09 gennaio 2020

“Su una foto di Paolo Pellegrin” di Gianni Quilici



Guardo senza sapere chi siano questi giovani, dove si trovano, in quale situazione e perché. Li osservo come se fossero un quadro, una pittura, una creazione non necessariamente frutto di una realtà precisa.

Centrale il giovane con tatuaggi scolpiti sul corpo, le labbra strette, gli occhi obliqui ed abbassati come se contemplasse un pensiero doloroso o l’impossibilità ad agire.
 Intorno a lui gli altri: volti o occhi soltanto, nel chiaro- scuro della luce, a formare un gruppo, stretti l’uno con l’altro, che lo sfondo completamente scuro evidenzia con nettezza. Con un dettaglio felice: la  mano con unghie bianche, che si posa leggera sulle spalle del giovane.

In questo contesto colpisce il tipo di inquadratura: trasversale, che dalla ragazza sulla sinistra sale fino al quarto giovane tagliandogli volto, occhio e spalla.
E’ uno scatto frettoloso? Paolo Pellegrin ha colto al volo un’immagine che sarebbe stata altrimenti persa o la sua è stata una scelta?
Quale che sia la risposta, il risultato espressivo dell’immagine è forse  più convincente   di uno scatto realizzato a regola d’arte.  Perché l’inquadratura dà mobilità ad una situazione fisicamente statica, ma psicologicamente drammatica.

Ma dove ci troviamo e in quale situazione non sono riuscito a scoprirlo navigando sul web. L’unica fatto certo è che questa fotografia è la copertina di un libro sulla Cambogia. In quale attimo e contesto resta ancora da scoprire e , in questa situazione, certamente può risultare importante. 

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