30 giugno 2010

"Moderato cantabile" di Marguerite Duras

di Gianni Quilici
Romanzo breve o racconto lungo di Marguerite Duras. Simbolico e onirico. Erotico e disperato. Infine poetico.
Un bambino che si nega davanti ad un pianoforte. Un'insegnante dura e ottusa, che pretende senza capire nulla. Una mamma dolce e umiliata... ed anche contemporaneamente una finestra aperta, la sera che cade, il rumore del mare, una nave da diporto, un grido di donna dalla strada, un gruppo di persone davanti ad un caffè....

Si saprà poi che una donna è stata uccisa, ma consenziente. Per passione.

Sembrerebbe una storia con un intreccio, l'inizio di un “giallo” o di un “noir”.
La storia c'è, ma senza importanza, molto sotterranea, poco realistica.
La storia ha come protagonista la mamma col bimbo, una donna dell'alta borghesia, desiderosa di vita ed invece imprigionata negli spazi e nei sensi.
Il caffè del delitto sarà il luogo d'incontro di lei timida, piena di sensi di colpa, e di lui, giovane operaio del porto; luogo in cui i due percorrono la storia dei due amanti e di quel delitto passionale, facendoli diventare strumenti di immaginario identificativo.
Marguerite Duras però evita il realismo psicologico e soprattutto la chiacchiera.
In primo luogo saltando le convenzioni e facendo entrare la coppia da subito dentro il pathos di sentimenti viscerali e forti: amore-sangue-sesso, che sfuggono al naturalismo e sono invece vicini a ciò che possiamo chiamare pre-conscio, senza tuttavia che la scrittrice li precisi, lasciandoli invece sospesi, carichi di indefinita visceralità, perché quella è e rimane la loro condizione.
In secondo luogo Marguerite Duras fa entrare simultaneamente, nella centralità di una scena, spazi, rumori, luci o altre persone secondarie, cogliendo questi segni nel loro veloce baluginare e facendoli interagire, in qualche modo, con i protagonisti.
La Duras appare come una direttrice d'orchestra consapevole degli strumenti che dirige ai fini di uno scopo ultimo: rappresentare una donna con il suo carico straripante di solitudine in una città piccola chiusa soffocante e conformistica. Questa solitudine rimane sospesa tra una realtà oppressiva (quella che lei vive e verso cui si sente impotente) e desideri profondi inespressi: forse il desiderio di amare e di essere amata. Da qui da questa impossibilità possibili fughe: l'alcoolismo (qui legato alla scoperta del vino) e un desiderio sessuale, che vira verso il sado-maso.
Moderato cantabile” si può configurare come un romanzo breve, perchè c'è una struttura (il rapporto della donna con una società, che si intravede sullo sfondo, quasi onirica); ma anche e soprattuto come poesia: oltre che per le ragioni già dette, per un progressivo chiudersi di orizzonti, di solitudine senza via d'uscita; ciò a cui il romanzo-racconto vuole tendere.
Chi lo volesse leggere deve tuttavia faticare, perché la Feltrinelli non l'ha più ristampato.
Da questo romanzo un film del 1960 di Peter Brook, sceneggiatura della stessa Marguerite Duras e di Gérard Jarlot con Jeanne Moreau e Jean-Paul Belmondo (vedi la foto) come interpreti.

Marguerite Duras. Moderato cantabile. Traduzione dal francese di Raffaella Pinna Venier . Feltrinelli.


Opere pubblicate in italiano di Marguerite Duras (1914-1996)
Il pomeriggio del signor Andesmas” (1962) “L’amante” (1985), "Il dolore" (1985), “Moderato cantabile” (1986), “Suzanna Andler” (1986), “Il viceconsole” (1986), “Testi segreti” (1987), “Occhi blu capelli neri” (1987), “La vita materiale” (1988), “Emily L.” (1988), “Il rapimento di Lol V. Stein” (1989), “Giornate intere fra gli alberi” (1989), “La pioggia d’estate” (1990), “Il marinaio di Gibilterra” (1991), “L’amante della Cina del Nord” (1992), “Yann Andrea Steiner” (1993), “La nave Night” (1993), “Scrivere” (1994), “L’amore” (1994), “Estate ’80” (1994), “La vita tranquilla” (1996), “Il mare scritto” (1996), “Agatha” (1997), “Storie d’amore estremo” (1997), “Il nero atlantico” (1999), “C’est tout” (2002). “Distruggere, lei disse” (s.d.),

















21 giugno 2010

"L'umiliazione" di Philip Roth

di Gianni Quilici

Philip Roth. Romanzo breve. Apparentemente perfetto. Di quella perfezione, che scorre veloce, combina fatti e psicologie, il cui divenire risulta plausibile e avvincente. Eppure in questa “perfezione” percepisco un limite.

