06 luglio 2010

"La vita mi parve" poesia di Bruno Lugano

di Gianni Quilici













La vita mi parve

La vita mi parve la prima volta un insieme di aurore,

mi parve un insieme di sere che passeggiavano insieme,

un'azione dietro l'altra nel cerchio di una quiete rosa,

un porgersi parole e spostarsi felice,

senza appuntamenti con amori o dissapori.

Sono tornato a rivederla così e mi è parsa più vera forse,

ma era solo l'inganno che ripassa per l'ultimo esame,

era la vita a cui era stato asportato l'eccesso di morte,

la prima fantasia all'ombra della prima malinconia.

1998 Bruno Lugano


“Chi è stato secondo te” chiedo a Maurizio Fatarella “il personaggio più conosciuto e emblematico della metà degli anni '60 a Lucca?” Maurizio ci pensa un po'... e risponde interrogativamente: “Lugano?”

In effetti Bruno Lugano incarnò fisicamente e ideologicamente il beat locale, che, come ha raccontato e documentato efficacemente Enzo Guidi, uno dei protagonisti, in “Breve storia del beat lucchese”, a Lucca si mosse, dal 1965, in contemporanea con Berkeley, Londra, New York ed Amsterdam, nettamente in anticipo su movimenti e gruppi similari in Italia.

Bruno Lugano ne fu, forse più di altri ragguardevoli rappresentanti, la più sottile provocazione fisica ed ideologica con la sua bombetta nera, gli occhiali alla John Lennon, lo sguardo ironico e distante vagamente aristocratico, il passo elastico e contemplativo, la lingua veloce e pungente.

Pubblicò negli anni '70, insieme a Enzo Guidi, Nello Cattalini e Iosko un (famoso) libro di poesie “Carconia” e poi sparì di netto dalla pubblica arena lucchese.

Ha continuato a scrivere poesie su poesie (addirittura 400 nel solo 2004), tra cui quella che potete leggere nella pagina “La vita mi parve”.

C'è in questa (breve) poesia uno degli aspetti più profondi della poetica di Lugano: lo stupore e l'incanto per la bellezza dell'esistenza. Il sorgere e ri-sorgere, la sera nel suo divenire , la quiete e la contemplazione, la casualità e la felicità, l'incontrarsi e i naturali contrasti.

C'è stupore e felicità in Lugano, ma anche l'estremo opposto, l'inganno: più che la morte come atto, “l'eccesso di morte”, tutto quanto, cioè, che nella vita si configura come estrema chiusura dell'orizzonte, della possibilità di speranza.

Una poesia prosaica, ma non naturalistica, perché fortemente metaforica. Qui la metafora è su cosa sia la vita: come pare, come è. Una poesia in cui c'è una forte e originale personalizzazione: la vita che diventa “ un porgersi parole”, o un insieme di sere che “passeggiavano insieme”... con una musica che accompagna lo scorrere dei versi, sottilmente dolente.

“La vendetta” di Agota Kristof

di Gianni Quilici


Venticinque racconti di Agota Kristof molto brevi, in alcuni casi, fulminei. Esprimono, come si scrive sul retro della copertina, “solitudini, alienazioni, fratture, perdite (...) con i toni del grottesco e del surreale”.

Tutto vero. Sono, vogliono essere metaforici,dicendoci “ciò che noi oggi siamo” ed “in che mondo terribile ed assurdo oggi viviamo”.

Qualcuno di questi racconti funziona, è efficace. Penso per esempio a Un treno per il Nord. Un villaggio non più abitato, una ferrovia che non funziona più. E' rimasta soltanto una scultura con un cane e un uomo. E poi un vecchio. Il vecchio dice di avere scolpito il cane e che baciandolo è rimasto impietrito a sua volta. Dice anche che sta aspettando il prossimo treno per il Nord, che non vuole essere accompagnato in auto, perché deve prendere il treno, lo aspetta la moglie con i bambini, che non è pazzo come si crede, che sa perfettamente di non esistere, che i treni da lì non possono più passare...

Ecco, in questo racconto, si ha un continuo stravolgimento tra possibile realtà e allucinazione, che nella sua ambiguità ha una risonanza metaforica, che ci colpisce, che rimane, che ci riguarda.

In genere però l'impressione è che la metafora sul mondo diventi ideologia, che non funzioni. Troppo lineare, senza movimento, come se l'assunto fosse un dato di fatto, una sorta di registrazione a priori.

Emblematico il brevissimo racconto che dà il titolo al libro nella versione originale: Fa lo stesso “C'est égal”.

Sono tre dialoghi flash. Ne trascrivo uno, quello finale.

- Che notizie mi dà?

  • Come stanno i bambini?

  • La ringrazio. Per ora di malati ce ne sono solo due. I più grandi vanno nei negozi, per riscaldarsi. E da voi?

  • Niente di particolare. Il nostro cane non sporca più. Abbiamo comprato dei mobili a credito. Ogni tanto nevica.

Sono dialoghi quotidiani senza desideri, casuali, intercambiabili, in definitiva senza anima. Ci dicono che così va il mondo, che, come dei sonnambuli, si parla senza davvero parlare, senza dare senso né alle parole, né alle persone, che dietro di esse sono. E' una trascrizione della chiacchiera del quotidiano che, oltre ad avere dietro di sé una vasta letteratura da Ionesco a Beckett, non ci dà (altro) che questa consapevolezza.


Agota Kristof. La vendetta. Titolo originale “C'est égal”. Traduzione di Maurizia Balmelli. Einaudi. Euro 8,00.



Opere tradotte in italiano

* Quello che resta (in seguito Il grande quaderno), Milano, Guanda, 1988.

* La prova, Milano, Guanda, 1989.

    * Trilogia della città di K. (Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna), Torino, Einaudi,

1998

* La chiave dell'ascensore. L'ora grigia, Torino, Einaudi, 1999.

* Ieri, Torino, Einaudi, 2002.

* La vendetta, Torino, Einaudi, 2005.

* L'analfabeta. Racconto autobiografico, Bellinzona, Casagrande, 2005.

* Dove sei Mathias?, Bellinzona, Casagrande, 2006.