07 febbraio 2020

"Le parole la notte" di Francesco Biamonti


di Emilio Michelotti

Impressioni fugaci da una prima, sommaria lettura.

                                        Da nebbia purpurea spunta la luna. Rossa
                                                  come un sole d'un malato tramonto.
                                                  “E' l'ora, andiamo!”. La cengia sale il costone:
                                                  roccia soffusa di biancore rosato.
                                                  Mirti, elicrisi, lentischi, olivastri che, sfiorati,
                                                  rilasciano odore l'oltremare.
                                                 Come occhi lucenti brillano nella macchia
                                                 puntini che spiano chi passa.

                                                Dal pianoro si vede la costa, tappezzata
                                                da piccole luci. Bagliore lunare rivela un confuso orizzonte,
                                                lontano. Lo spazio ci accoglie: fronde appena mosse
                                                da brezza marina si chiudono sopra di noi.
                                               
                                                Da est bagliori d'incendio. La luna, attonita, un poco
                                                svanisce. La volta del cielo è viola, verde smeraldo
                                                il disco lunare lancia aghi di gelo. Ali si alzano
                                                in volo silente, mentre, là in fondo, coagulano
                                                miraggi azzurrognoli: Gorgona, Capraia e
                                                il lungo profilo corrusco di Corsica lontana.
                                                Nelle mie mani l'odore di lei: “che parola daresti
                                                all'inedito giorno che nasce, adorazione?”
                                                “No, rimpianto”.
                                                                                               Pseudo Leonardo

La vita, sorta dall'abisso, nell'abisso ritorna. Chi lo pensa è stanco, impaurito, non riesce a vedere nessuna verità nel mondo che nasce. “L'odio che non dimentica cade a goccia goccia sul cuore e lo rende simile al deserto”. Pensieri nichilisti, eppure solidali con una terra aspra ma dalla bellezza struggente e con i “clandestini” che, traumatizzati dal distacco e vissuti senza aver conosciuto la morte di Dio, passano ogni notte in quella zona di frontiera verso la Francia.
Vaivara, Argela, Beragna, Sultano, piccoli borghi aggrappati a roccioni a picco sul mare, nascondono scheletri nei pozzi e nei burroni, ospitano agenti dei servizi, trafficanti di droga, reduci dalle guerre coloniali, intellettuali disperati e alla deriva.
 

La lingua di Biamonti è trasognata, visionaria, allucinata, vertiginosa. Dà sgomento, è fremente come per una passione a lungo trattenuta. Ho conosciuto persone che parlano in questo modo, che poi è il modo del protagonista alter ego di Biamonti, Leonardo, e dei vecchi rimasti nei casolari di alta collina. (Un altro era mio zio Florindo: mezzadro, appena alfabeta, solitario, parlava una lingua ricchissima, metaforica, trasversale, ammiccante, quasi poetica).
 

Tutti, in quel mondo precario, sono “passanti nella notte”. Ci sono Corbières, ufficiale francese tornato sul luogo ”conquistato” nel '45, De Ferri, un personaggio da “montagna incantata”, suo figlio adottivo Daniele – intrigato con la malavita – Luigi, un parricida che vive braccato anche da se stesso, Alain, pittore in crisi artistica ed esistenziale. Poi le donne: la moglie del pittore, Veronique, bella, enigmatica, algida ma ossessionata da una ricerca vana di sesso e di piacere; come Carla, la conturbante barista di un precario locale, che si dà a chiunque abbia voglia di lei, Astra, Sara e le altre che hanno escluso sesso e materialità dalla loro esistenza.
 

La terra è sostenuta da antichi terrazzamenti che stanno franando per incuria, incendi, temporali, siccità. I protagonisti, al pari dei quasi invisibili passanti notturni, sono “viandanti inceppati fra due mondi”, l'uno splendente di luce mediterranea, l'altro che è un altrove senza più né luci né ombre.
 

Corbiéres, comandante coraggioso e integerrimo, cercava un posto dove morire, una sorta di “austera Castiglia”, con fioriture di antiche coltivazioni di rose, profumi di zagare, elicriso e lentisco, ma attratto  soprattutto dal blu che “lievita nel fondo della valle e che è oblio e riposo”. E' un luogo dove le albe hanno un nitore dorato, ma le notti sono inquiete per sibili, fruscii, urla soffocate. I giardini custodicono una tenerezza alternata a crudeltà; puoi vedere api che muoiono dopo una straziante agonia e, alzando gli occhi, una via lattea splendente in un cielo più cupo d'un abisso. “Un fiore di mandorlo ha dentro del nero, per questo fiorisce con pudore”.




Francesco Biamonti. Le parole la notte. Einaudi.
                                

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