L'umiliazione ha un inizio fulminante. Un attore famoso di teatro (ed anche di cinema), superati i 60 anni, improvvisamente va in crisi, perde fiducia in se stesso, nel suo talento, si sente ridicolo e irrimediabilmente finito, viene abbandonato dalla moglie, si ricovera, per non uccidersi, in una casa di cura...

Ma, mutamento di prospettive, improvvisamente l'amore. Una donna, 40enne, avventurosa, lesbica, figlia di amici, con cui riscopre energia, immaginazione e erotismo.

Conclusione: la catastrofe, la fine di tutto.

Vitale e convincente il protagonista. Lo vediamo, lo tocchiamo, lo sentiamo fuori e dentro: nella grandezza di chi sa creare personaggi (il vero e il falso della sua arte), nella crisi e nel senso pauroso di un'esistenza vuota e terribile, nei disperati nudi soliloqui; ma anche nella rapida trasformazione, nell'acutezza con cui coglie le ambiguità o i possibili limiti di un amore, nei silenzi accomodanti, nella disponibilità a spendersi e ad essere complice.

Il romanzo diventa via via poco persuasivo nel modo con cui la ragazza assume la sua configurazione. Non che non ce l'abbia. Essa appare all'inizio disponibile, attenta e forse sinceramente innamorata. Ci sono tuttavia degli indizi, che la adombrano, nel profondo, come egoista. Forse, senza volerlo lucidamente, utilizza gli altri, secondo i suoi desideri, capricci. Tutto questo però, noi lo comprendiamo dall'esterno: dai fatti, dalle parole dell'attore e da quelle della sua ex amante.

La fuga di lei, dall'attore, pur avendo una motivazione, appare scontata, quasi matematica, così come l'esito finale del romanzo. In questo senso, L'umiliazione, pur non essendo un prodotto commerciale, ad esso in parte corrisponde, con un finale teatrale, che salta molti passaggi, come quel tipo di partitura musicale, dove tutto quello che ci aspettiamo succede, senza sorprenderci, ma soprattutto senza emozionarci.


Philip Roth. L'umiliazione. “The Humling”. Traduz. Di Vincenzo Mantovani. Einaudi.

19 giugno 2010

"La duchessa de Langeais" di Honoré de Balzac

di Maddalena Ferrari


Il romanzo, pubblicato nel 1834, nel periodo in cui Balzac concepisce l'idea di unire i romanzi già scritti e quelli ancora da scrivere nel grande ciclo della “Comédie humaine”, appartiene ad una trilogia, “Histoire des Treize”, inserita nelle “Scènes de la vie parisienne”, a loro volta appartenenti alla prima parte della “Comédie”, “Etudes de Moeurs du XIX siècle”.


Nella sua sistematicità, frutto di un approccio scientifico alla realtà dell'uomo, nelle sue diverse “specie sociali”, come lui le chiama, Balzac non manca di spiegare in una prefazione che i “Tredici” sono uomini energici, forti, che si pongono al di sopra di ogni legge; criminali, ma dotati “di alcune delle qualità che fanno grandi gli uomini”; e che comunque egli ha scelto di raccontare di questi le storie “più dolci”.


Uno di tali uomini è il protagonista de “La duchesse de Langeais”: Armand de Montriveau, ex ufficiale napoleonico, che, dopo la fine dell'impero, era quasi fuggito dalla Francia per un'avventurosa spedizione scientifica in Africa, dove, fatto prigioniero da una tribù selvaggia, era riuscito a fuggire e, ritornato a Parigi, era stato reintegrato nei gradi militari, precedentemente non riconosciutigli dal regime monarchico.


Il suo è un bel ritratto romantico, alla stregua di quelli di Julien Sorel o di Fabrizio Del Dongo di Stendhal: intelligenza, energia, determinazione, coraggio, “purezza”, mistero. Ma il personaggio, calato nella realtà sociale della Restaurazione, oggettivamente e soggettivamente soggiace alle sue regole, ne è come sminuito. E ciò che conta, nonostante la personalità forte e la passione amorosa totalizzante, sono le relazioni con l'esterno, interpersonali e sociali.


Innanzitutto quella con la donna di cui s'innamora quasi a prima vista: Antoinette de Langeais, giovane nobile, che si è sposata per calcolo economico e di casta e che non ha nessun rapporto con il marito, sempre lontano. Essa è la regina dei salotti parigini, dove è ammirata, corteggiata, invidiata. Attratta e lusingata dalle attenzioni di Armand, si lascia adorare, giocando con i suoi sentimenti, senza concedere nulla; ma a poco a poco scivola in qualcosa di simile all'amore, per poi esserne travolta, nel momento in cui si verifica un inaspettato rovesciamento dei rapporti di forza.

