21 maggio 2020

"Dedica" di Pier Paolo Pasolini a " Poesie a Casarsa"

nota di Gianni Quilici

 Dedica.

    Fontana di aga dal me país.

    A no è aga pí fres-cia che tal me país.

    Fontana di rustic amòur.       

   Dedica.

 Fontana d'acqua.del mio paese.    

Non c'è acqua più fresca che nel mio paese.

Fontana di rustico amore.

            

Si noti la sobrietà estrema del linguaggio, la sapienza consapevolmente sottile del sentimento graduato, scandito in tre versi essenziali.

L’invocazione nuda nella sua semplicità informativa del primo verso

sale nel secondo, in una affermazione orgogliosa ed anche intima come movimento di appartenenza che va da dal me país” a tal me país

per chiudere  in una vibrazione di rustic amòur, dove l’amore verso la fontana si allarga con quell’aggettivo “rustico” a quella società contadina, che Pasolini amava per la sua contraddittoria, arcaica autenticità.

 Una poesia che si sottrae, sottrae parole, le lascia implicite, nella loro nuda sincerità-

 Pier Paolo Pasolini. da La nuova gioventù. Volume Primo,   Poesie a Casarsa  (1941-43). Einaudi 1975.

 

 

 

19 maggio 2020

“Orson Welles” foto di Nicolas Tikhomiroff

nota di Gianni Quilici

Ecco Orson Welles con l’immancabile sigaro in bocca,  lo sguardo felino, il volto in profilo, colto dall’alto da un taglio di luce, una luce polverosa e fumosa, che lo illumina nel buio come un'essenza quasi divina, esaltandone la fascinosa imponenza statuaria. Uno scatto classico e moderno, che evoca altro, che va  oltre il naturalismo. Una foto straordinaria, oltre che per lo scatto in sé, anche per un’altra argomentazione.

Orson Welles non è stato, infatti, soltanto un artista per i grandi film realizzati, ma pure come  attore e per certi personaggi interpretati. Non sempre è così. Ci sono rilevanti creatori con sembianze, almeno apparentemente, da impiegati.

Orson Welles, soprattutto invecchiando, per la mole del corpo, per i suoi occhi penetranti, per la barba bianca fluente, è stato all’altezza dei grandi personaggi shakespeariani, gli Otello e i Falstaff,  che incarnano filosoficamente la tragedia  della grandezza e della miseria umana.

Nicolas Tikhomiroff (1927- 2016), fotografo di guerra e di moda, incontra Orson Welles nel 1962, tramite Anthony Perkins, sul set di Il processo. Inizialmente  il regista geniale e burbero guarda con diffidenza la presenza di un fotografo sul set. Ma dopo poco tempo Welles verrà conquistato dal lavoro di Nicolas Tikhomiroff e dalla sua umanità e tra i due nascerà una grande amicizia, che li vedrà insieme anche durante la lavorazione di Falstaff.   

 Orson Welles fotografato da Nicolas Tikhomiroff. Spagna 1962

 

 

 

"Cose nostre" di Pasquale Sgrò


                                                          

                                           Un'oscura saga familiare
                                       senza speranza di redenzione

di Luciano Luciani
                              
                                      Narrazione di una discesa agli Inferi, questo libro. La compiono, con tutto il loro carico di dolore e orrore, di attrazione e ripulsa, i due protagonisti: una giovane donna, bella e affascinante, e un uomo ampiamente adulto e già avviato sui sentieri malmostosi della maturità. I due non si conoscono, non si sono mai incontrati prima d'allora e abitano in distinte e lontane parti del mondo, addirittura agli emisferi opposti del globo. In lui, Francesco detto “Ciccio”, calabrese d'origine ma fattosi toscano per motivi professionali e familiari, agisce una memoria tenace e non pacificata di un'infanzia ormai lontana e difficile, segnata da non poche zone d'ombra; in lei, Giovanna, argentina d'origine italiana, opera invece un'ansia di memoria, una volontà opaca ma determinata di far luce sul mistero delle proprie radici lontane nel tempo e nello spazio: segnatamente la storia della madre, ormai morta da anni, una donna dagli occhi luminosi, colta dalla forte personalità, il cui ricordo ha saputo vincere la maledizione degli anni e i disastri emotivi dell'emigrazione. Meta comune del viaggio intrapreso dai due da due punti lontani del globo, un piccolo paese della Calabria interna, un tempo vivo e vitale, animato com'era da presenza di una vivace comunità contadina, oggi quasi deserto, spopolato, abbandonato dai più.

