19 marzo 2011

"Albania: così vicina, così lontana…" di Luciano Luciani

Un pesante senso di colpa

Nel nostro paese l’Albania e il suo popolo non hanno mai goduto di buona stampa. Anzi, per essere onesti, a parte alcune eccezioni tanto più rimarchevoli quanto rare, non hanno mai goduto di una stampa quale che sia, se si esclude, un uso improprio e distorto delle notizie d’agenzia, in genere commentate in fretta e furia e di solito in maniera faziosa ed unilaterale: un atteggiamento che durante i lunghi anni della “guerra fredda” poteva forse trovare una spiegazione nella contrapposizione ideologica, ma che oggi dopo la riconquista della comunità albanese alle regole democratiche non dovrebbe davvero avere più motivo di essere.

Nei confronti di questo paese, vicino geograficamente e per corposi vincoli culturali – si pensi alle numerose comunità italo - albanesi, gli Arberesh, diffuse in tutta l’Italia centro meridionale – il nostro senso comune nazionale è ancora vittima di profondi sensi di colpa per le pesanti, storiche, responsabilità italiane nella subalternità di questa piccola nazione sulla scena mediterranea e internazionale.

Dall’Albania si doveva – forse si deve ancora – parlare poco, quasi ad esorcizzare il ricordo di quel lontano 7 aprile ’39 che vide le truppe dell’Italia fascista occupare le terre del “popolo delle aquile” e trasformarle in una sorta di colonia, sottoposta ad un regime d’occupazione e di italianizzazione forzata.

Dopo i Romani e i Normanni, gli Slavi e gli Angioini, i Bizantini e i Veneziani, anche il fascismo italiano ha cercato di mortificare l’identità nazionale degli ‘skipetari’, opprimendola con la forza delle armi, smembrandola in virtù di trattati iniqui, creando le condizioni per corrompere i costumi e imbastardire lingua e costumi. Un destino maledetto, questo, per gli albanesi, che sarà spezzato solo alla fine del 1944 da una lotta di liberazione tanto coraggiosa, intelligente, audace quanto poco nota.

Una pagina poco nota della Resistenza europea

Tra le pagine meno conosciute della lotta dei popoli europei al fascismo e al nazismo quelle della partecipazione alla conquista della libertà, agognata per secoli dagli albanesi, di una cospicua avanguardia costituita proprio dagli ex oppressori italiani.

Furono esattamente 1776 i soldati italiani che, all’indomani dell’8 settembre ’43, abbandonati dai comandi, privi di mezzi, incalzati dai nazisti con la consueta ferocia, scelsero di non arrendersi e di tenere viva la fiaccola della dignità nazionale nella lotta di liberazione in terra albanese. Da militari di un esercito invasore si fecero partigiani, mettendosi con umiltà, lungimiranza e coraggio al servizio di quel popolo che, solo fino al giorno prima, a causa della politica imperialistica del fascismo avevano contribuito ad opprimere. In questo modo, i fanti e gli artiglieri italiani, nella stragrande maggioranza dei casi soldati semplici e per la gran parte – ma non solo – toscani, fornirono uno straordinario esempio di solidarietà internazionalista: tanto più degno di essere ricordato, per quanto poco è conosciuto e valorizzato nel nostro paese, soprattutto in un momento in cui, purtroppo, sia nella ricerca storica, sia nel senso comune sembrano farsi strada preoccupanti umori “revisionisti” nei confronti di un giudizio storico, politico e morale sul fascismo che dovrebbe ormai essere tanto definitivo quanto negativo.

La partecipazione di queste centinaia di connazionali in divisa alla lotta di liberazione del popolo albanese smentisce poi recisamente un luogo comune diffuso e, purtroppo, accettato: quello per cui i soldati italiani all’estero, colti di sorpresa dall’8 settembre, non avrebbero saputo battersi e sarebbero stati capaci solo di un confuso e disordinato “tutti a casa”. Saranno proprio loro i protagonisti della epopea del Battaglione – poi Brigata, poi Divisione – intitolato significativamente ad Antonio Gramsci che si batté, con intelligenza e valore, sui monti del paese balcanico, per contribuire in maniera decisiva alla battaglia per la liberazione di Tirana dai nazifascisti nell’autunno di 64 anni or sono ( novembre 1944 ).