E' un amore tragico, che porta alla morte: per lo scontro di personalità, per i condizionamenti ideologici e culturali, per le convenzioni sociali; se vogliamo, per una questione di puntiglio ed anche per caso.


Balzac racconta, in certi momenti, in modo sintetico e avvincente, come nei romanzi d'azione, genere con cui aveva iniziato la sua carriera: ne sono esempi il flash-back dell'avventura in Africa del suo eroe ed anche l'episodio finale del rapimento di Antoinette, divenuta “suor Teresa”, dal convento sulle rocce a picco sul mare dell'isola spagnola.


In altri punti, descrive in modo minuzioso, con dovizia di particolari, ambienti e personaggi, arrivando a delle vere e proprie digressioni-analisi storico-sociologiche, come l'ampio affresco del

Faubourg Saint-Germain, dove, da un punto di vista legittimista- reazionario, quale egli è, tratteggia con lucidità e ironia il decadere di una classe e della sua funzione storica e, senza lasciarsi coinvolgere sentimentalmente, lascia capire che è la fine di un'epoca (se il romanzo è ambientato nella Restaurazione, Balzac l'ha scritto durante la “monarchia borghese” successiva alla rivoluzione del 1830).


Soprattutto l'autore descrive e racconta insieme, dilatando i tempi, l'evolversi della relazione tra i due amanti. Questa relazione vive della vita dei due protagonisti, dei loro corpi, delle loro passioni, delle loro ambizioni, dei loro condizionamenti; e vive dell'ambiente in cui essi si muovono, in quell'”atmosfera”, che li compenetra, di cui parla Auerbach, a proposito del realismo di Balzac; esso precorre il naturalismo, sennonché il romanziere è ben presente nel racconto, ne tiene visibilmente le fila, prende posizione rispetto alla realtà e ai personaggi, con distacco e un'ironia a volte mordace.


Il disincanto è la cifra stilistica della narrazione e del trattamento delle psicologie dei personaggi, i protagonisti e gli altri, che ruotano intorno a loro; psicologie strettamente correlate con le strutture fisiche dei soggetti.


Si respira in tutto il breve romanzo un senso di disillusione, quasi di sfinimento. E questo, nonostante l'intensità della situazione erotico-sentimentale, tra pulsioni, desideri, autocontrollo, rispetto delle regole, autoaffermazione e prevaricazione narcisistica.

La scrittura di Balzac è al tempo stesso aderente alle cose e densa nello spessore ideologico culturale e immaginifico dell'autore; segue ritmi diseguali a seconda dell'oggetto di cui tratta e, se può in qualche caso dare l'impressione della pesantezza, è sempre padroneggiata dallo scrittore con autorevolezza.


Honoré De Balzac. La duchessa de Langeais (La Duchesse de Langeais) traduzione di Claude Fusco Karmann. Garzanti.


17 giugno 2010

"Sui pensieri lunghi". Confronti.















Sull'intervento “Sui pensieri lunghi” si è sviluppato su Face Book una discussione che qui pubblichiamo, lasciando, più o meno, inalterata la scrittura tipica di un confronto su F.B, veloce e formalmente approssimativa.


Cristina Caturegli

L'insoddisfazione dell'uomo moderno......manca il vivere di emozioni, le vibrazioni.Bisogna ricercare questo, volerlo, ritagliarsi degli spazi che servano a farci sentire umani nel senso dell'emotività,non solo macchine da lavoro-successo-denaro-fama.....ma cuore, pelle, respiro, pancia....


Ilaria Pieroni

potrei, dovrei, astenermi... ma condivido, altrochè se condivido.Troppe possibilità, a volte, immobilizzano; troppa scelta, a volte, rende impossibile apprezzare, gustare.

Tutto e subito, possibilmente il meglio, possibilmente di più...e poi?..e poi? io, tu, allo specchio dei giorni che scorrono.stop.Ciao e grazie..

Mary Madda

sì, si inizia già a scuola, quando un pensiero ben articolato e complesso, su indicazione dell'insegnante viene spezzettato in tre o quattro enunciati: più scorrevole...più facile...

Poi arriva " Tre metri sopra il cielo". soggetto predicato punto...successo, film...

Ma non considerare la complessità, la profondità, porta una superficialità che delude e fa sentire una solitudine che non è scelta di momenti intimi ma mancanza...


