29 gennaio 2024

"Quanta vita vive! Altrettanta vivrà" di Andrea Appetito

 

           


        Quello che vive, vivrà. Quello che muore, morirà ed è un bene lasciarlo andare, una molecola alla volta. Le spoglie, infatti, appartengono al passato. Quello che vive, invece, risale la corrente del tempo, più forte di ogni torpore. Le storie di giustizia vivranno. Il daimon socratico vivrà. La passione di Rosa Luxemburg vivrà. Il dolore lucido di Sami Modiano, il coraggio con cui rivive per gli altri la tragedia vivrà, come vivono i cervi di Lascaux, i versi di Sofocle ed Eschilo, le polaroid di Tarkovskij, le parole di Dickinson e Lispector… La pazienza delle vite anonime vivrà. L’alba dalle dita rosate di Omero rinasce ogni giorno dal buio millenario. 

       Quanta vita vive! Altrettanta vivrà. I meccanismi di rimozione scavano grandi buche, ma c’è sempre qualcuno che pensa il più profondo perché ama il più vivo. Anche queste parole di Hölderlin vivranno.

27 gennaio 2024

“B 7456. Con Sami per non dimenticare” di Rosanna Valentina Lo Bello

 



Stamani mentre facevo colazione ho acceso la TV

Un uomo anziano con un viso smunto racconta una storia

Parla con voce flebile muovendo le minute sottili labbra ...

Da quella piccola bocca il fiato si traduce in parole pesanti come enormi massi...

come lame taglienti...

Due occhi piccoli incavati …

due fessure arrossate e inzuppate di lacrime ...

nello sguardo basso e fisso dei ricordi..

 

(Stamani mentre facevo colazione ho acceso la TV e un uomo anziano racconta la sua storia...)

Racconta del desiderio di un condannato a morte di voler rivedere per l'ultima volta sua sorella Lucia

Rischia moltissimo quando si avvicina al filo spinato e vede una sagoma che fa cenno di saluto con la mano

Era Lucia

irriconoscibile!!

Aveva lasciato una bellissima ragazza con lunghi capelli biondi e occhi azzurri brillanti dei suoi 17 anni e ora

quella sagoma di pelle e ossa

calva

con occhi spenti

che trascina il suo esile corpo dentro un pigiama a righe

è sua sorella!!!

 

(Stamani mentre facevo colazione ho acceso la TV e un uomo anziano racconta la sua storia...)

Si guardano

e si fanno dei gesti che indicano baci e abbracci

in silenzio si capiscono

dicendosi tutto

L'indomani alla stessa ora ritorna e la ritrova

Le lancia un panno bianco che avvolge una fetta di pane che sarebbe stata la sua razione di cibo giornaliero

Riesce a vedere il tentativo di sorridere da parte della sorella che gli rilancia il panno bianco

Lui lo apre e trova ben due fette di pane

Piange a dirotto dentro quel pane e quell'abbraccio immenso che gli manda la sorella

L'indomani ritorna alla stessa ora e nello stesso punto ma non la trova

Ritorna all'appuntamento con il panno bianco e la sua fetta di pane per ancora tanti

e tanti altri giorni

ma non trova più la sorella.

 

(Stamani mentre facevo colazione ho acceso la TV e un uomo anziano racconta la sua storia..)

Io non ho terminato la colazione e in ginocchio ho continuato a guardare il racconto di questo grande uomo .

Un sopravvissuto.

Un'inevitabile rosso sangue pervade

Indicibile vergogna umana

Immenso amore e comprensione per i sopravvissuti

Mi chino

Chiniamoci

Tutti

"Con Sami per non dimenticare":

 

 

Sami per non dimenticare. 

Testimonianza di Sami Modiano, sopravvissuto ad Auschwitz. 

Speciale TG 5. 21 gennaio 2023

 

 

 

26 gennaio 2024

" Il campo delle pere" di Nana Ekvtimishvili

 

di Giulietta Isola

Un orfanotrofio alla periferia di Tbilisi nella Georgia postsovietica. Lo chiamano la "scuola dei ritardati": nato per ragazzi con disabilità intellettiva, è ormai frequentato da orfani e figli di migranti, che vengono cresciuti tra abusi e negligenza.”

