che aveva istituito una tassa per sostenere le spese del postribolo; Lucca, a cui va probabilmente il primato di avere istituzionalizzato la prostituzione dopo la terribile pestilenza del 1348; Pistoia, in cui il lupanare era concesso all’incanto e aveva sede in luoghi diversi a discrezione dell’appaltatore.

Ma chi erano le donzelline del Rinascimento? Alcune di loro, quelle frequentate da letterati e uomini colti dell’epoca, le cosiddette cortigiane oneste, secondo la definizione che ne diede Giovanni Burcardo, maestro di cerimonie di Alessandro VI Borgia, erano raffinate ed eleganti tanto nel vestire quanto nella conversazione: una di loro, secondo la descrizione che ne fece l’Aretino, conosceva a memoria Petrarca e Boccaccio “e infiniti e bei versi latini di Virgilio e d’Orazio e d’Ovidio e di mille altri autori”.

Luciani si sofferma a raccontare le vicende umane di tre delle più famose e celebrate “donne di piacere” dell’epoca: Tullia d’Aragona, bellissima incantatrice grazie all’aspetto fisico, alla voce morbida e ben intonata, e alla capacità di fare versi, che riuscì a strappare la lode di “vera regina” perfino a una lingua sferzante come quella dell’Aretino; Veronica Franco, autrice di uno dei rari canzonieri femminili del Cinquecento, animatrice del più raffinato salotto letterario di Venezia, più volte ritratta dal Tintoretto; Imperia, la più famosa cortigiana del Rinascimento romano, morta suicida perché innamorata di un nobile che non poteva sposare in quanto l’uomo era già legittimamente coniugato.

Accanto a queste cortigiane di alto livello sociale e intellettuale, un esercito di donne del popolo – lavandaie, cucitrici, tessitrici, fantesche, ambulanti – che non riuscivano a vivere del loro lavoro e cercavano clienti tra gli strati più infimi della popolazione per integrare i loro miseri guadagni, denominate le prostitute “da candela” in quanto indicavano la durata della loro prestazione con una tacca incisa nella cera, che corrispondeva a mezz’ora circa. 

La storia della prostituzione in età rinascimentale che Luciani ci racconta con dovizia di riferimenti letterari (facendoci scoprire tra l’altro come Niccolò Machiavelli fosse, oltre che il fondatore della scienza politica, anche un insaziabile frequentatore di bordelli) conferma, se ce ne fosse bisogno, la soggezione femminile al potere e al desiderio dell’uomo, sia nelle classi colte che in quelle popolari: e le vicende delle donne di piacere, anche quando non si concludono tragicamente secondo una delle più diffuse credenze dell’epoca, hanno, nel migliore dei casi, connotazioni tristi e malinconiche.

Alla fine, questo esteso e peculiare commercio fu sopraffatto definitivamente dalla diffusione del “mal francese”. Originaria del Nuovo Mondo, propagatasi in tutta Europa dapprima grazie ai  marinai, poi ai soldati degli innumerevoli conflitti che insanguinavano il vecchio continente, la nuova peste del XVI secolo prese il nome di sifilide da  un’opera del medico umanista Gerolamo Fracastoro, intitolata Syphilis sive de morbo gallico libri tres, in cui il protagonista, un giovane pastore di nome Sifilo, viene punito con questa nuova orrenda malattia per aver offeso il dio Apollo.

La diffusione della sifilide, che colpì tutti gli strati della popolazione  e all’inizio soprattutto le fasce più ricche e benestanti, determinò l’idea della malattia come punizione divina, mentre crebbe l’insofferenza verso la figura della prostituta che fu sempre più oggetto di misure vessatorie e discriminanti.

Lo spirito della Controriforma fece il resto: in ogni campo del sapere e del costume si dispiegò l’offensiva della cultura cattolica. Luciani tratta con un vero e proprio pathos la decadenza della grande stagione culturale del Rinascimento italiano sotto i colpi dell’Inquisizione e della diffusione del cattolicesimo tridentino. E per le “donzelline” il destino era segnato: “nella ‘casa delle ragazze’ si installò durevolmente il boia”, scrive Luciani citando J. Rossiaud. E così l’Europa fu intossicata per oltre due secoli da cacciatori di streghe, di eretici e lussuriosi, che per la coscienza europea dell’epoca appartenevano allo stesso mondo sacrilego e peccaminoso.

Un libro, dunque, di grande interesse ed anche di profonda umanità, quello di Luciani, in cui le vicende scandalose e dimenticate delle donzelline del Cinquecento vengono presentate sapientemente nel loro intreccio con la storia politica e del costume, senza moralismi, ma semmai restituendo dignità a persone e personaggi, all’insegna di quel detto che l’Autore stesso ricorda all’inizio del libro: homo sum: nihil humani a me alienum puto.

 
Luciano Luciani, Le donzelline Donne d’amore nell’Italia rinascimentale, collana Obliqui, Edizioni ETS, Pisa 2014, pp. 130. Euro 12,00


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