Mimma Lucchesi

E' vero, siamo soli ,delusi , frustrati , annoiati, forse anche infelici .Questa vita frenetica ,sempre di corsa, assorbe, travolge ,trasforma . Parlare ,parlarsi, dove e con chi ? in quale casa ? in quale famiglia ? in quale scuola? ora si "messaggia " non si parla. E noi un po' più "grandi", sempre più egoisti pieni di "acciacchi" e di problemi economici e stufi di tutte le chiacchiere inutili dei politici che dei nostri problemi se ne infischiano. Arriverà mai l'uomo a vivere con serenità il suo breve tempo su questa meravigliosa terra ? spero che qualcuno ce la faccia .


Imma Tessitore

Bella e verissima quanto amara riflessione Gianni. Non so perchè mi è balzato subito alla mente il gesto che mi faceva il mio capo-maestro quando muovevo i primi passi nel mondo del lavoro: facevo la gavetta per intenderci. Appena mi ci rivolgevo per avere chiarimenti o per cercare di dare la mia opinione su un problema mi guardava, alzava la mano e stringeva il pugno: quaglia (vai al dunque), intendeva...da allora cominciai a dire una parola in meno al giorno :)


Stefano Giuntini

Sul lavoro di solito devo pensare molto velocemente, ma ogni singolo istante di ogni momento solo per me lo dilato attraverso lunghi, intensi pensieri di frivolezza e profondità. A seconda dell'umore e dell'ispirazione. A volte penso anche che pensare fa male, ma è pur sempre un pensiero...


Giusi Raimo

e...poi c'è la possibilità che ai pensieri lunghi dedichi tempo e spazio quando cammini, leggi, ti soffermi, pensi. Ma puoi sempre meno, almeno che non hai accumulato per l'inverno come le formiche. E c'è la fatica di essere all'altezza, ma ci vuole il tempo e cervello che a volte si arrugginisce se ti fermi solo un attimo ..DEVI DIMOSTRARE per andare avanti. Almeno che non hai sicurezze: e beato chi ce le ha. E così...pensieri brevi e sintetici..solo un segno, un sentore. Dicendoti che domani dedicherai tempo anche alla tua anima, non solo alla sopravvivenza. Continuo a leggere ( Ho ritirato fuori Homo Faber di Max Frisch) mentre mi trasporta un mezzo pubblico e a pensare. A camminare e parlare con i compagni di strada. Un bel lusso...

Sempre di meno. Non c'è tempo. Forse ha senso pensare a che cosa si può rinunciare. Già.


Mary Madda

@Imma: esattamente quello che mi ripeteva il mio dirigente... ti capisco

ma, se nelle situazioni ufficiali dovevo usare poche parole e " sull'oggetto" poi il fluire continuava ad agire e resistere...

@Stefano, a parte l'ironia, è propio il non scorrere del pensiero che porta tensioni, magari si rimuove, si rimuove e poi ?...


Mari Anne

d'altronde siamo nell'era della velocità.. tutto corre.. dalla pausa caffè (short black) al cinema (purché non duri più di 90 minuti altrimenti..) ..e noi per primi che inseguiamo sempre qualcosa d'altro che è proprio quello che ci manca..

Una lotta titanica contro questo tempo, che poi è l'unico che davvero corre inarrestabile (il malandrino!)


Elena Tagliani

Modernità liquida, noi nati durante la modernità solida fatichiamo ad abituarci all'effimero.


Tallei Alicia

Bellissima foto hai messo Gianni, un'occhio che riflessa quello che vede, e brilla per quello che sente.

Un visione relativa a chi guarda, a chi pensa, a chi sceglie, a chi vive ogni secondo consapevolmente di essere lì, con quel secondo che non ritorna più. Dunque sà che sarà tanto lungo o veloce secondo il significato che possa darle.

Complimenti per la nota.


Sabrina Tomei

internet porta alcuni vantaggi, permette di mettere in contatto ad esempio persone che abitano lontano.il problema è che sta andando a sostituire quasi completamente il contatto diretto fra le persone.guardarsi negli occhi non è più un'esigenza.con un click si può avere tutto e subito,miriadi d'informazioni inutili anche.e poiché tutto è a portata di mano,non ci si sforza in niente,niente più incuriosisce e muove,se non l'eclatante,le banalità,la morbosità verso dettagli inutili.dovremmo cercare di cambiare direzione,utilizzare gli strumenti in maniera costruttiva,e ritornare a noi..


Caterina Donatelli

Credo che non ci sia un tempo dell’infelicità/presente e un tempo della felicità/passata.

Credo che la moltitudine necessariamente sottrae tempo/spazio necessario alla solitudine.

Credo che l’altare innalzato nella Community per noi stessi non sempre meriti di essere venerato.

Credo che la dottrina dei Media non può ancora governare il tempo necessario per premere Esc ed essere liberi.

Credo che i pensieri lunghi se giusti trovino spazio/tempo ovunque e per sempre....