      Il campo delle pere è una storia dura ,forte , coinvolgente che non fa sconti a nessuno. Un racconto in cui la divisione tra vittime e carnefici non è netto. Siamo nella periferia di Tbilisi in una scuola convitto per “ritardati”, è così che vengono chiamati, senza nessun riguardo, gli ospiti di questo orfanotrofio, ragazzini i senza genitori la cui vita è sporca, misera, violenta. 

      Lela, La protagonista, ha diciotto anni, potrebbe lasciare l’orfanotrofio ma ha deciso di non farlo. Il mondo fuori è un’incognita rischiosa che ha paura di conoscere. Ragazza problematica, diffidente e costretta in passato a subire violenze, non si ricorda come sia arrivata lì, né chi siano i suoi genitori. Sa soltanto che la sua missione è tendere una mano agli ospiti più piccoli, a quelli che da soli non saprebbero difendersi. 

      Ma difendersi da cosa? Dal luogo dove si trovano, perché se è vero che il mondo fuori è pericoloso all’interno la vita non è certo semplice. Irakli è il bambino che Lela ha preso sotto la sua ala protettrice, prova per lui un grande affetto e nonostante le scene durissime la tenerezza è palpabile . Quasi ogni giorno lo accompagna da una vicina per telefonare alla madre che lo ha lasciato lì temporaneamente.(?) e continua a riempirlo di scuse, ma ad un certo punto il bambino è costretto ad accettare la dura realtà: lei non tornerà mai a prenderlo. Una famiglia americana si innamora di questo bimbo silenzioso e vivace ed è pronta a portarlo negli Stati Uniti. 

      Qui niente è davvero come sembra a partire dal campo delle pere che non ha niente di bucolico, ha qualcosa di sinistro e di minaccioso, più che un prato è un acquitrino putrido e pericoloso .Il vecchio edificio è una prigione puzzolente di lozione contro i pidocchi, del grasso della cucina, dell’odore di bucato che fuoriesce dai bagni…, è un inferno, Lela lo sa, ma ogni volta che prova ad uscire ha la certezza che il vero inferno sia fuori.

      Plumbeo, grigio, feroce adatto a chi cerca una storia forte verso la quale ci guida l’autrice Nana Ekvtimishvili che “ricostruisce una realtà inghiottita dal nuovo mondo tecnologico dimentico delle macerie residue del cosiddetto Secolo breve” . 

     La scena è riservata a generazioni di bambini rimaste dietro le quinte della storia, perdute in quell’area transcaucasica da sempre al centro di conflitti etnici e dispute territoriali, il ritmo è incalzante, entrare nel Convitto con le sue regole non scritte le sue meschinità, ingiustizie e i suoi fragili equilibri, ci farà provare rabbia e compassione per queste inermi creature senza colpa , vittime di carnefici invisibili. Da leggere. 

IL CAMPO DELLE PERE di NANA EKVTIMISHVILI VOLAND EDITORE

23 gennaio 2024

  

di Marigabri

“Era una donna tranquilla, gradevole, senza pretese. Di modi amabili, una certa timidezza la ostacolava nei rapporti sociali: timidezza comprensibile, perché la vita di piantagione è solitaria; ma a casa propria, e tra gente che conosceva, era al suo modo quieto una persona deliziosa.”

       Eppure, questa pacata signora benpensante e borghese ha ucciso un uomo a bruciapelo. Voleva violentarla, dice. Legittima difesa dunque.

       Ora, apparentemente tranquilla, attende in carcere che venga svolto un rapido processo e autorizzata la sua liberazione.

      Sono gli anni Venti, lei è una donna inglese che vive in Malesia, allora colonia dell’impero britannico. L’esito dunque è scontato.