                                  Coprotagonisti due vecchi, entrambi malati e in punto di morte: Gavino, ricchissimo e chiacchierato imprenditore della capitale argentina, già a suo tempo connivente con i macellai in divisa di quello sfortunato Paese, e zi' Petru, zio Pietro, potente 'ndranghetista, un uomo duro e tagliente come la roccia, capo indiscusso dei poteri criminali della zona, rimasto per tutta la durata della sua esistenza abbarbicato a quel borgo dimenticato a fare i conti con i fantasmi di misfatti inconfessabili. Un quadrilatero all'interno del quale si sviluppano dinamiche impensate e capaci di illuminare oscure vicende del passato, sparizioni improvvise, scelte altrimenti incomprensibili, fughe e … ritorni. Rivelazioni capaci di cambiare il corso di esistenze già strutturate, ben definite, positivamente orientate. Sembra quasi che quell'anonimo paese della Calabria profonda si sia trasformato in un oscuro grumo intriso di Male: quello che nasce dalla brutalità familiare, dalla menzogna o dal non detto protrattosi per generazioni. E il prezzo da pagare, dopo decine e decine d'anni di silenzi, per tutti i nostri protagonisti sarà alto, molto alto.

                                Non nuovo alla scrittura romanzesca, Pasquale Sgrò - sua la fortunata trilogia dello ispettore Carlo Felicino, “eroe indagatore” viareggino impegnato sul fronte della sicurezza sul lavoro – governa con mano sicura una complessa macchina narrativa, fitta di storie individuali e familiari, mentre presente e passato si intrecciano tra loro in una complessa trama di azioni, reazioni, rimandi, ambiguità, equivoci... Lo aiuta una forma comunicativa fruibile, cordiale, leggibile e al tempo stesso capace ora di scavare con la parola dentro psicologie complesse e tormentate, ora portare realisticamente alla luce le motivazioni elementari della condizione umana: l'amore, la gelosia, il desiderio di vendetta, la violenza compiuta in nome di una malinteso senso dell'onore familiare. Maturate, come accadeva ancora nella seconda metà del secolo scorso e forse ancora oggi, in tante aree del nostro meridione in ambienti economicamente e culturalmente degradati. Meno felice, almeno a parere di chi scrive, il ricorso ad alcune convenzioni proprie della narrativa popolare e d'appendice, per esempio il meccanismo dell'agnizione che semplifica e impoverisce un insieme romanzesco che proprio l'Autore ha ha voluto denso, mosso, articolato, volutamente ricco di tortuosità e torsioni.

Pasquale Sgrò, Cose nostre. La rivelazione, editore Bookabook, 2020, pp. 310, euro 18,00






13 maggio 2020

“Giochiamo. Mi piace” a cura di Gianni Quilici

foto di Gianni Quilici

Gianni Quilici. Mi piace l'odore dell'erba appena tagliata, le vignette di Altan, i fagioli cannellini, la primavera di Vivaldi, i viottoli polverosi, lo sguardo di Buster Keaton, le noci, i dialoghi in Dostoevskij, scrivere su taccuini, alzarmi sui pedali in salita dondolando, Venezia con la nebbia, fotografare le donne, il gelato alla pinolata, essere accarezzato in ogni dove, stilare liste, correre seminudo, le lucciole nei prati di maggio

 Silvia Mafalda. Le fave al sughetto di pomodoro, le bambine coi capelli ricci, la cioccolata fondente, le sorprese di chi ti vuol bene, le sfide amorose, i cuccioli che escono per la prima volta a passeggio e ti leccano la mano, l'odore di certe sere, i porti di tutte le città di mare, i cimiteri ebraici, i libri ben scritti, i film di dialoghi che ti si appiccicano dentro e le colonne sonore che ti scombussolano tutta.

E i giochi. Quelli dove ti metti in gioco.