Grazia D'Isanto

Non posso non pensare a Giorgio Gaber ...http://www.youtube.com/watch?v=MIya3FOWbY0


Tallei Alicia

Grazie Grazia. ho condiviso.


Gretel Fehr

Rincorrere velocemente il tempo senza lasciare più spazio al pensiero di essere pensato, forse per sfuggire alla frustrazione di esserci senza essere...


Gianni Quilici

Non credo, Elena, "che noi nati durante la modernità solida fatichiamo ad abituarci all'effimero della modernità liquida". Anche chi non frequenta computer e cellulari si è abituato all'effimero, perchè questa è la struttura sociale: la frammentazione del tempo negli orari, la moltiplicazione delle responsabilità e degli impegni, il sovraccarico di immagini-suoni-informazioni...

Del resto sono belli i "pensieri brevi" quando esprimono verità, illuminazione, desiderio di comunicare.

Ma viviamo in un Paese, in cui il Presidente del Consiglio recita una telenovela, dove le parole sono monologhi calcolati, autoritari, senza una logica di pensiero ecc, ecc; e la sinistra (con rare eccezioni) perde perché non ha pensieri lunghi che raccordino il presente al passato e al futuro per comprenderlo e progettarlo e non ha neppure quei pensieri che trasmettono desideri, bellezza, passioni...

La questione, a mio parere, oggi di fronte alla forza della tecnologia e al suo uso spregiudicato dovrebbe essere, come emerge implicitamente in molti "acuti" interventi, quello di una "rivoluzione politica che sia anche antropologica" ... e qui il discorso potrebbe continuare con parole come vibrazioni, emozioni, complessità, capacità di scelta, guardarsi negli occhi, pensare i pensieri ecc, ecc.


Maria Barbatano

Sono una persona riflessiva.. mi piace scrivere e confrontare i miei pensieri con gli altri.. amo descrivere ciò che osservo e penso.. in modo ampio e articolato.. sin troppo alle volte mi dicevano.. da ragazzina. Sono sempre stata felice di essere come sono, ma lo scontro e incontro con l'oggi non ha tardato a farsi sentire. Professionalmente vivo in un ambiente puramente tecnologico (che strano eh?) e questo mi ha portato ad imparare ad esprimermi in maniera breve, diretta ..che non è detto sia più squalificante.. l'essenziale è che non sia castranti. Se pensiero breve significa "potenza nella comunicazione immediata" allora ci sono.. se significa evitare il confronto..reprimere l'ascolto..fuggire.. allora non ci sono più. I Pc.. i cellulari ti abituano ad un certo tipo di comunicazione... è il rapporto stesso con il Pc, la frequanza con cui immagini.. suoni... vengono proprosti ai nostri occhi.. "il clik del mouse che si sussegue rapido" abitua la nostra mente ad aver fame di stimoli continuamente. E questo ti trasforma. Questo non significa che non ami però ancora fermarmi in qualche lunga e articolata riflessione, magari faccia faccia con il mio interlocutore. Per quanto riguarda l'aridità dei concetti e dei valori, temo che sia i pensieri lunghi che quelli corti siano molto potenti da questo punto di vista. La diversità sta nel fatto, che se si impara la novella e la si sa anche recitare bene, allora l'effetto sulle masse può essere devastante. Il segreto delle nuove forme di comunicazione sta nel connubio del passato e del presente a mio parere ..tra il ricco contenuto e le nuove tecniche comunicative, chi riesce a realizzarlo, raggiunge dei canoni di comunicazione elevatissimi. Non ci dimentichiamo mai il contesto storico e sociale in cui siamo inseriti!Non ci decontestualizziamo.. serve solo ad isolarsi!


Simona Fazzi

CHE MERAVIGLIA LA MERAVIGLIA! Anche nei periodi più neri, scoprire che ogni cosa ha mille volti, e noi possiamo viverli, fotografarli tutti...uomini dai mille occhi...abbiamo due mani..un corpo per la battaglia ed il riposo..per l'amore...ad ogni angolo scegliamo la direzione..perchè il cuore ci guida...soffriamo per le nostre tare, per le tare del mondo...ma sempre apriamo le gambe alla vita ! Che ancora ci fotta! Forse non sappiamo vivere ma l'odore della vita lo conosciamo....è dolce come il profumo del gelsomino e nauseante come il tanfo di una fogna a cielo aperto in piena estate.....Nasciamo vecchi e moriamo giovani! Liberiamoci da ogni schema! E' possibile.....è a portata di mano.



16 giugno 2010

"Perdersi in Pessoa" di Simona Fazzi






















...Vado a cercarlo..Eccolo. Stà dietro a tutti gli altri. Agosto1998, 30.000 lire. Cazzo! Sicuramente potevo permettermi di spenderli..Adesso.............Ma lasciamo perdere.