     E invece no. L’avvocato difensore viene a sapere che esiste una lettera. Scottante e pericolosa perché può ribaltare completamente l’esito del processo.

    Allora, che fare?

    Incalzante, brillante, e crudele come non mai, Maugham ci avvince alla lettura di questo racconto: breve, teso e semplicemente perfetto.

W. Somerset Maugham. La lettera. Adelphi.

 

21 gennaio 2024

" Due poesie" di Anna Maria Lapini

 


di Gianni Quilici

Nel 1987 moriva, una mia amica, Anna Maria Lapini. Due anni dopo scrivevo su una rivista “Il grande vetro” su di lei, attraverso la pubblicazione di due poesie. Ho guardato sul web. Non c’è niente su di lei. E queste poesie meritano di essere ricordate. Così le ho ritrovate e le pubblico su L. R., senza cambiare (quasi) niente.   

Anna Maria Lapini è morta. Due anni fa. (Oggi sono 36 anni)

Per un male incurabile. A soli 35 anni.

Quando la morte era ancora lontana da lei.

Quando ancora la vita era aperta davanti a lei.

Perché la esplorava (la vita) e si appassionava e la cambiava e si trasformava.

Lentamente tendeva a farsi più libera a levarsi laccioli di dosso.

Per questo con lei si poteva cominciare di nuovo, riprogettare, non c’erano limiti aprioristici.

 

Ho davanti queste due poesie di Anna Maria Lapini. Non sono un critico letterario ( se non per un irriducibile gusto estetico). Le leggo attraverso i suoi occhi, che erano belli: azzurri e concentrati, guardavano e  sapevano vedere.

Scrivo impressioni di getto: nelle due poesie mi piace l’autenticità – come si scriveva in tempi cattolico-esistenzialisti- che dice senza nascondersi; mi piace la complessità che accumula dati, ma senza chiudere (ma anche momento di altri silenzi  che ancora cercano il loro dirsi.); mi piace la narratività con cui si intravedono fili, storie, personaggi ( il padre su tutti); mi piace l’accumulo di pathos ( in Ho cercato il mio linguaggio); e di sentimento lieve e tenero  (in  E’ bello ritrovars i nei sorrisi degli amici) che attraversa quei versi;  mi piace la musicalità evidente; mi piace quel “respiro” che dilata.

 

 E’ BELLO RITROVARSI NEI SORRISI DEGLI AMICI

E’ bello ritrovarsi nei sorrisi degli amici

Parlare con loro il linguaggio di sempre

 riconoscere il suono di ogni parola

 e andare al di là del suo senso.

 

  È bello incontrarsi ogni sera o incontrarsi di rado

 perdere insieme il tempo, il sonno, la voglia di fare

 stare così, anche in lunghi silenzi, vicini o di fronte

 nascondersi o scoprirsi senza intenzione, quasi per gioco

lasciarsi con indifferenza e rivederci allo stesso modo. 

 

è così che fermi il tempo e lo fai tuo.

 

HO CERC ATO IL MIO LINGUAGGIO

Ho cercato il mio linguaggio

negli incanti di sonore parole.

Ho passato i giorni a riscrivere libri.

Con sgomento ricercavo in lontani mattini

quel fluido dirsi delle parole

che la sera sorprendeva il mio essere quieto

 libero ora dalle paure

 e dal peso dell’antico silenzio

che mio padre contadino

 rompeva solo con parole essenziali

timorose di farsi discorso.                           

 

Ma quando il mattino il linguaggio  ritornava rapporto sociale

esperienza di una identità contraddittoria e colpevole

le parole perdevano la sicura armonia della sera

 e con la difficoltà del loro dirsi

Incontravano ancora il silenzio.                         