 Gianna Paladini.Mi piace il profumo di una particolare rosa che ricordo vicino alla casa della mia infanzia, mi piace camminare nel bosco,  il rumore del mare mosso, sentire il temporale rannicchiata nel letto, mi piace leggere, ascoltare musica, mi piace la cioccolata e vado pazza per gli abbracci...

  Nicoletta Tolu. Mi piace il sorriso dei miei figli, la voce di mia mamma, il ricordo della mano di mio padre, camminare a piedi nudi sull'erba, il mare, il vento nei capelli, il caffè con le amiche, la cioccolata fondente, i consigli di chi mi vuole bene, i fiori, i gatti, le persone che guardano negli occhi, il profumo dei libri, la musica, la semplicità, la gentilezza, la natura, un fiore che sboccia nel cemento, la determinazione, la speranza e l'ottimismo.

Pier Paolo Solinas.  ..l'odore dei libri appena comprati...l'incanto del cinema..il pane carasau..il profumo della macchia e del mare...tuffarmi... Baratti..la Sardegna...sentire la gioia di Marta nell'entrare nell'acqua a piedi nudi per poi spogliarsi e come una bimba farsi cullare dalle onde...viaggiare stando fermi..Chet Bbaker Coltrane Bill Wess e tanti altri...i cani i fiori la luna le stelle il buio della mia cameretta....l'amore delle e per le mie figlie...e un universo ancora...

  Franca Lazzarini. Aggiungo....il suono delle campane in lontananza...

 Brunella Da San Martino. Mi piace il rumore dell'acqua che scorre, gli abbracci di mio figlio, andare per musei, Venezia di notte, i sorrisi dei bambini, la cioccolata che si scioglie in bocca e il sole che entra dalla finestra al mattino.   

Patrizia Manganaro. Mi piace molto crogiolarmi al sole primaverile in queste giornate di lavoro perso, seduta sui gradini davanti alla mia casa leggendo un libro o semplicemente pensare con gli occhi chiusi, mi piacciono immensamente l'estate e il mare e ogni volta provo la stessa meraviglia nell'incontrarli, mi piacciono i miei ricordi, la luna di giorno e mi piace il giorno, guardare rapita le lucciole nella sera d'estate, le strade di campagna, mi piace cambiare idea quando c'è già un piano, mi piace che capiti qualcosa di improvviso che mi mette alla prova, mi piace misurarmi con me stessa a nuoto, mi piace buttarmi nella mischia, mi piacciono il jazz e il blues, la pasta al pomodoro, gli odori della cucina mediterranea, mi piace il Sud, mi piacciono i miei discendenti, mi piace la mia origine partenopea e mi piace il legame che sento con la Sicilia, mi piace Guttuso, mi piace Picasso, mi piace girare per i musei italiani e i siti archeologici e visitare le chiese, i paesaggi e tutto quanto di più bello e straordinario abbiamo da vedere del nostro Paese, mi piace la frutta più succosa e amo le piante succulente, mi piacciono i gatti e dormire con la finestra aperta e all'alba sentire gli uccellini cinguettare, mi piace la mia indipendenza, viva la libertà....  ·

 Anna Solinas. Che meraviglia questo archivio di felicità...

Catia Castellani. il profumo del sottobosco le viole il sole cocente il mio pane sfornato i sorrisi di mio figlio carezze e baci dati e ricevuti l'odore della carta il piacere del suono della matita su di un foglio guardare lontano in silenzio i canti di lotta sedersi in un prato mangiare un bombolone alla crema per strada il vaso dei narcisi sul davanzale

  Simona Vannelli. Mi piace il profumo dell'oleandro odoroso, l'odore dell'asfalto bagnato, il rumore delle onde del mare in tempesta, il richiamo degli uccelli notturni e delle rondini quando "mi fanno strada" durante le mie passeggiate. Mi piace leggere le poesie a voce alta con sottofondo di musica classica. Adoro i viottoli dei piccoli paesi e il suono delle campane della domenica. Il profumo di un dolce appena sfornato e delle pesche...amo l'eco delle valli...