....Soffio via la polvere, apro, inizio a leggere le parti sottolineate e c'è in questo un piacere sottile, ritrovare un qualcosa di vissuto e dimenticato. Passa un pò di tempo e mi rendo conto tristemente di come certe cose siano rimaste immutate dentro me nonostante la vita che è transitata, lei in me, io in lei, dodici anni...Leggo e di nuovo quel vecchio disagio...un fastidio.

Lo sento Pessoa, lo sento vero, ma allo stesso tempo cresce il bisogno di "sbugiardarlo", sminuirlo nella sua parte filosofica...Cerco nei suoi pensieri, nelle sue verità qualcosa che le faccia vacillare...che le riduca in macerie. Cerco una crepa, una fessura....cerco dopo un pò l'azzurro estremo alto silenzioso a cui lui sembra aver rinunciato.

CERCO DI TORNARE INDIETRO, all'inizio della storia, del sentiero, ma come Hansel e Gretel anche io non trovo più le bricioline gettate alle spalle per ritrovar la strada..........Eppure c'è chi lo chiama romanzo..e non lo è...doveva avere come caratteristica quella dello svelarsi innocuamente...e non la ha..A questo punto sono confusa.

Perchè la verità che Pessoa magistralmente disegna, quando giorno dopo giorno Soares riporta sulla carta i suoi pensieri,i mi sembra pian piano ma inesorabilmente assumere la forma di un recinto? Perchè lui che parla di libertà mi fa questo brutto effetto?

Sì, è vero, le sue verità sono non consolatorie. E questo mi piace ma al tempo stesso suscitano in me un senso di claustrofobia.

Pessoa mi piace in realtà e soprattutto, quando mi permette per un attimo di tornare a casa...Sembra allora la sua poesia un balsamo..e per puro dispetto, son convinta, la Vita pare attecchire laddove cessa la febbre del pensiero....

" Anche per me è domenica...Anche il mio cuore va in una chiesa che non sa dov'è, e va vestito con un abito di velluto fanciullo, con il volto arrossato dalle prime impressioni, sorridendo senza occhi tristi sopra il colletto molto grande"

..Chiudo...fra un pò di tempo tornerò...Ora no.

Ma un'inquietudine resta...un senso di smarrimento..una paura...un dubbio.

Uomo..di azione

dedito al dovere

borghese

rivoluzionario

Uomo...povero

diavolo

pazzo stratega

contabile confuso

Uomo...animale

essere superiore

d'intelletto ingegno fantasia....

Uomo che ti sogno mentre faccio i conti

con il mistero...

" E LA VITA PASSA COME UNA VELA LONTANA"

09 giugno 2010

"Amo la bici" di Gianni Quilici

Amo la bici. Un amore fermentato col tempo, diventato sempre più carico di impegno e sottile.

Ebbene sulla bici sono stati scritti libri da filosofi, sociologi, scrittori, poeti, giornalisti. Ci sono film e immagini. Alcune indimenticabili.

Ha senso che (io) ci scriva? Non lo so, soprattutto non m'importa.

Ed allora: perché amo la bici? Per una ragione innanzitutto immaginativa, che diventa poi onirica.

Pedalando succede a volte di sdoppiarmi. Io vedo me, mentre pigio sui pedali, poniamo su uno di quei bei tornanti difficili, ma possibili con l'ombra stampata per terra. Questo al presente mi piace e al passato prossimo mi esalta.

La ragione a pensarci è narcisistica: il narcisismo della propria rappresentazione.

Perché funziona? Perché, in certi attimi, nel nostro minuscolo immaginario possiamo avere, attraverso le vicende ciclistiche, una dimensione eroica: contro la dura salita, contro il caldo asfissiante, contro la pioggia battente, contro la discesa a rischio.

L'eroismo è dato da un contrasto in cui emergiamo, con fatica o a rischio, vittoriosi.

Nel mio caso -devo aggiungere- sono nelle condizioni migliori. Sono, infatti, solo: nessuno mi può battere; ho, però, un avversario: il tempo, o meglio il me stesso di ieri o di un passato remoto. Ci può essere quindi la vittoria (il record) come la delusione.

Questa rappresentazione narcisistica è mobile, percorre una strada, attraversa un paesaggio. Innanzitutto lo esplora. E poi, ri-percorrendo quella strada, ri-attraversando quello spazio, si finisce per conoscerlo meglio. Lo si esplora con il corpo, con la fatica e la gioia dei muscoli. Per questo vincendolo, cioè superandolo e padroneggiandolo, lo si conquista, lo si fa, in qualche misura, nostro, lo si sente amico, parte di noi. [Che differenza, infatti, salire in macchina o in moto e salire, invece, in bici!]