 

 Ora che ho imparato a parlare

che le parole hanno col potere un rapporto sicuro

  e sono anche un linguaggio che in sé cerca

 e ritrova il suo incanto

 ora la parola è potere

potere aggressivo e censorio, lucido e castrante,

è gioco, riflessione, politica, poesia, persuasione, letteratura, critica 

è la tela di ragno della mia esperienza

ma anche momento di altri silenzi 

che ancora cercano il loro dirsi. 

               da “Il grande vetro” 99

                       aprile-maggio 1989

 


 

17 gennaio 2024

“Un paese felice” di Carmine Abate

 

di Marisa Cecchetti

        Scrittore nato in Calabria a Carfizzi, un paese italo albanese che conserva la lingua arbëreshë e gli usi e le tradizioni dell’Albania, Carmine Abate è emigrato giovane ad Amburgo e risiede attualmente in Trentino; il sud e la Calabria gli sono rimasti nel cuore, lo dimostra, tra gli altri, Un paese felice, in cui si fa portavoce della storia e della fine del paese di Eranova, nel comune di Gioia Tauro.

      Fondato nel 1896 da abitanti di San Ferdinando che lo avevano abbandonato per liberarsi dalla tirannia di un marchese padrone di tutto, il piccolo borgo di Eranova era nato in una zona incolta affacciata sul mare, poi si era sviluppato grazie alla laboriosità dei suoi abitanti e ai risparmi di chi era andato “nella Merica bona”, investiti al ritorno in terra e mattoni.

        Eranova era diventata un giardino di agrumeti, distese di olivi e di alberi da frutta; affacciata su un mare, “il più bello di tutti”, aveva visto lo sviluppo del turismo e lì si viveva felici, con la sagoma dello Stromboli davanti agli occhi, verso il tramonto.

         Ma all’inizio degli anni ’70 la Cassa del Mezzogiorno, con quello che fu conosciuto come il pacchetto Colombo, stabilisce di investire somme ingenti nella costruzione del quinto polo siderurgico e del porto di Gioia Tauro, con la promessa di dare lavoro a parecchie migliaia di lavoratori, riportando in Calabria anche gli emigrati. Proprio Giulio Andreotti, allora Presidente del Consiglio, nella commemorazione del 25 aprile del 1975, pone la prima pietra di un polo siderurgico che non nascerà mai - responsabile anche la crisi del settore di quegli anni -, il porto di Gioia Tauro non vedrà una nave fino al 1993, e dopo servirà “al mondo, all’Italia, forse alla criminalità, ma poco allo sviluppo della Calabria”.

        Carmine Abate dà vita a due protagonisti, Nina e Lorenzo, che si sono conosciuti all’Università di Bari, e segue il percorso di Eranova da comunità unita e collaborativa fino alla sua disgregazione e alla fine, con la gente  divisa tra chi aspetta lo sviluppo promesso e il lavoro, e chi vuole salvare il paese, subodorando la corruzione e gli interessi di chi si riempirà il portafoglio. Eranova e una parte della vicina San Ferdinando saranno distrutte, saranno sradicati settecentomila alberi da frutta, abbattute le case, costretti gli abitanti a trasferirsi, impossibile l’accesso alla spiaggia, saranno costruiti cinque chilometri di banchina portuale, poi arriva il mare a invadere la terra, gli orti e gli agrumeti.
Nina lotta come una leonessa perché le ruspe non avanzino, per salvare la bellezza della sua terra, con lei è il nonno, mastro Cenzo, che ha fabbricato tante case di Eranova, vive dei proventi di un esteso agrumeto e cura l’orto come un giardino. Nella sua terra c’è l’arancio più vecchio di Eranova, quello che era già sul terreno deserto quando arrivarono i primi abitanti, rimasto a simbolo delle loro origini e della loro avventura.

         Abate unisce la verità storica alla propria autobiografia, modellando tutto all’interno della finzione letteraria, in un intreccio che tiene il lettore in attesa, con una alternanza continua di Italiano e dialetto. Ne risulta un romanzo corale, con personaggi pieni di passione che prendono vita intorno a Nina e Lorenzo, bambini, giovani, anziani. Si scopre che le infrastrutture mancano e le strade di collegamento sono difficili, ci si schiera subito dalla parte di Nina che non si stanca di ripetere che i soldi della Cassa del Mezzogiorno non porteranno i benefici promessi, ma intanto si sente il fascino di quelle tavole apparecchiate che hanno sapori antichi e buoni, mentre il profumo delle zagare arriva anche dentro i sogni, e il mare, con il pennacchio dello Stromboli sullo sfondo, rimane come simbolo del rischio e della libertà.

