16 febbraio 2020

"Anche i Pisani sono esseri umani" di Luciano Luciani (7a puntata)



memorie autobiografiche
di malsicura pubblicazione

El pueblo unido jamas serà vencido.

I fatti, come è noto, si incaricarono di contraddire tale perentoria affermazione. El pueblo non solo fu vencido, ma pure pesantemente: con la durezza spietata che i potenti sono soliti riservare a quanti hanno osato ribellarsi, magari anche con un certo successo iniziale, alla loro autorità. Ai poveri di quel lontano Paese latinoamericano fu inflitta una lezione da non dimenticare che parlasse, e in maniera esplicita, anche alle altre genti del "cortile di casa": non si azzardassero ad alzare la testa, altrimenti gliela avebbe fatta abbassare il big stick nordamericano. Per piegarlo, il popolo cileno, si allearono le multinazionali del rame e i generali felloni, i reazionari, che anche in quel Paese non mancavano di sicuro, e le logiche  di dominio dell'imperialismo americano. Il presidente socialista Salvador Allende, legittimamente eletto attraverso libere elezioni, muore mentre difende la sua casa, il palazzo della Moneda, e quella di tutti i cileni. Le ultime foto lo consegnano alla storia che indossa un improbabile maglione da casa, un elemetto militare e imbraccia un mitra. Glielo aveva regalato Fidel sempre scettico, ma lungimirante, sulla correttezza democratica degli Usa.
Dopo la Cecoslovacchia di qualche anno prima, un altro colpo durissimo all'idea dell'autodeterminazione dei popoli: chi si ostinava a crederci non poteva che sentirsi più solo e impotente. Non fu una bella esperienza quella di dover ammettere già a venticinque anni che la storia, anche la nostra, quella che vivevamo ogni giorno con una straordinaria passione civile quale non ho mai più ritrovato negli anni successivi, assomigliava "sempre più a un mucchio di macerie e di speranze distrutte, deluse e infrante  che a una logica di progresso organizzata per tappe di superamento".

La prima giornata senza automobili della mia vita.

Ma quell'anno straordinario doveva ancora regalarci ancora un'indimenticabile intersezione tra la Storia grande e quella minore, se non minima, di ognuno di noi.
Accadde che in autunno l'Egitto attaccò Israele sul fronte del Sinai, mentre la Siria si faceva sotto nel Golan. È la guerra del Kippur dal nome della festa ebraica che si sta celebrando in quei giorni: dura solo 15 giorno e già il 22 ottobre le parti accettano un cessate il fuoco. Bene, viva la pace e tutto bene quel che finisce bene? Nient'affatto, perché la guerra avrà pesanti conseguenze per i Paesi industrializzati, in genere filoisraeliani. Strumento di guerra individuato come destabilizzante dai Paesi arabi, sconfitti sul terreno militare, l'aumento del 70% sul prezzo del petrolio, mentre ne veniva diminuita la produzione tra il 10 e il 25%. Ne derivò un pesante aumento del prezzo del greggio e già in novembre il governo di centro sinistra è costretto a varare una serie di misure piuttosto impopolari tese a contenere i consumi petroliferi: limiti di velocità su strade e autostrade; divieto di circolazione per le auto nei giorni festivi, cinema e teatri chiusi entro le 23,00, illuminazione pubblica ridotta... Si esaurisce un periodo di prosperità e inizia un decennio di stagnazione e disoccupazione diffusa e dentro quella piega presa dalla politica e dall'economia c'eravamo dentro tutti noi fino al collo e anche di più. Non ricordo se maturassimo per quella contingenza geopolitica la giusta preoccupazione. Certo è che nel filtro della memoria personale sono rimaste alcune immagini della prima domenica senza auto per risparmiare la benzina: una giornata luminosa e ventosa e tutti - tutti noi - a camminare sull'argine destro dell'Arno in direzione della corrente. Mete? Riglione di sicuro; magari Cascina, e perché no? Pontedera... E se le gambe avessero retto ancora, ancora più in là... Camminavamo in gruppo - pisani, calabresi, milanesi, romani - e parlavamo. Ad alta voce, perché quel silenzio strano, ignoto a tutti, di strade e piazze senza rumori di automobili, frastornava e un po' inquietava. E allora per spezzare quella tranquillità inusitata e strana, ci mettemmo a cantare. Intonammo un po' di tutto: Lucio Battisti, subito abbandonato perché si diceva che fosse un mezzo fascio; La canzone di Marinella e Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers, Amore che vieni, amore che vai di De Andrè e poi, a grande richiesta tante, tante canzoni di lotta: Ivan Della Mea, i testi arrabbiati del Canzoniere Pisano e del suo capofila Alfredo Bandelli, mentre Il pueblo unido jamas serà vencido degli Inti Illimani, il complesso folk cileno che non piacerà a Lucio Dalla, venne urlato a squarciagola nel tentativo di turbare la serenità domenicale indifferente di quella periferia pisana non più città e non ancora campagna. Incancellabile nella mente e nel cuore, allora come oggi, una sensazione - mai più provata in seguito -  profonda, struggente e lancinante al ricordo: di essere amici e invincibili, invincibili perché amici. Anzi di più: fratelli. Anzi di più ancora: compagni! E quindi immortali, eterni... Per cui Pinochet e fascisti di qui e di lì, Agnelli e Rumor, Nixon e Kissinger a noi ci fate una sega, anzi una bella sega!



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