 Rita Notte. E io amo il gelato alla fragola , il gusto amaro del caffè , il latte del mattino, il succo d'arancia, il pane appena sfornato. Passeggiare con Ulka, giocare con Romeo . Leggere le poesie , odorare le mie figlie. Dare il buongiorno agli uccelli , reclamare il mare e poi altro ...

Rossana Ciabattari. Amo guidare di notte, in strade deserte ascoltando musica, sentire mia madre che racconta del nostro passato, l'odore di torta alle mele che invade la casa, le passeggiate sul mare in inverno, il sole primaverile che scalda e non brucia, leggere sul mare alla sera, quando tutti vanno via, la fatica della salita in montagna e la soddisfazione infinita di quando arrivi in cima, la doccia dopo una lunga corsa, un libro di Carver sul divano, da sola, fotografare in città sconosciute, guardare l'orizzonte nel deserto, portare un fiore a Maurizio e tante, tante altre cose...

 Alessandro Sesti. Amo essere consapevole di vivere in salute.  .

 Sandra Tedeschi. Amo sentire le fusa del mio gatto, lo scorrere dell' acqua, sentire i rumori notturni della campagna per i quali mi sento privilegiata, adoro sentire raccontare storie, il fluire del respiro regolare, l’erba appena tagliata, annusare l aria, fare foto, cucinare

Giacomo Bini. Amo il mare, il frastuono della democrazia, le ciliegie, un sorriso spontaneo, una amicizia sincera, la musica, le risa dei bambini, le calde sere d'estate passeggiare nel bosco. Poi amo l'amore, in qualsiasi eccezione del termine esso si manifesti.

Luca Mancini. Il profumo del napalm al mattino, odora di vittoria

Adele Parrillo. Svegliarmi presto al mattino, il profumo dei garofanini, il cioccolato fondente, la carbonara, i libri di Houellebecq, i tacchi, le risate con le amiche del cuore. E innamorarmi.

 Dante Albanesi. Lo zucchero, Yves klein, la xenofilia, Wakefield, la videoarte, l'uguaglianza, the vitch, gli scacchi, i radiohead, i quaderni, i peperoni, Otto e mezzo, il numero 1,618033, Mondrian, la luce, kafka, i jeans, l'istruzione, Horcinus orca, i gechi, Freud, Eeugenio Montale, la democrazia, la cioccolata, Borges, l'alfabeto… .

 Tiziana Frediani. io amo la libertà amo poter dire come la penso amo questo mondo e la natura che ne fa parte ....ora abbiamo il tempo per assaporare quello che veramente è essenziale dobbiamo rivedere tutto il nostro sostentamento ed esserne in armonia

 Laura Maria Gabrielleschi. A me i versi di un poeta Erba fresca Il rumore del mare Cinema e sigarette Poi la sinfonia k 437 di Mozart e le pere di Cezanne  

Grazia Malerbi. Mi piace la montagna, i suoi colori e i suoi profumi . Mi piace il vento, dal refolo al ventaccio. Mi piace passeggiare, mi piace, a volte ,la solitudine. Mi piace chiacchierare e confrontarmi. Mi piacciono tante cose, mi piace il mondo. Ah, mi piace il gelato al pistacchio…

 Marta Lindis Giusti ...i legni sulla spiaggia, passeggiare per mano, la mia mansarda viola e gialla, camminare veloce, i gatti, le cenette a oceanomare, i viaggi con i miei figli e quelli di novembre, i treni, Parigi, Milano, la penna punta fine che uso per tradurre, le immagini che trasformo, i film che so a memoria, la mia strelitzia fiorita, il primo libro di Yolaine, gli haiku di Anne, Beethoven e Brahms, i papaveri di Monet, il color prugna, cucinare senza prodotti animali...il silenzio di questo tempo...guidare la mia twingo, Daniel Baremboim al Luzerrn Festival e il bagno nel lago..Bach...

 

            

10 maggio 2020

“Felice Gimondi sullo Stelvio” foto di Giorgio Lotti


di Gianni Quilici

                       Era il maggio 1965. Il Giro d’Italia affrontava la tappa forse più impervia: l’arrivo in cima al passo dello Stelvio, la famosa cima Coppi. Fu una giornata infernale: i corridori affrontarono la terribile salita, stretti tra un mare di folla, tra neve, freddo e pure la nebbia, ai 2000 metri. Una di quelle giornate epiche, che fanno del ciclismo lo sport più eroico e leggendario.