 Carmine Abate, Un paese felice, Mondadori Editore 2023, pag. 264.

 

 

 

" Italian Icons" mostra di Ron Galella

 

 


ITALIAN ICONS” FOTO SULLE STAR DEL CINEMA E DELLO SPETTACOLO SCATTATE DAL PIU GRANDE PAPARAZZO DI OGNI TEMPO, RON  GALELLA

 di Mimmo Mastrangelo                         

  Un buona  foto deve ritrarre una persona famosa, mentre fa qualcosa di non famoso, il suo essere nel posto giusto nel momento sbagliato, ecco perché il mio fotografo preferito è Ron Galella”.

        Categorico questo elogio lasciatoci da  Andy Warhol su Galella, l’imperatore in assoluto dei paparazzi, che con la sua inseparabile Nikon ha immortalato  le più grandi star del cinema e dello spettacolo che spesso pedinava, inseguiva ostinato come un bracconiere sulle tracce della sua preda. 

       <<Non ho mai guardato  nell’obiettivo - diceva - Ho sempre scattato fissando la mia preda. A raffica, come un pazzo per riuscire a catturare la normalità, una smorfia spontanea, un gesto che smonta la presunta perfezione della loro immagine  prefabbricata>>.  

        Negli  Stati Uniti Ron Galella (New- York 1931-Montville 2022) è rimasto una gloria nazionale, ma il suo sangue era italiano, il padre Vincenzo, un ebanista di bare emigrò negli Stati Uniti da Muro Lucano, mentre la madre Michelina aveva i genitori originari di Benevento. Alla fotografia si dedicò sin da giovanissimo e dopo  la laurea in fotogiornalismo , Galella lavorò per le testate più importanti degli Usa. La sua “preda-ossessione” fu Jacqueline Kennedy-Onassis la quale una volta lo denunciò  e la sentenza del tribunale  stabilì che non avrebbe potuto più avvicinarsi a lei se non da una distanza di oltre venti metri. Nell’ archivio di Galella sono rimaste oltre tremila istantanee sulla vedova Kennedy ed in una delle foto più famose la si vede di profilo coi capelli mossi dal vento, mentre passeggia su Madison Avenue di New York. 

        Le fotografie di Ron Galella sono ormai delle “icone-cult” conosciute in tutto il mondo e non per caso “Italian icons” si intitola la mostra che viene  inaugurata il 20 gennaio a Palazzo Viceconte di Matera, curata dalla storica dell’arte Fiorella R. Fiore e  promossa dal Consiglio della  Regione Basilicata insieme alla Fondazione Sout-Heritage. 

       Settanta scatti in esposizione che lasciano riverberare sulla pellicola il fascino di  Virna Lisi e Anna  Magnani (entrambe sul set  del film “Il segreto di Santa Vittoria” di Stanley Kramer),  di Sophia Loren e Monica Vitti; di una solare e giovane Isabella Rossellini e di una enigmatica Silvana Mangano anche lei, come la Kennedy,  immortalata di profilo in una foto a dir poco stupenda che fa anche da copertina al catalogo della mostra. 

       Continuando ad attraversare il percorso espositivo, ecco che la fotocamera imperterrita di Galella  sorprende  un Marcello Mastroianni fuori da un albergo romano, un Federico  Fellini quasi in posa negli studi di Cinecittà, un Bernardo Bertolucci che alza la statuetta dell’oscar  per  il film “L’ultimo imperatore” (1988). 