E' evidente che questo paesaggio non può essere l'ibrida macelleria urbanistica che ha ridotto le strade ad una paurosa scenografia di macchine e di semafori, di distributori e cavalcavia, di negozi e centri commerciali, di villette.

Bisogna andare (scegliere) là dove il paesaggio è ancora più forte della strada, dove le auto sono poche e timorate e la forza di prati, alberi, ruscelli è ancora sovrabbondante.

E' qui che un corpo allenato e desideroso ha la possibilità di congiungere bici-strada-corpo-immaginazione-percorso-paesaggio, di fare diventare una corsa in bici “piacevole” e qualche volta “esaltante”

08 giugno 2010

"Sui pensieri lunghi" di Gianni Quilici

Qualcuno-a forse si ricorderà dei “pensieri lunghi” di Enrico Berlinguer.

Oggi non sono più di moda.

Danno un sottile fastidio.

Ci abituiamo tutti (ma non tutti) ai pensieri brevi, a volte folgoranti brillanti molto più spesso banali, irriflessi.

Ci abituiamo molti, oltre che per la fatica del lavorare, le aumentate incombenze, la precarietà economica ed esistenziale, anche per un'altra ragione: non abbiamo tempo da perdere, siamo rosi dalle possibilità, dalle necessità,non abbiamo tempo di distenderci, di avere un tempo lungo di fronte a noi, o voglia di fare fatica: pensare, leggere, confrontarci, scrivere ecc, ecc.

Ci sono decine e decine di possibilità, che prima non c'erano.

Mi è successo di leggere le lettere che Silvio D'Arzo, grande e misconosciuto scrittore italiano della metà del XX secolo, e mi ha impressionato la solitudine-isolamento di un giovane di grande cultura ed espressività, allora.

Queste possibilità di oggi le conosciamo tutti. Basta considerare internet: i siti-blog, la posta elettronica, FaceBook, la chat: la possibilità di conoscere o di intravedere decine di donne e di uomini, che possono avere affinità estetiche, culturali, politiche con te, di poterci dialogare immediatamente e direttamente ecc, ecc.

Eppure c'è poca felicità : si respira impazienza e delusione, noia e vuoto, frustrazione e solitudine.

Perché?

Lasciamo che questo “perché” respiri solo e aperto...

Lasciamo lo spazio aperto a risposte, a impressioni...


"L'immaginario violato" di Aminata Traoré

di Luciano Luciani

L’immaginario africano
contro il pensiero eurocentrico e la globalizzazione.

Il pensiero eurocentrico ha ormai definitivamente assegnato all’Africa un ruolo subalterno: agli occhi di noialtri cittadini del nord del mondo si tratta di un continente ormai rassegnato a un destino di decadenza e marginalizzazione, inerte, di fronte ai tumultuosi sviluppi della globalizzazione, vista come imprescindibile forma della modernità.

Contro questa sorte, solo apparentemente ineluttabile, insorge con polemica passione Aminata Traoré, sociologa, musulmana, ex ministro per la cultura del Mali:
«L’ideologia egemone, che funge da filo conduttore per i nostri dirigenti, sostiene che l’Africa debba obbligatoriamente inserirsi nella globalizzazione per stroncare la povertà. Non c’è nulla di più falso: lo stato di decadenza in cui versa è l’inevitabile conseguenza della violenza del sistema mondiale e del suo disegno mercantilista e disumano. I termini delle relazioni commerciali con l’Occidente non ci sono mai stati favorevoli. L’Africa non ne può più di assicurare materie prime, combustibili e pietre preziose a una minoranza di vincenti».

Il primo obiettivo di un auspicabile riscatto dell’Africa passa innanzitutto attraverso la sconfitta di un senso comune tanto diffuso quanto rinunciatario, di cui, però, più di qualche colpa va attribuita agli africani stessi: colonizzato fin nel profondo del proprio immaginario, l’uomo africano si sente in posizione di inferiorità rispetto agli occidentali, in quanto privo sia delle risorse monetarie, sia di quelle tecnologiche della parte fortunata e satolla del pianeta.

In un mondo in cui gli unici valori che contano sono i beni materiali è ovvio che gli abitanti di quell’immensa area che va dal Cairo a Capetown provino un acuto senso di inadeguatezza ed inferiorità: è questo uno dei motivi scatenanti dell’ondata fondamentalista che sta rischiando di sommergere anche l’Africa. Perché quel continente si renda padrone di un progetto autonomo e originale di liberazione è necessario, innanzitutto, che gli africani tornino a disporre con pienezza della propria facoltà di pensare il proprio futuro e dargli un senso, recuperando l’immagine che hanno di sé. La stessa che l’Occidente ha così spesso manipolato e sfruttato: è tempo che l’Africa scriva la parola fine alla violazione del proprio immaginario.