                    Ebbene Giorgio Lotti ebbe il colpo d’occhio e l’abilità di realizzare questo scatto di rara intensità, diventato famoso per almeno due ragioni.

                   La prima: è riuscito con una foto a simbolizzare il ciclismo nella sua profondità, là dove è costretto ad affrontare temperature proibitive lungo strade improbe. Uno scatto, va precisato, non casuale. Giorgio Lotti, infatti, restringe l’inquadratura in un primissimo piano, ingigantendo il volto nella sua essenzialità: gli occhi, le sopraciglia e gli zigomi cosparsi di  graffi, di spruzzi e di strisce di neve in una faccia scavata e imbrattata di polvere che sa di strada e che il bianco/nero della pellicola potentemente marca. E, come contrasto, gli occhi obliqui di immota fermezza, di chi ha appena vissuto uno sforzo tremendo, ma è saldo, non è stato travolto, come un antico guerriero.

                 La seconda: Questo volto è Felice Gimondi. Gimondi 23enne al suo primo Giro d’Italia, gregario di Adorni, che vincerà il Giro, e tuttavia arriverà terzo e che riuscirà, da predestinato, a vincere a luglio il Tour de France, pur avendo partecipato solo per sostituere all’ultimo momento un suo compagno. Da lì è iniziata una carriera ciclistica che lo ha imposto, forse, come uno dei più grandi ciclisti italiani del dopoguerra, dopo Fausto Coppi e Gino Bartali, pur avendo avuto la concorrenza del più grande ciclista di tutti i tempi: Eddy Merchx

 Felice Gimondi foto di Giorgio Lotti. Passo dello Stelvio. 1965

09 maggio 2020

“Lettere di giovinezza ad un’amica inventata” di Antoine De Saint-Exupery


di Gianni Quilici

Primo: sono lettere di Antoine De Saint-Exupery ( pilota-scrittore, autore de Il piccolo principe”) e sono inviate ad un’amica ipotetica, Rinette, inventata, a cui si rivolge con disilluso affetto,  mai idealizzandola. Anzi.

Secondo: sono lettere di giovinezza, non tanto anagraficamente, quanto psicologicamente, di chi fa vivere  la giovinezza. Ed è appunto la giovinezza che queste lettere suggeriscono nella loro candida e audace, solitaria e angosciosa, disarmante e sognante e utopica vitalità. 

Ad una lettura superficiale, infatti, possono sembrare un banale sfogo adolescenziale.
C’è al contrario un ininterrotto flusso: frammentario, sconnesso, contraddittorio, che si fa sovente racconto visivo, riflessione amara e pungente, critica e autocritica .

C’è l’intellettuale sottile quando sul trionfo del Bell’Eusebio scrive:
Non si deve imparare a scrivere ma a vedere. Scrivere è una conseguenza. Lui invece prende un oggetto e cerca di abbellirlo. Le parole diventano strati di pittura. Anziché liberare l’essenza, lui aggiunge ornamenti arbitrari
O ancora quando parla della differenza tra Pirandello e Ibsen.
Ibsen, scrive “ha cercato di fornirci un nutrimento e non un nuovo gioco della tombole” Pirandello “che è forse un grande uomo di teatro, ma che è stato creato e inviato sulla terra per distrarre la buona società, per permetterle  di giocare con la metafisica come giocava già con la politica, le idee generali e di drammi dell’adulterio”.  Condivisibile o meno, lo motiva  successivamente,  è comunque questo un giudizio interessante e ricorda ciò che scrisse Gramsci, quando considerava l’importanza di Pirandello più sul piano della sprovincializzazione della società che della creazione artistica.

C’è lo sguardo su se stesso, quando, dopo una lunga tirata,  osserva, quasi sorpreso:
Ho l’impressione di essere ridicolo. Mi fermo
E ancora più feroce un’autocritica:
Scrivo una lettera piano piano, per risvegliare, senza crederci troppo. Forse scrivo a me stesso”.
Sono monologhi, senza risposte, se non finte. Si percepisce, però, nello scrittore sempre la presenza immaginativa di lei.

