11 marzo 2011

“La condanna” di Franz Kafka

di Gianni Quilici
Racconto scritto in soli due giorni nel 1912 e, come è riferito nei Diari e nelle lettere dall'autore, una tappa decisiva nella vita dello scrittore, perché per la prima volta è consapevole di essere tale.

Un giovane commerciante scrive ad un amico, che si trova in Russia solo e senza aver fatto fortuna, che si è fidanzato con una signorina appartenente ad una famiglia agiata. Informazione che ,fino ad allora, aveva taciuto.

Abbiamo nel racconto più fasi: dapprima questo soliloquio tortuoso del protagonista; tortuoso, perché basato su supposizioni che girano intorno a se stesse e che non si fanno scelta, movimento.
Poi troviamo il padre, vecchio e indebolito, che sta leggendo il giornale nella sua camera oscura, in cui un muro alto impedisce al sole primaverile di raggiungerla, di illuminarla.
Il padre che appare in un primo momento bisognoso solo di cura e di attenzione, inizia improvvisamente ad ergersi come un tribunale giudicante spietato e con mutamenti così sorprendenti da sembrare a volte delirante.
Tu non hai nessun amico... Conosco bene il tuo amico... Sarebbe stato un figlio secondo il mio gusto. Perciò lo hai ingannato!” E lo rimprovera con voce flautata di essersi fatto infinocchiare da quell'oca ripugnante della fidanzata, di aver profanato il ricordo della madre, di aver tradito l'amico e avere ficcato lui nel letto, perchè non si potesse più muovere. Fino alla condanna finale: “Eri davvero un bambino innocente, ma ancor più un essere diabolico! E perciò sappi ti condanno a morire affogato”.

Sarebbe fin troppo facile pensare che La condanna sia semplicemente la trasposizione narrativa del rapporto tra Kafka e il padre come evidenzia Lettera al padre (1919); così come è limitativo utilizzare una lettura esclusivamente psicanalitica di trasposizione del conflitto edipico.

Nel senso che il rapporto soprattutto con il padre ed anche quello sottilissimo con la madre sono evidenti, ma come causa ancora più profonda e conseguenza di questo c'è la colpa, la colpa di esistere e di errare. Una colpa che, in ultima analisi, risiede non nel giudizio del padre, ma in sé, in una coscienza, che si conosce e che non si perdona. Perché lui, il protagonista ha effettivamente e inevitabilmente, in una qualche misura, profanato la madre, tradito l'amico, emarginato il padre. La condanna del padre è anche la “sua” condanna.

Ma ciò che rende il racconto di Franz Kafka riuscito è nel saper scivolare da un realismo quotidiano ad uno visionario che diventa incubo; un incubo sul filo sottile tra una possibile realtà ed un possibile sogno.

Franz Kafka. La condanna da “La metamorfosi e altri racconti”. Traduzione di
Ervino Pocar. Edizione speciale per Famiglia cristiana su licenza Mondadori.

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