       Altri ritagli di “spontanea e fresca umanità”  si possono cogliere allungando lo sguardo sulle  tavole di celebrità hollywoodiane come Dean Martin o Liza Minnelli, Robert  De Niro o  John Travolta, Brian De Palma o Francis Ford Coppola (il lucano di Detroit). Scatti rubati al tempo   di grande naturalezza che celebrano l’occhio di un imperterrito realista, e, tuttavia, lasciano anche un po’ di amaro in bocca. Sì, è vero una foto di Galella rimarrà per l’eternità una “documentazione pittorica incomparabile” , ma oggi il mestiere creativo e pazzo del paparazzo non esiste più, ogni giorno un immensurabile frullato di immagini viene riversato sui social e nello spazio di ventiquattrore è già estinto.

 A  MATERA DAL 20 GENNAIO AL 18 FEBBRAIO PALAZZO VICECONTE.

14 gennaio 2024

"Comunione" di Bell Hooks

 


di Carla Rosco

    Comunione - La ricerca femminile dell’amore di Bell Hooks (1952- 2021), afroamericana, pioniera e icona del pensiero femminista, è un libro del 2002, ristampato dal Saggiatore nel 2023.

        Un’ampia parte del libro racconta il difficile lavoro fatto dalle femministe per trasformare la relazione tra uomo e donna; le femministe però hanno poco affrontato il discorso sull’amore.

        Di fatto era più facile creare cambiamenti fuori di casa che tra le pareti domestiche, nella gestione della casa e dei sentimenti, ossia della vita amorosa: “Avevamo paura di parlare dell’assenza di amore. Pubblicamente, la maggior parte delle donne si comportava come se il potere avesse più importanza dell’amore. Questa menzogna andava smascherata ... ci deve essere un equilibrio tra lavoro e amore”. E’ il condizionamento sociale che crea nel modo di amare le differenze tra i generi; la visione antipatriarcale, che ritiene sia gli uomini che le donne capaci di imparare ad amare, è la base su cui costruire un amore reciproco e duraturo.

          Il libro ha una parte finale molto confortante, i titoli degli ultimi capitoli sono eloquenti: “Amore duraturo: amicizie romantiche”, “Testimoniare l’amore: tra generazioni”, “Beatitudine: comunione d’amore”.

         Si scopre che nell’età vittoriana (periodo compreso tra il 1837, anno dell’ascesa al trono della Regina Vittoria, e il 1901, anno della sua morte) erano contemplate le “amicizie romantiche” tra amici dello stesso sesso oppure no ed erano prive di coinvolgimento sessuale, ma con passione erotica: “Grazie alla conversione femminista molte di noi hanno imparato ad attribuire ai legami con le amiche lo stesso valore che attribuivamo ai rapporti con i maschi, ad apprezzare i nostri legami non sessuali con gli amici maschi quanto quelli in cui facciamo sesso”.

      Ma, ci ricorda l’autrice, è ancora difficile per le unioni non sessuali ricevere il rispetto dato alle coppie eterosessuali. In realtà la vita sessuale di molte persone sposate o in coppia da molto tempo è inesistente ed i loro rapporti possono essere simili o identici alle amicizie romantiche.

       Se le donne di ogni età useranno l’espressione “amicizia romantica” ci sarà più spazio per sviluppare legami in relazioni platoniche impegnate, capaci di durare per sempre. E l’amore duraturo è vitale: non possiamo rischiare davvero sul piano emotivo in rapporti in cui non ci sentiamo al sicuro.

     Ma per trovare un amore o amicizia che duri nel tempo dobbiamo imparare a conoscerci e accettarci, poiché il vero amore inizia con l’amore di sè.

       Donne e uomini dovrebbero pensare alla conoscenza come a uno spazio erotico di connessione, di comprensione di sè e dell’altro; invece nella cultura patriarcale la maggior parte delle persone impara che l’amore romantico è un’unione di opposti.

    Il significato dell’amore nelle nostre vite è quello di provocare una profonda trasformazione: affidabilità e responsabilità per nutrire la nostra crescita spirituale. Ci vorrebbe una “comunità” come luogo di relazioni molteplici e stabili, inclusive.

