12 gennaio 2013

"Sogni di sogni" di Antonio Tabucchi



di Gianni Quilici

                 Sono dei racconti, che, immagino, devono aver creato felicità a Antonio Tabucchi via via che li realizzava. Come enuncia il titolo, infatti, sono racconti di sogni. Sogni di sogni, perché a realizzarli sono artisti, ed anche Dedalo lo è nel suo essere mitico, che oltre a sognare ad occhi chiusi hanno sognato ad occhi aperti.
 Li trascrivo, perché l’informazione è essa stessa, in questo caso, un immaginario. E quindi Dedalo,  Ovidio, Apuleio, Angiolieri, Villon, Rabelais, Caravaggio, Goya, Coleridge, Leopardi, Collodi, Stevenson, Rimbaud, Cechov, Debussy, Toulouse-Lautrec, Pessoa, Majakovskij, Garcìa Lorca, Freud.

                La felicità che intravedo in queste pagine nasce da un’immaginazione spesso mirabolante ( ho pensato, a volte, a Collodi) con un’ aggiunta, in questo caso, decisiva: questi sogni sono legati ad una conoscenza profonda di chi li ha fatti. Rappresentano folgorazioni dell’inconscio: ossessioni e felicità, situazioni esistenziali e destini specifici. Essendo sogni non hanno la linearità cronologica, ma sorprendono per i continui mutamenti spaziali e narrativi, che rovesciano, stravolgono, illuminano. E’ questa capacità di lavorare visivamente sull’inconscio che consente a Tabucchi di raggiungere due risultati: fornirci un ritratto profondo dell’autore sognante e darcelo attraverso racconti liberi da inquadrature didattiche e pedagogiche, immersi, al contrario, nell’imprevedibilità degli istinti storicamente determinati.

                I sogni sono tutti di buon livello e alcuni  forse sono “piccoli capolavori”. Penso ai sogni di Apuleio, Angiolieri, Stevenson, Majakovskij, Garcia Lorca, alla bellissima chiusa di Rimbaud.
                
               Prendiamo, per esemplificare, il sogno di Majakovskij. 3 aprile 1930, ultimo mese di vita del poeta. Da un anno sogna di trovarsi sulla metropolitana di Mosca, ha sempre amato la velocità, il futuro, ma ora ha l’ansia di scendere e rigira un oggetto che tiene in tasca. Una vecchietta ha paura di lui. Ma io sono solo una nuvola, la rassicura. Scende alla prima stazione, va alla toilette, tira fuori il pezzo di sapone che aveva in tasca, ma non riesce a far andare via lo sporco dalle mani. La polizia politica lo vede, lo ferma, lo perquisisce, trova la saponetta, lo porta al tribunale sotto la stazione e lui viene condannato seduta stante alla locomotiva, perché colto in flagrante delitto “portava in tasca l’oggetto della sua losca attività”. Viene spogliato e vestito di una blusa gialla, portato su una locomotiva sbuffante con un boia con il cappuccio e uno scudiscio, attraverso immense campagne e pianure e viene costretto a recitare versi di celebrazione e di retorica, mentre la gente, distesa per terra con i ceppi ai polsi  alza i pugni e lo maledice e maledice sua madre. “Allora” termina Tabucchi “Vladimir Majakovskij si svegliò e andò in bagno a lavarsi le mani”.

             Un sogno terribile, che rappresenta un’epoca e una condizione, con un finale secco come conseguente continuazione del sogno, un sogno la cui simbolicità è più realistica della realtà stessa.  

Antonio Tabucchi. Sogno di sogni. Sellerio editore Palermo. Pag. 86.       

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