C’è amarezza e stanchezza fino alla dissociazione e un briciolo di ironia come in questa splendida chiusa:
“Rinette, sono ubriaco di sonno, muoio di sonno, cado dal sonno. Ogni frase che dico sfuma in sonno e a lei non arriva che una faccia. E mi dispero di non ricondurre alla superficie niente di ciò che credo di dirle. Non sono più sicuro di essere a Casablanca. Non sono più sicuro della sua esistenza. Mi lasci andare a coricarmi o mi addormento davanti a lei e non sarebbe educato.
Rinette non ne posso più. Sono stato eroico a scriverle.

Ci sono infine  pagine narrative esemplari. La più penetrante è forse questa.
Ho avuto la certezza di morire come mai prima, neanche il giorno della caduta. Ridiscendevo di tre miglia quando ho sentito un colpo – ho pensato a un’avaria – e l’aereo ha cominciato progressivamente a non rispondere. Verso le due miglia avevo tutti i comandi spinti al massimo, più nessuna latitudine. Ho giudicato l’avvitamento talmente certo che con la stilo ho scritto sul quadrante in modo visibile “Avaria. Cercare.  Impossibile evitare caduta”. Non volevo essere accusato di aver perduto la vita per imprudenza, l’idea mi irritava. Ho guardato con una specie di stupore i campi sui quali stavo per abbattermi. Era qualcosa di nuovo per me. Mi sentivo sbiancare, irrigidire per la paura. Una paura senza fondo ma non ripugnante. Una co gnizione nuova, indefinibile.
Non si trattava di lesioni e ho potuto tenere fino a terra. Ma non l’ho creduto per un solo secondo. Quando sono saltato giù dall’aereo non ho detto niente. Ero sprezzante di tutto e pensavo che nessuno mi avrebbe mai capito. Almeno nell’essenziale. In quale mondo ero entrato con la frode. Un mondo dal quale non capita spesso di ritornare e descriverlo. E poi l’impotenza delle parole, come raccontare quei campi, quel sole calmo. Come dire “io ho capito i campi, il sole…”. Eppure è così. Per qualche secondo ho sentito nella sua pienezza la calma sfolgorante di quella giornata. Una giornata solidamente costruita come una casa nella quale mi sentivo a mio agio, dove stavo bene e dalla quale stavo per essere espulso. Una giornata con il suo sole mattutino, il suo cielo alto e questa terra dove si tessevano tranquillamente dei solchi sottili. Che dolce mestiere
Un flusso veloce di fatti e di pensieri: il guasto dell’aereo, l’irritazione e la necessità di lasciare un messaggio ‘non è stata imprudenza’, lo stupore della vita sotto di lui, la paura della morte, indefinibile,  la vita e l’impossibilità di raccontare questa giornata nel suo presente, come miracolo. In sintesi: la vita che viene assaporata nella sua bellezza stupefacente dopo una velocissima quanto profonda percezione della morte.   
Il finale della lettera  è forse ancora più poetico: la gratitudine verso gli spazzini e i vigili che incontra per strada, il desiderio di essere capito da lei, la solitudine di questo pensiero,  e inoltre più nulla: ne’ piacere, ne’ noia, ne’ pensiero se non il desiderio di stendersi e leggere Nietzsche “il mio cuore dove si consuma la mia estate, quest’estate corta, calda, malinconica e felice…” finendo con  Vorrei che condividesse questa passione con me ma lei non condivide granché”, un desiderio e la sua disillusione.

Antoine De Saint-Exupéry. Lettere di giovinezza all’amica inventata. Lettres de jeunesse  à l’amie inventée. Traduzione di Maria Cristina Marinelli. Il sole. Pag. 77.

07 maggio 2020

"Dobbiamo liberarci da . . ."



                                                             
                                                                 DOBBIAMO LIBERARCI DA . . .
  1. Una bellissima preghiera laica di un profeta inascoltato ( o troppo poco), PAOLO RUMIZ. Questa preghiera laica la rivolgo, ora, a voi.  Quindi,  di cosa dobbiamo liberarci?