Pochi ma buoni, dunque? No, perché c’è anche un modo “estensivo”, “largo” di leggere la resistenza dei militari italiani in Albania. Quello che attribuisce un ruolo positivo, anche se più modesto, di opposizione allo strapotere tedesco pure a quanti, senza aderire alla lotta armata – spesso per motivi non dipendenti dalla loro volontà – rimasero sbandati per lunghi mesi in terra straniera condividendo i pesantissimi sacrifici imposti alle popolazioni civili e resistendo alla tentazione della resa e alle lusinghe dei tedeschi e dei collaborazionisti. In base a questo criterio più ampio si può far ascendere a circa 15.000 il numero di “quelli che non si arresero” e che svolsero compiti in qualche modo utili alla lotta di liberazione nei Balcani.

Dieci lucchesi

Foltissima la presenza dei toscani in questa nutrita pattuglia di combattenti per la libertà sotto la bandiera rossa con l’aquila nera albanese: tra questi dieci lucchesi.

I loro nomi?

Barsanti Antonio, Ghivizzano, 1921

Bertini Ernesto, Loppeglia, 1923

Bertocchini Dario, Lucca, 1921

Bulgarelli Giuseppe, Fornaci di Barga, 1919

Fortini Pietro, Vagli, 1912

Galli Renato, Lucca, 1917

Leonardi Ilio, Seravezza, 1911

Parrini Adolfo, Ruota, 1918

Quartaroli Gino, Porcari, 1923

Sebastiani Alfredo, Lucca, 1920

“Anonimi compagni”, protagonisti di una tra le più belle pagine della Resistenza europea, i cui nomi e le cui vicende generose rischiano oggi di scivolare via dalla memoria delle stesse comunità di origine, portate, in genere, a “smemorare” con facilità soprattutto fatti e personaggi dai caratteri diversi e difformi rispetto alla mentalità collettiva dominante.


Alfredo Sebastiani

L’ultimo dell’elenco, Alfredo Sebastiani, furiere del Battaglione Gramsci, è anche l’autore di un bellissimo diario delle imprese degli italiani inquadrati nei ranghi dell’Esercito di Liberazione Nazionale Albanese.

Lucchese di “drento le mura”, Sebastiani nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre seppe istintivamente schierarsi dalla parte giusta e pagò con la vita questa sua scelta: muore infatti tragicamente due giorni dopo la liberazione di Tirana, vittima di un’arma subdola, del cibo avvelenato lasciato con l’obiettivo d’uccidere dai nazisti in fuga.

Lo Stato albanese ha riconosciuto la partigiano Alfredo Sebastiani due onorificenze: URDARIN E TRIMERISE (ha combattuto con coraggio nelle file dell’Esercito di Liberazione Nazionale Albanese, è stato esempio di resistenza e di abnegazione donando anche la vita in lotta contro gli occupanti nazifascisti per la liberazione dell’Albania) e YLLI PARTIZAN TE KLESIT (si è distinto per l’audacia e per il coraggio dimostrato combattendo nelle file dei reparti partigiani durante la lotta di Liberazione Nazionale del popolo albanese contro gli occupanti nazifascisti finchè diede anche la vita).

Così scrive di lui il commissario politico di allora, il fiorentino Bruno Brunetti, in un suo commosso “ricordo di Alfredo”: “ Un ultimo partigiano caduto in Albania per la malasorte di un destino infame, il giorno stesso in cui avrebbe potuto assaporare la gioia della grande vittoria, dopo dieci duri mesi di lotta accanita al nazifascismo.

I compagni di lotta italiani ed albanesi gli resero le onoranze militari che meritava: si professava cattolico e credente ed il cappellano militare don V. Silo officiò il rito funebre. Una folla di connazionali, militari, civili ed amici albanesi lo accompagnò all’ultima dimora.

Fu sepolto nel cimitero cattolico di Tirana in un’area dove appena il giorno prima erano state seppellite le salme di una sessantina di italiani trucidati dai nazisti durante gli ultimi giorni della battaglia per la liberazione della capitale. Anche per loro Alfredo si era prodigato: per raccoglierli, identificarli e farne un elenco…Una delegazione di maestranze dei cantieri italiani della regione piantò sulla tomba una croce d’abete con una targhetta nella quale si leggeva: – Alfredo Sebastiani – Partigiano del Btg. A. Gramsci – Caduto per la libertà dei popoli”.





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