      Per fortuna oggi - scrive l’autrice - grazie al movimento femminista e ai molti patemi d’animo attraversati, mai tante donne sanno che amore e dominio non stanno insieme, se l’uno è presente, l’altro sarà assente. Una ricerca sull’infanzia femminile conferma che le ragazzine spesso si sentono forti, coraggiose fino a quando non cominciano a ricevere messaggi sessisti che le spingono a conformarsi alla femminilità dominante. Poiché il patriarcato addestra le femmine a occuparsi di relazioni, legami e comunità, ecco che così accade; i maschi sono addestrati a non farlo o a farlo molto meno: “Nel mio primo libro sull’argomento ‘Tutto sull’amore. Nuove visioni’ [libro molto interessante del 1999, ora ristampato], ho avuto cura di dire più e più volte che le donne non sono intrisecamente più amorevoli degli uomini, ma che siamo sollecitate a imparare ad amare ... Il fatto che nasciamo in un mondo patriarcale, che prima ci invita a metterci in viaggio verso l’amore e poi pone delle barriere sulla nostra strada, è una delle tragedie della vita”.

        Potere vivere rapporti di rispetto e comunione con i nostri simili (e non solo) è quanto di più bello e salutare ci possa capitare, ad uomini e donne, gli impedimenti sono devastanti.

       Come scrive Susan Griffin in “L’eros della vita quotidiana”: esistere in uno stato di comunione è essere consapevoli della natura dell’esistenza. E’ qui che ecologia e giustizia sociale si incontrano, con la consapevolezza che la vita è in comune.

 Bell Hooks   “Comunione. La ricerca femminile dell’amore . Traduzione Maria Nadotti. IL Saggiatore 2023

04 gennaio 2024

"Gli angeli personali di Brianna Carafa

 


di Marigabri

Brianna Carafa. E chi era costei?

Beh, una delle tante scrittrici di valore dimenticate in qualche angolo polveroso del tempo e che oggi per fortuna tornano a vivere tramite la felice intuizione di case editrici illuminate. Cliquot, in questo caso.

Bisogna dare un’occhiata alla sua biografia per capire che lo scorcio di spaziotempo abitato da Brianna è veramente speciale. Ma bisogna innanzitutto leggere quello che scrive e come lo scrive per rendersi conto delle sue qualità.

Scrittrice raffinata e originale, in questa galleria di ritratti attinge al suo mondo speciale di bambina e di ragazza per raccontare questi angeli personali che di angelico hanno ben poco, di personale hanno invece molto e tuttavia si iscrivono in modo indelebile nel firmamento stellato della letteratura universale.

1.Ritratto di straniera

La nobile nonna polacca fino alla fine dei suoi giorni non rinuncia al sogno impossibile di trovare una soluzione al problema dei senzatetto, accettando così anche la propria aristocratica autoemarginazione dal contesto sociale del sentimento comune (“Ma certo quella del viandante sperduto nella nebbia altro non era che l’immagine di sé stessa in un mondo che non riusciva mai ad afferrare appieno.”).

2. Il giardino perduto

La passione inespressa per un padre elegante e inaccessibile trova la sua proiezione nel dramma di un amore infelice, quello di Luisa, la sua amante (“quella signora alta, sottile e diritta come una canna, dal malinconico viso equino chiuso fra due bande di capelli scuri, gli occhi rotondi, lustri, intensi, le magre dita affusolate, una voce acuta da canto, un po’ incrinata, resa dolce dalla lentezza con cui pronunciava le parole”).

3. La governante

“Giunse puntualissima, alla data stabilita, come del resto ci si aspettava, dalla lontana e favolosa Foresta Nera, dal regno dello Sturm und Drang e della disciplina.”

Ecco Fräulein Hilda, la governante integerrima, l’anti Mary Poppins per eccellenza,il cui “volto, peraltro scialbo, fu a poco a poco ricoperto dalla lucida maschera del Potere che ne cancellò i sorrisi di cortesia”. Nella relazione tra l’adulta prevaricatrice e la bambina forzatamente sottomessa si gioca tutta la potenza narrativa di un racconto lucido e perfetto, fino all’imprevedibile finale.