 Gianni Quilici Dovremmo liberarci dal servilismo, dal narcisismo, dalla paura . . . scoprire l'avventura della libertà.

 Normanna Albertini ... dai bisogni indotti, dai desideri scambiati per diritti, dall'inconsapevolezza del nostro essere inermi e mortali.

 Daniele Lunardi Dobbiamo liberarci del timore della novità, dai conservatorismi e dai neoconcetti di consumismo, che ci hanno fatto dimenticare le nostre radici e perdere la nostra barcollante umanità

      Rita Notte Io sono libera da me stessa e dagli altri . Se dovessi liberarmi da qualcosa, mi libererei del perfetto

 Giacomo Bini ... dall'urlo nelle mani del femminicida, dall'opulenza di pochi che è fame dei molti, dalla cupidigia che sorda arma la mano dei soldati, dai manipolatori della realtà che spinge all'odio i popoli..

Tommaso Panigada Dal treno su cui siamo ancora, ma che è stato fermato dal freno d'emergenza tirato da persone "responsabili" a causa di questa pandemia.Liberiamoci dal disastro inevitabile che accadrà se la Storia riprende la corsa come prima..

Mariogiulio Guccione Tommaso Panigada il disastro continuerebbe in altre forme se la Storia,o meglio la storia degli uomini, riprendesse la sua innaturale e mortifera corsa. Ciao !   .

Stefania Cardone Dobbiamo liberarci dalla voglia del troppo, e del niente.Dall'incapacità di chiedere scusa, dal non perdonare gli errori altrui, perché siamo a volte noi stessi l'errore. Dalle corse a perdifiato verso orizzonti sfuggenti, dalla poca voglia di ammettere quello che abbiamo dentro, con indulgenza.Dobbiamo liberarci dalle persone che non donano carezze, liberarci dall'obbligo di ascoltarle.Liberarci dal non catturare i nostri pensieri in silenzio. Usare l'acqua per innaffiare il fiore che vorremmo essere.  

Cavalletti Massimo Dobbiamo liberarci di talmente tante cose che non so da dove iniziare.    

 Patrizia Manganaro Dobbiamo liberarci dalle aspettative solitamente mal riposte e spesso fonti di cocenti delusioni, oltre che generatrici di astio e rancore ingiustificati...dobbiamo liberarci da certe illusioni e restare con le radici ben piantate in terra in un continuo divenire di concretezza e fatti...dobbiamo liberarci dalla pigrizia e dalla indolenza e dall'idea fanatica e malsana che debba sempre e per forza pensarci qualcun altro al fare...dobbiamo liberarci dagli egoismi più profondi che ci attanagliano e dalla sempiterna paura di poter perdere qualcosa che oltretutto non è nostro, perché proprio nulla ci appartiene e ci è solo stato concesso in dotazione per l'arco delle nostre piccole esistenze da complessi di casualità e di personali fortunate capacità e quindi dobbiamo imparare a dare, a dare e a dare...dobbiamo liberarci della chiusura mentale e dell'impossibilità di ascoltare il prossimo e appropriarci invece della gratificazione dell'integrazione, col prossimo...dobbiamo liberarci dalle rincorse a certi status quo e andare avanti fieri e felici con le nostre nudità e con la naturalezza congenite nell'intimo nostro perché in ognuno di noi c'è della bellezza, della magnificenza.....   

Elisabetta Tuccimei mi voglio liberare dalle troppe domande su ciò che non può avere una risposta soddisfacente...eliminare i ma , i se e i forse . prendere la vita con semplicità e fiducia abbracciando la bellezza di ogni ora del giorno con i colori che la rendono sempre nuova e amabile 

 Giovanna Salvetti io mi accontento di poco  Vorrei liberarmi dai cancelli, mi proteggono, ma ormai sento il bisogno di evadere 

  Simona Fazzi Se dovessi liberarmi da qualche cosa butterei via? Qualche pezzo di me, qualche pezzo di te, qualche pezzo di lui, qualche pezzo di noi, qualche pezzo di voi, qualche pezzo di loro. Poi con i pezzi di scarto ci farei una statua e con i pezzi che restano proverei a farne un'altra. Poi chiamerei Salgado per fare una foto dell'una e dell'altra e le posterei qui ...