09 gennaio 2013

"I comizi di Nichi Vendola" di Davide Pugnana e Gianni Quilici




Vendola a Pietrasanta, foto di Gianni Quilici
 di Davide Pugnana
  
Mentre  ascoltavo Vendola nella filippica di Pietrasanta, ti confesso Gianni che ho felicemente peccato di dannunzianesimo, dimenticandomi per mezz'ora il terribile stato della politica italiana; lo scollamento tra le parole e le cose che sempre più ammorba il politichese; le logiche capitalistiche e le cosche di potere; il cinismo montiano; la scuola ridotta a brandelli - i tanti elementi sviscerati da Vendola -, e senza più schermi protettivi né filtri, mi sono colpevolmente abbandonato al morbido flusso oratorio, alla cortina iridescente delle metafore, all'inanellarsi delle frasi e degli aneddoti, all'habitus letterario di certe costruzioni, alle confessioni tolte dal suo vissuto.


Per mezz'ora mi sono colpevolmente disteso nell'estetica del discorso politico; per mezz'ora, mitigando l'incendio e gli sbreghi che il presente ci lascia sulla pelle; per mezz'ora accucciato dentro un fiume trasparente dal quale potevo osservare tutto il presente; cogliere ogni dettaglio, magari stupirmi di addentellati ai quali non avevo mai pensato; additare le leve storte; ma soprattutto un fiume in corsa verso la bellezza che, pur rimanendo nel letto del contemporaneo, me lo ha fatto dimenticare.


 Non so se sia gusto del paradosso, estetismo o demagogia; non so se un politico "vada ascoltato così", denudando l'orecchio di qualsiasi coscienza critica e non so neppure se ci sia un'educazione all'ascolto del discorso politico, ché se andiamo a cercarla c'è una fenomenologia per tutto. So solo che l'eloquenza di Vendola mi ha fatto l'effetto della musica classica: ti siedi per un'ora, dimentichi il tempo, non senti lo sbigottimento della morte (della società, della religione, dell'arte, della politica) e stacchi col mondo pratico; o sai che si può narrarlo anche così, tirando fuori oro dal fango,come Baudelaire predicava al "pittore della vita moderna".



Caro Davide,

                   sai come mi ha detto un mio parente ideologicamente e politicamente di centro-destra? “Vendola? Parla troppo difficile, non si capisce”.

 Lo capisco, ma in realtà non è così. Vendola si capisce benissimo, perché prima di capirlo lo si percepisce. E la percezione è la prima facoltà di un processo di apprendimento.  E questa è una delle differenze tra il governatore pugliese e la stragrande maggioranza dei politici che occupano la TV.

Se poi “uno” ha avuto la possibilità di assistere ad uno dei suoi comizi, il mezzo in cui Vendola dà il meglio di sé, perché gli consente di concatenare ragionamenti fino all’invettiva o all’urlo di dolore, oppure di vederlo su You Tube, in uno dei comizi realizzati durante l’ultima campagna regionale, si scopre che il suo pubblico è fatto anche di “persone semplici”, che gli vogliono bene per ciò che riesce a trasmettere.

Ma c’è comunque un elemento di verità in quello che ha avvertito il mio parente, che però rovescerei in ciò che tu hai colto benissimo. Vendola ha uno stile, cura in modo accurato il linguaggio e la profondità dei suoi contenuti come prima di lui aveva fatto (e continua a fare) Fausto Bertinotti, e prima ancora Lucio Magri.

Per questo il tuo modo di ascoltarlo è più vero e giusto di quanti ne colgano soltanto o soprattutto i contenuti politici. Perché intrinseca nella cura del suo linguaggio, “in cui breve accensioni poetiche si accoppiano a precisioni tecniche, da professionista della politica” (1), è prorompente una questione estetica,  a cui Vendola, unico leader europeo per quanto ne sappia, ha dato e dà un risalto politico essenziale: la bellezza. La bellezza come uno degli obiettivi fondanti dell’agire politico.

Quindi: la bellezza in tutte le coniugazioni possibili. La bellezza del paesaggio nella sua armonizzazione con la configurazione di un quartiere, di un paese, di una piazza, di una scuola, di una strada, di un insediamento industriale. Oppure, per fare un esempio, invece, più esistenziale:  la bellezza delle parole e del pensiero, del parlare e del colloquiare, dell’ascoltare e del sentire, dell’ immaginare e del prefigurare.

La bellezza non come puro estetismo, ma come complessità di tanti elementi tra loro collegati, come cura e creatività, come sedimentazione della memoria e movimento, che cambia e ci cambia, che ci rende più aperti e fraterni.

Solo cenni questi, caro Davide, su cui alcuni pensatori hanno scritto pagine essenziali per un’antropologia politica nell’epoca della globalizzazione e dell’informatizzazione, ma su cui la politica e i politici poco o nulla si interrogano. Tranne Vendola ( e pochi altri) appunto.  
                                                   Gianni Quilici       



1. Lidia Ravera  in “La vita che vorrei” di Nichi Vendola e Lidia Ravera. Dino Audino Editore. Pag. 7.

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