4. Elodia

Una “creatura buia, maleodorante e misteriosa”, compagna di scuola al ginnasio, decide improvvisamente di rivelare i suoi oscuri segreti alle amiche, senza per questo perdere la sua aura di solitudine impenetrabile.

Negli altri ritratti troviamo

un amico svogliatamente impegnato in una improbabile caccia della donna ideale; un altro che si barrica dietro il muro difensivo della sordità (…”lontano, egli galleggia nel suo salvagente di silenzio al centro di un oscuro, denso lago appena mosso, dove le sue braccia e le sue gambe dondolano senza alcun rumore e sul suo capo scivolano come uccelli taciturni i pensieri”.);

il metodico, ossessivo mendicante capace di organizzare la questua con la stessa efficienza ed efficacia di un lavoro;

e per finire Lino, il disagiato e l’inetto, il personaggio che osa opporsi all’organizzazione sociale del mondo, decidendo di separarsene.

Una straordinaria galleria di personaggi finemente cesellati e accomunati da un elemento: l’inaccessibilità ontologica della condizione umana.

Brianna Carafa. Gli angeli personali. Cliquot

 

01 gennaio 2024

"La mia parola è libera" di Randa Ghazy

 


di Giulietta Isola

“A volte sono state celebrate, altre combattute. Alcune volte le loro vite, per quanto incredibili, sono cadute nel dimenticatoio”

       Una meravigliosa raccolta di storie di donne che non hanno mai smesso di lottare, biografie che dovrebbero essere lette nelle scuole italiane, non fosse altro per la passione con cui la giovane autrice racconta le loro vicende e la loro lotta per opporsi ai gioghi di patriarcato, colonialismo, regimi autoritari. 

      Sarebbe bello ci fossero ragazze e ragazzi desiderosi di scoprire queste grandi personalità che hanno deciso di ribellarsi e lottare per la libertà, ma sarebbe bello ci fossero anche molto adulti a leggere le loro storie che ci raccontano molto di paesi come l’Egitto, la Palestina, lo Yemen. 

      Sei rivoluzionarie , sei eroine che, insieme a molte altre, hanno messo in campo tutto il loro coraggio e determinazione, per combattere le disparità sociali, economiche e di genere e per conquistare la libertà. 

      Ve le presento : Doria Shafik, egiziana, ha guidato le donne del suo paese nella lotta per il diritto di voto, Shireen Abu Akleh, palestinese, ha pagato con la vita il desiderio di raccontare al mondo l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi. Georgina Rizk, libanese, prima Miss Universo di origine araba, ha comunicato un messaggio trasversale di liberazione sessuale e dei costumi. Djamila Bouherid, algerina, ha alzato la testa contro l’occupazione coloniale francese. Haifa Zangana, irachena, si è opposta al regime di Saddam Hussein. Tawakkol Karman, yemenita, è la prima donna Premio Nobel per la pace del mondo arabo. 

       Le protagoniste di La mia parola è libera sono diverse per età, religione, classe sociale ma legate dal filo rosso della lotta per l’uguaglianza e un nuovo equilibrio di poteri fra uomini e donne. 

      Donne dalla vita non facile che Randa Ghazy ci contestualizza nei luoghi ove sono vissute : il Libano della dolce vita e della guerra civile nella storia di Georgina Rizk, lo Yemen martoriato dalla guerra per cui si batte Tawakkol Karman, l’infinito spargimento di sangue fra palestinesi e israeliani che la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh documenta al prezzo della propria vita.

      Un libro perfetto per chi vuole essere parte del mondo dove vive e non vuole mai smettere di saperne di più al fine di trovare ispirazione. Rhanda Ghazy , nata in Italia da genitori egiziani, crede nella sorellanza, nel potere delle donne alle quali dedica il suo libro, dalla scrittura documentata ed appassionata che consiglio di leggere.

LA MIA PAROLA È LIBERA di RANDA GHAZY RIZZOLI EDITORE