Aminata Traoré, una protagonista della lotta africana contro la globalizzazione, lo sostiene in maniera documentatissima e con la forza delle ragioni giuste, in un polemico saggio di testimonianza e di lotta: l’intensa voce politica che difende il continente nero dalla povertà e dall’asservimento ai Paesi ricchi si mescola al racconto della vicenda personale dell’autrice, alle memorie africane, alla potenza visionaria delle loro tradizioni, della loro civiltà, della loro umanità. Un libro bello e utile, in cui l’Autrice, attraverso l’individuazione di obiettivi modesti, praticabili e condivisibili dimostra come la micro resistenza possa vincere contro il macrodominio.


AMINATA TRAORÉ, L’immaginario violato, Ponte alle Grazie, Milano, pp. 189, € 12,50

"Tu, forse non essenzialmente tu" di Rino Gaetano



IL TESTO

Tu / forse non essenzialmente tu
un'altra / ma è meglio fossi tu
hai scavato dentro me / e l'amicizia c'è
Io che ho bisogno di raccontare io
la necessità di vivere / rimane in me
e sono ormai convinto da molte lune
dell'inutilità irreversibile del tempo
mi sveglio alle nove e sei decisamente tu
non si ha il tempo di vedere la mamma e si è gia nati
e i minuti rincorrersi senza convivenza
mi svegli e sei decisamente tu. . .
Tu / forse non essenzialmente tu
un'altra / ma è meglio fossi tu
e vado dal Barone ma non gioco a dama
bevo birra chiara in lattina
me ne frego e non penso a te
avrei bisogno sempre di un passaggio
ma conosco le coincidenze del 60 notturno
lo prendo sempre per venire da te
Tu / forse non essenzialmente tu

e la notte / confidenzialmente blu
cercare l'anima


di Sabrina Tomei e Gianni Quilici

L'inizio è un dialogo “toccante” fra chitarra e voce che anticipa il dilemma: la contrapposizione, contenuta anche nel titolo, fra il desiderio di una donna o di altro e la sua negazione.

“Tu, forse non essenzialmente tu un'altra, ma è meglio fossi tu” è, ascoltiamo, il ritornello suggestivo e curiosamente dialettico.
Infatti: primo: un “tu”, che sembra perentorio; secondo: “non essenzialmente tu, un'altra”, il desiderio di un'altra, però diluito sottilmente da un “ forse non essenzialmente” ; terzo come sintesi provvisoria destinata comunque a non interrompere il circolo di certezze, desideri e dubbi: “ma è meglio fossi tu”.

Una riflessione profonda tra visioni e filosofia dell'esistenza, accentuata da pause e respiri. Rino Gaetano si interroga, infatti, sull'esistere, sul tempo che scorre inafferrabile, ricorda in brevi flash il passato mentre vive, è consapevole del presente e della sua fugacità,. Infine non dà risposte definitive, rimane aperto al flusso degli accadimenti e alla ricerca dell'anima.

La tastiera e il pianoforte accompagnano il testo con la voce accorata e gridata di Rino Gaetano in momenti di rara intensità; le corde della chitarra ne sono le vibranti interlocutrici.

05 giugno 2010

"L'analfabeta" di Agota Kristof

di Gianni Quilici

“L'analfabeta”: racconti autobiografici, in cui Agota Kristof, nata in Ungheria nel 1935 e da lì fuggita nel 1956, parla di sé, della sua vita sradicata e del difficile rapporto con la scrittura, fin da quando, a quattro anni, leggeva tutto ciò che le capitava tra le mani.

La storia si segmenta in capitoli, ciascuno dedicato a una fase del cammino della scrittrice: l'infanzia felice, la miseria, la fame e la solitudine in collegio, la morte di Stalin, la fuga a rischio vita con il bambino piccolo, la “lotta accanita e lunga” con la lingua del tutto sconosciuta in una terra straniera, il lavoro in fabbrica eccetera, eccetera.

Mi piace la scelta di fare dei racconti come sequenze, come quadri brevi, fulminanti. Lasciando degli spazi e un silenzio tra l'uno e l'altro. Questo per un verso “salta” la linearità cronologica e naturalistica alle storie; per un altro ne mantiene la loro unitarietà.


A questo si aggiunga la forza delle cose raccontate, a cui la sobrietà dello stile stringato ed elementare dà (una naturale) risonanza poetica.

Agota Kristof. L'analfabeta. Racconto autobiografico. (L'analphabète. Récit autobiographique). Traduzione di letizia Bolzani. Casagrande. Euro 10.00.